lunedì 26 settembre 2016

LETTERA DI RINGRAZIAMENTI
Ho importunato autorità e privati con la mia supplica per portare a loro conoscenza le disumane condizioni di salute in cui versava mio fratello Antonio, dimagrito a tal punto da far temere il peggio. Ora che finalmente l’intervento, o gli interventi di più persone gli hanno ridato la libertà, sento immediato l’obbligo di ringraziare con il sentimento più profondo tutti coloro ai quali ho inviato la mia lettera, in primis Presidente della Repubblica e Ministro della Giustizia. E a seguire ringrazio con lo stesso sentimento: Presidente del Tribunale di Bari, Direttore del Carcere di Bari, Presidente Regione Puglia, prof. Rossi, garante dei diritti dei detenuti, avvocato De Palma, difensore di mio fratello, le redazioni dei quotidiani La Gazzetta del Mezzogiorno, Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giornale, Rai 3 TGR Puglia, padre Dante Leonardi, responsabile dell’associazione di volontariato Nuovi Orizzonti Centro San Nicola Vita che rinasce di Bari Torre a Mare, le Associazioni Libera, Casa Betania di Terlizzi, Comunità Oasi San Francesco di Trani, Caps di Bari, Centro Accoglienza Nord-Est di Cuneo, Giudice, Pubblico Ministero e avvocati difensori della controparte che non si sono opposti alla scarcerazione, e per ultimo ma non certamente ultimo, il carissimo Onofrio Introna, amico sin dalla nostra età più verde, che ci ha immediatamente offerto tutta la sua solita signorile disponibilità innata. Avevo visto giusto sostenendo nella mia petizione che Tonino non sopportava un regime di vita tanto costrittivo; mio fratello non è un delinquente abituale, per cui ha risentito molto del senso di colpa per ciò che in un attimo di obnubilamento aveva fatto, senza però procurare male a nessuna persona, se non il solo danneggiare cose ed oggetti di casa. Ma vanno ascritte a sua enorme attenuante tutte le pesanti offese che da tempo era costretto a subire, sino a colpirlo gravemente nella sua più intima dignità di uomo, così come lui mi ha confidato più volte negli ultimi tempi. Cosa lo abbia reso tanto abulico da quell’intraprendente odontotecnico che era non riesco proprio ad individuarla. Conosco Tonino meglio di chiunque altro, anche di chi gli è vissuto accanto per oltre 25 anni; gli ho dovuto fare quasi da padre quando, io vent’anni lui undici, abbiamo perso il nostro di padre; un padre che a noi fratelli più grandi, e più fortunati, ha saputo impartire un’ educazione ed una moralità altamente spartane. Ricordo come fosse oggi l’episodio che ci spinse a dargli l’appellativo di stampo medievale “il gigante buono”. Tonino, con nostro fratello minore Angelo, volle accompagnarmi con la sua auto in un viaggio di lavoro; giunti in un grande rondò alla periferia di Bologna, ci accorgemmo di un'altra auto che aveva preso fuoco; in tanti ci fermammo a guardare ipnotizzati dalle fiamme; l’unico che ebbe coraggio e riflessi pronti fu proprio lui; armato di estintore preso dalla sua auto, si precipitò verso l’auto sinistrata rompendo con lo stesso estintore il vetro della portiera di guida e traendo in salvo una donna semiasfissiata, e come se nulla fosse con la massima calma provvide poi anche a spegnare l’incendio; alle prime pacche sulle spalle con l’estintore scarico ancora tra le mani, ci segnalò di entrare in macchina, partendo a velocità sostenuta  per evitare quei complimenti che sempre lo mettevano in imbarazzo. Quindi, avevo visto giusto che per far tornare mio fratello, almeno parzialmente, a quello stato fisico per cui in famiglia lo avevamo definito “il gigante buono”, con quella stazza da pivot che già si è ritrovata sin dai suoi quindici anni, l’unica soluzione era quella di ridargli la libertà. Infatti, la riprova la si è avuta addirittura in meno di ventiquattr’ore