sabato 18 febbraio 2023

IL VOLO DI FRANCESCA

 UNA FERITA MAI RIMARGINATA, CARA FRANCESCA. UN PEZZO DI CUORE DEL TUO PAPÀ S'INVOLÒ CON TE QUEL 18 FEBBRAIO DEL 70, ANIMA MIA ❤🙏😪🙏❤...

A UNA FIGLIA CHE ANCORA MI STRAZIA IL CUORE 

 “Sei arrivata già alata e leggera come una piccola rondine. Ma il tuo canto garrulo non l’ho mai udito. E su quelle stesse ali hai preso il volo in fretta in fretta. Ho cercato d’afferarti ma sei stata più rapida del baleno a decollare verso le braccia, già pronte ad accoglierti, di quel Padre molto più grande di me. Stanne certa che ti avrei amata come Lui ti ama. Quando, le braccia inutilmente tese, ho capito che non ti avrei più ripresa, ti sei girata un’ultima volta, e con l’ancor rosea manina mi hai fatto un cenno. Ciao papà. Un saluto e quel dolce nome mai pronunciati ma sentiti col cuore di padre. Come in realtà ti sono stato in quei giorni brevi, ma per me pari agli anni vissuti con tutti i tuoi fratelli. E, col dolore più crudo nel cuore straziato, ho dovuto risponderti. Così presto, Francesca? Dopo soli 28 giorni? Quanto la durata del freddo febbraio, reso più freddo dal tuo volo astrale. Una prima carezza, un solo bacio, un ultimo abbraccio, almeno, mi sarebbero stati di conforto. No, non è vero, non è giusto, non mi sarebbero mai bastati. Aspettami, ti raggiungerò per darti in abbondanza e per sempre tutto quello che mi è stato negato di profonderti quale tuo papà terreno. Arrivederci piccolo, minuscolo Amore mio immenso.” Tutto è accaduto in quella fredda mattina del 18 febbraio del ‘70 …

A Francesca

 AUGURI A UNA FIGLIA MAI POTUTA STRINGERE AL PETTO

Ti aspettavamo qualche mese dopo, ma tu, figlia mia, avevi fretta. E due mesi prima, quando ancora immatura hai voluto affrontare i pericoli di un mondo avverso, prorompesti alla luce con la tua minuscola figurina. Eri poco più d’una rosea bambola in miniatura. Tanto piccola che attraverso le maniche dell’incubatrice infilavo le mani per accarezzarti, riuscendo a tenere il tuo delicato corpicino in una sola delle due. L’altra mano non faceva che accarezzarti continuamente per infonderti il calore necessario a creare energia sufficiente per venir fuori da quella piccolissima casetta di vetro. Reagisti nei primi giorni, illudendoci. Ma il tuo papà non ha saputo avvisarti quanto dura fosse la vita; non ha saputo difenderti contro i mali che affliggono gli uomini. Facemmo appena in tempo a chiamarti Francesca, ma il nome del nonno, che insieme a zio Nico ti hanno poi accolta festosi, non servì a prolungare la tua brevissima parabola terrena, accesasi quel lontano 21 gennaio del 1970 e spentasi appena 28 giorni dopo. Un autentico lampo che mi ha illuminato per poco, spegnendo poi la gioia di pochi attimi in anni di lunghissimo dolore rinchiuso. Ventotto trepidanti giorni fatti di pochissime ore, in cui le due sorelline più grandi ebbero il tempo di darti una sola sbirciatina speranzosa. Speranza, che tutti coltivavamo, di vederti al più presto uscire da quel cubicolo, trasformatosi invece in una bara di vetro come le principesse più sfortunate. Nemmeno il battesimo cristiano facemmo in tempo a impartirti, anche se il prete ci consolò con parole che ci assicuravano il Cielo per te, mia piccola donnina indifesa. Né il suono della tua voce, né una foto abbiamo. Ma di quei giorni ansiosi la tua immagine, che tuttora conservo in mente e negli occhi, è indelebile. Mentre le tue sorelle, i tuoi fratelli crescevano, ho immaginato giorno per giorno che saresti diventata bella come loro, prima ragazzina, poi donna. Ogni anno in questa data ti ho fatto gli auguri col cuore, oggi scrivendoteli. Ma in questo cuore, ormai vecchio, l’angolo d’amore a te dedicato è identico a quello degli altri tuoi fratelli. Per tutto ciò che non ti ho potuto dare in quei lunghi giorni brevissimi, provo ancora rimorso. Con amore, dal tuo papà …

Pasquale Dentuto

A PASQUALE DENTUTO, MIO CAPITANO

Agosto 63 ultimo sabato, accetto l'invito di un mio cugino di andare al ballo serale al Cral dell'Acquedotto alla periferia di Ceglie. Qui incontro Vincenzo Monno, che non vedevo da tempo.