quando, nel fatidico primo ottobre scorso, ricevendo l’ordine di scarcerazione, ha immediatamente preso otto chili, passando dai 65 chili che lo rendevano del tutto simile ad un ligneo attaccapanni ambulante, ai settantatrè che gli ridavano almeno una parvenza molto più umana. Ma soprattutto uno sguardo talmente vitale da cancellare in pochi istanti quella spenta luce che i suoi occhi emanavano da ben 19 mesi, in quella che ho sempre ritenuto una punizione eccessiva per uno come lui. Alla fin fine hanno sbagliato in due ed a pagare è stato solo mio fratello. Comunque, Tonino è rinato quel primo ottobre. Un vero miracolo. Miracolo ascrivibile a tutti quegli amici cui mi sono rivolto e più su menzionati. Ora voglio parlare direttamente a mio fratello per spiegargli dopo oltre 25 anni un certo nostro comportamento assunto all’epoca. Tonino, dopo i primi nove giorni trascorsi da uomo libero, anche se trascorsi nel Policlinico per rimetterti, la pietra miliare della tua nuova vita è segnata 10 ottobre 2015 ore 14, momento in cui sei stato dimesso acquisendo finalmente la totale libertà. Grazie anche al tuo bravissimo figlio Vito che, accettando di ospitarti a casa sua, ti ha evitato altri dispiaceri permettendoti, con quel treno preso ieri sera alle 23 per raggiungerlo, di riannodare quei fili violentemente spezzati 26 anni fa con la tua famiglia originaria. Da padre, capisco il dolore che provi nel lasciare qui a Bari altri due figli ma, come ti spiegherò in seguito, fanno parte delle innumerevoli incomprensioni che accadono in ogni famiglia. Ciò che mi preme chiarire dopo tanti anni è la presa di posizione mia, dei tuoi fratelli e di altri familiari. Hai capito il perché del nostro prendere subito le distanze da quella tua sciagurata scelta? Non perché ce l’avessimo con la tua seconda compagna, ma per l’essere stati traditi negli affetti fraterni e di amicizia quando si è scoperta la vostra tresca alle nostre spalle, tramata con una finzione ed una recita degne dei peggiori personaggi kafkiani. Nelle tante manifestazioni organizzate e trascorse insieme (festività civili e religiose, gite, vacanze), ognuno di noi di tanto in tanto introduceva nella comitiva nuove amicizie, che durano ancora oggi. Non era mai successo nel nostro gruppo, composto da tanti giovani nuclei familiari tutti amici tra loro, che ci si rubasse mariti o mogli. Provate ad immaginare, dunque, che colpo ci avete inferto quando è venuta fuori la vostra storia. L’esperienza di noi più grandi ci ha quindi suggerito di prendere subito le distanze da voi. Non poteva venir fuori nulla di buono da quella torbida faccenda, e ti dico il perché. La vostra incosciente leggerezza vi ha fatto dimenticare totalmente quante persone avrebbero sofferto per quella vostra decisione sciagurata. La vostra apparente leggerezza ha letteralmente schiacciato tante vite: tu, capace di trascurare completamente tua moglie ed i tuoi tre figli, i tuoi fratelli, cognati e nipoti; lei, capace di rigirarsi nel manico l’ex marito, il figlio, quei poveri anziani genitori e tre fratelli, pur di costringerli ad accettarti nella loro famiglia; e alla fine s’è rigirata anche te, sino al punto di infischiarsene altamente che il tuo arresto avrebbe macchiato in modo indelebile lei ed i suoi figli prima di tutto, non pensando che la pubblica opinione fa presto ad etichettare le vittime di casi simili col marchio di “moglie di carcerato” e “figli di carcerato”; e di conseguenza estendendo l’insulto anche agli incolpevoli suoi genitori, a sorelle e fratelli tuoi e suoi; ingiuria insopportabile per quelle che sono state le innocenti vittime della vostra superficiale passione, i vostri cinque figli. Ecco ciò che rimane del vostro preteso “grande amore”, un immenso cumulo di cenere dopo il pauroso fallimento. In verità dovevano essere ben altri gli interessi che vi hanno legato e che soltanto voi due conoscete. Con gli anni ho anche capito il rifiuto della tua seconda compagna in risposta all’invito di partecipazione al matrimonio di mio figlio Bepi; invito che, molto esplicitamente, sottintendeva solo l’intenzione di spezzare una lancia in vostro favore; in fin dei conti stavate insieme da tanti anni, hai cresciuto suo figlio per oltre 25 anni. Avevate avuto anche una figlia insieme, l’unica nipote che non ho potuto veder crescere fra noi, raccontandole dei miei genitori, dei suoi nonni paterni; l’unica dopo mia figlia Rosa che porti il nome di nostra madre, e se la tua compagna ha accettato di chiamarla così, è l’inequivocabile segno che ci teneva alla tua famiglia, altrimenti avrebbe rifiutato. Penso che lei abbia deciso di non partecipare al matrimonio di Bepi per timore di tenere lo sguardo sempre basso nei nostri confronti, a causa del troppo pesante senso di colpa; vergogna di affrontarci dopo tanti anni, insomma. Ma posso rassicurarla che mai avremmo rivangato un passato ormai immutabile; l’avremmo accolta come una sorella. E col tempo saremmo stati felici di conoscere i suoi genitori e i fratelli. Anche se il padre me lo hai presentato quand’ero presidente dell’Assi Casa per un problema di manutenzione Iacp, non lo ricordo bene dopo i tanti anni trascorsi. Ma ciò che più mi addolora è la sorte dei due ragazzi rimasti a Bari; due nipoti per i quali mi rendo disponibile se avessero bisogno di consigli o di conoscere meglio le loro radici paterne; e se respingono questa mia offerta per motivi molto giustificabili, possono farlo da soli andando sul sito www.tinodabari.blogspot.com dove troveranno la storia bimillenaria dei Petino che ci appartengono. E se il ragazzo, pur rimanendo tuo figlio avendolo cresciuto per ben 26 anni, dovesse essere figlio naturale del caro amico Franco che abbiamo trattato tempo fa e che gli ha dato il cognome, quell’amico che rivedo volentieri e spesso in un filmino che conservo della Pasquetta 1989, fate un atto di carità cristiana rendendo i suoi diritti a quel padre offeso e le sue sacrosante radici al ragazzo. Ti avevo sempre detto di dare certezze a quel figlio con l’esame del DNA, e se è tuo, cambiategli cognome; caso contrario lasciategli il cognome del padre vero, che d’altronde è anche un nobile cognome, senza costringerlo ad una vita priva di quella basilare certezza che per ogni essere sono le proprie radici. A questo mio consiglio hai sempre opposto motivi finanziari; ma potevate ben vendervi un auto delle tante che avevate per una causa così vitale per il ragazzo; io lo avrei fatto senza alcun indugio. Comunque gli vorrò sempre bene, io; per me continuerà ad essere quel nipote che già avevo annoverato fra gli altri. Ricordo ancora una indelebile discussione che un giorno abbiamo avuto davanti alla Cariplo e di fronte a Sant’Antonio quando, ad una mia precisa accusa sui tuoi errori,  ribattesti in tono ricusatore “ … e tu che hai fatto …” permettendoti di paragonare la tua ingarbugliata situazione con la mia limpida ed esemplare, visto che io ed Alice siamo insieme da 45 anni, legati da un sentimento tanto intenso oggi come lo era allora; e i nostri figli, tutti Petino, sino ai 25 anni in media sono sempre vissuti sotto il nostro stesso tetto; hanno lasciato casa ognuno nel momento in cui ha deciso di crearsi autonomamente la sua famiglia con il proprio compagno o compagna; incomprensioni ce ne sono sempre e dappertutto, però con l’Amore profondo e sincero tutto si supera. Ma se manca l’amore è fallimento totale …

                                                                                  tuo fratello vito.

Edito  a  Bari il 12.10.2015

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