- Ciao Enzo, come stai.

- Bene e tu? So che giochi in una squadra di Milano.

- Giocavo. Ma dopo due anni e la delusione finale, sono tornato, lasciando perdere il calcio.

- Ehi, uno come te che abbandona il pallone? Non ci credo.

E gli raccontai della visita medica all'ospedale di Niguarda, che mi fermò.

- Senti, Vito, perché non vieni con me nella Pro Inter. Ti diverti senza impegno stressante e non molli quella che so essere la tua passione di sempre.

Fu facile convincermi e posi una sola condizione.

- Purché la domenica non vi siano trasferte troppo distanti.

- No Vito. Non si superano i confini provinciali.

E fu così che la sera del primo martedì di settembre conobbi Pasquale Dentuto. Trovai Enzo con tanti altri ragazzi che si allenavano sul piazzale dell'Orazio Flacco. Enzo fece le presentazioni e con Pasquale fummo subito in sintonia, una simpatia a pelle. Seppi che gli allenamenti si tenevano in spiazzi cittadini, come i piazzali intorno allo Stadio della Vittoria, oppure il terreno antistante la Chiesa di San Francesco a Japigia, o come quella sera davanti al Flacco, perché la Pro Inter non aveva un campo casalingo proprio. Alla fine dell'allenamento dell'immediato giovedì a Japigia, fui convocato per l'amichevole della domenica dopo ad Altamura, nell'accordo fra le due società per la cessione di Nicola Ancona ai biancorossi dell'Alta Murgia. In quell'allenamento conobbi tanti compagni e dirigenti, che mi furono accanto negli 11 anni passati alla Pro Inter. I portieri Tanzi, Aiuola, Rana, Petaroscia, Perilli, i terzini Loseto, Putortì, Costanza, i mediani Capriati, Spinelli, Micheletti, gli stopper Lapomarda e Cassano, gli attaccanti Sedicino, Colangiuli, Cianci, Paterno, Catalano, Novembre, Campana, Schirone, Monno che già conoscevo come ho detto, Ancona con cui giocai quell'unica amichevole con l'Altamura. I dirigenti erano Carlino Schirone, con incarico  di accompagnatore in panchina e rapporti con gli arbitri, di altri non ricordo il nome, come quello di tanti compagni che ora mi sfuggono. Molti altri li conobbi negli anni successivi. La domenica dell'amichevole alle 11 ci vedemmo nella sede della società. In verità nel retro di una lavanderia di via Dalmazia in cui, oltre a provvedere al lavaggio di tutte le divise, grazie alla signora Poldina che faceva da magazziniere si può dire, si custodivano indumenti e attrezzi di gioco. Palloni nuovi, ma scarpe usate e sformate di ogni numero e appunto forma. Io avevo la mia coppia di Pantofola D'oro che calzavo alla perfezione. Cosi scoprii che la società oltre a un campo proprio, non aveva nemmeno una sede sociale, e si andava avanti anche con qualcosa che Pasquale rimetteva di tasca propria. Giocammo per i primi due anni a Rutigliano, 1963 e 1964; il 65 a Valenzano; tornammo a Rutigliano nel 66 e nel 67; nel 68 e 69 al Campo degli Sport, nel 70 era pronto il campo del San Paolo, ma non ancora omologato, così continuammo a girovagare per le partite casalinghe fra Campo di Adelfia, Noicattaro quello a polvere di carbone della Divella, e ancora il Bellavista, dove giocai la mia ultima partita il 24 dicembre 73, vincendo 17 a 2 contro la Modugnese. Nella prima partita ad Altamura conobbi il presidente Lillino Milanesi, che quando si vinceva immancabilmente si presentava a fine gara per darci il premio partita di 5 mila lire a testa, e se per impegni improrogabili non veniva ad assistere alla partita, consegnava la somma dei premi a Pasquale. In quella gara amichevole ad Altamura Pasquale mi affidò la maglia numero 10, che indossai in tutti i miei undici anni alla Pro Inter Bari. Quella gara la vincemmo 3 a 2, i gol li fecero Colangiuli il terzo, Pasquale il secondo, e il primo Ancona, giustificando ampiamente il suo acquisto fatto dall'Altamura. Pasquale invece mi sorprese due volte, non sapevo che oltre a essere allenatore, giocava ed era pure il capitano, fortunatamente avevo già conosciuto il presidente, sennò avrei pensato che Pasquale avesse pure quel ruolo. Ma la meraviglia fu nel vederlo giocare. Incerottato, con fasce elastiche a entrambe le ginocchia e una alla coscia destra, non correva ma faceva correre il pallone quasi sempre verso il compagno libero; la sua pluriennale esperienza gli permetteva di piazzarsi nella fascia centrale del campo, ben sapendo dove il pallone manovrato dagli avversari sarebbe passato per impossessarsene senza affannarsi. Non in tutte le partite si inseriva in formazione, sapendo quando le sue condizioni fisiche, e accadeva spesso, non gli permettevano di giocare. Ho giocato con Pasquale sino alla fatidica partita di Palese contro la squadra locale, marzo 67, dove si ruppe tibia e perone della gamba destra, e fu la sua ultima gara, per la cronaca finita 0 a 0. Pasquale ha avuto molta importanza anche nella mia vita extracalcistica. Non so quando Pasquale divenne collaboratore del presidente Lillino Milanesi, so che per la firma del cartellino della Pro Inter mi invitò a settembre 1963 in via Amendola nella sede commerciale del predidente. Aprile 64. Tornavo con la mia Lambretta a casa per la pausa pranzo. Percorrevo il lungomare verso Japigia. Dalla strada di fianco alla Caserma dei Carabinieri mi tagliò la strada un'auto senza fermarsi allo stop. Ruzzolai con tutto il mezzo fin sotto il marciapiede davanti ai Carabinieri. Mi prestarono aiuto. La prima voce che sentii fu quella di Pasquale, che passava in quel momento di là.

- Petino, c t si fatt. Tutt a ppost, Vito?

E io pronto.

- Tutt a ppost, Pasquà. Dmench pozz scquà.

A luglio del 64 persi mio padre e Pasquale mi confortò. Più che un fratello maggiore, si comportò da padre. A luglio del 65 lavoravo sul cantiere della circonvallazione nel tratto relativo al ponte su corso Sicilia. Erano già state riempite le spalle dei due muri di sostegno del ponte con materiale pietroso a strati sempre più piccoli sino al tappeto in brecciolino, per dare al fondo stradale la pendenza giusta alla salita dalla quota più bassa all'impalcato del ponte. Toccava rifinirlo con la tufina prima degli strati d'asfalto. Il materiale di polvere di tufo veniva trasportato in loco e scaricato da camion col cassone ribaltabile. Mio compito era quello di controllare che il carico arrivasse sino alle sponde del cassone con la cima del carico a piramide. Per farlo dovevo arrampicarmi alla sponda e salire su una ruota per guardare all'interno. Uno dei camionisti era proprio Pasquale che, vedendomi fare quell'operazione con l'anello al dito, mi venne incontro dicendo di togliermi l'anello. Anni prima aveva perso l'anulare sinistro per colpa della fede che, rimasta impigliata alla sponda del camion, glielo tranciò di netto mentre saltava giù dalla ruota, con tutto il peso del corpo che fece da strappo. Perciò mi suggerì di non lavorare mai sui cantieri con la fede. Grazie Pasquale, per tutto quello che mi hai dato in quei momenti bui dei miei anni giovanili. Un solo rammarico, aver fatto i primi allenamenti sul nuovo campo del San Paolo, senza aver poi giocato nemmeno una partita ufficiale, quando fu rilasciata l'omologazione dalla Figc. E da quel momento la Pro Inter Bari cambiò nome in San Paolo Bari ❤🙏❤...