sabato 5 novembre 2022

Maurucc

BARI ANNI 50, MAURUCC CU CAMBANIDD
(traduzione alla lettera in calce)

Do cinguand o cinguandatrè, Mamm ng prtav a piazza Ferrares a ffa u nzit, a fin settembr p scì alla scol e alla fin dlla scol p sci alla cologn estiv. O spund du mrcat du pesc, do cuest p la salit dlla Mragghij, stev u prton d l'Uffigg Igien du Comun. Iè dà a piano terr ca s scev a ffa u nzit. La dì apprim passav p l quartir d Bbar Maurucc cu cambanid e, snann snann mmenz all palazzin, scev dcenn.

- Uè l femmn, assit a sndì. Da doman a matin all'ott, all'Uffigg Igien du Comun alla chiazz du Ferrares, tutt l pccninn da se' iann a desc ann a ffa u nzit p scì alla scol.

A chidd timb no ng stevn strmind com a chidd d iosc p dà l notizzij velosc all crstian. U Comun d Bbar s srvev angor d nu bandtor alla ppet accom o uettcind p’avvsà l cttadin. Stu bandtor g-rav quartir p quartir ch nu cambanidd, ca schduav fort ch la man, apprim d grdà a ialda vosc la notizzij. U canscevn tutt cu nom d Maurucc cu cambanidd. Maurucc iev u nom ver du prim bandtor bares, e l baris p’abtudn da tand u uhann passat a tutt chidd che so vnut dop a ffa cudd mstir.

E la matin appriss alla passat d Maurucc tutt l mamm s mttevn in fil p'aspttà u turn loro ch l pccninn chiù pccnunn a man a man, e l uagnungidd chiù grann a fusc, ci da dà e ci da dò, tutt a ffa l diauw mmenz alla chiazz. C gbller iev p l mamm a spartl, c s’appzzcavn iun cu uald. E ch tutt chedda chiazz a sposizion, c uascezz iev p llor. Ma a desc mnut alla vold pccninn e uagnungidd passavn do prisc o dlor. Appen jind all’ambulatorij, la nvrmer, aijtat dalla mamm du pccninn, u pgghiavn sott, ng schmgghiavn u vrazz, mendr u dottor, tnenn n’asticciola mman, scaldav u pennin sop alla fiammell d na sprter. Qualche pccninn, a vdè cudd pstrigghij p la prima vold, chmnzav a cchiang. Ma non facev a ttimb mangh a disc ah!, che u dottor, baggnat u pennin dsnvttat sop alla fiammell jind a na spegg di calamar cu vaccin, ng facev nu rasc-ch sop o vrazz, e u nzit iev fatt. Iev stat chiù la pavur ca u dlor. E mamm e pccninn assevn chiù chndend. L chiù uappcidd nvesc assevn do prton dcenn “No ma fatt nudd”, ch nu sorrsidd strat sop alla vocch. La ser tutt ch qualche lign d frev ammusciat jind o litt, e la mattina dop tutt quann a fa arret l diauw, ch chedda paciacch sop o vrazz p tutt la vit, accom na mdagghij p la prima battaglij vngiut.

(sop all ftografì la chiazz du Ferrares e l nzit mi dop 78 ann)...

Traduzione
BARI 50, MAURUCCIO COL CAMPANELLO (banditore comunale)

Dal 50 al 53 Mamma ci portava a piazza Ferrarese a fare la vaccinazione, a fine settembre per andare alla scuola, e alla fine della scuola per andare alla colonia estiva. All'angolo del mercato del pesce, dal lato della salita per la Muraglia, stava il portone dell'Ufficio Igiene del Comune. È là al piano terra che si andava a fare la vaccinazione. Il giorno prima passava per i quartieri di Bari Mauruccio col campanello e, suonando suonando in mezzo alle palazzine, andava dicendo.

- Ehi le donne, uscite a sentire. Da domani in mattinata alle 8, all'Ufficio Igiene del Comune a piazza del Ferrarese, tutti i bambini da 6 anni a 10 anni a fare la vaccinazione per andare a scuola.

A quei tempi non ci stavano strumenti come quelli di oggi per dare le notizie veloci alle persone. Il Comune di Bari si serviva ancora di un banditore a piedi come all’800 per avvisare i cittadini. ‘Sto banditore girava quartiere per quartiere con un campanello, che scuoteva forte con la mano, prima di gridare ad alta voce la notizia. Lo conoscevano tutti col nome di Mauruccio col campanello. Mauruccio era il nome vero del primo banditore barese, e i baresi per abitudine da allora lo hanno passato a tutti quelli che sono venuti dopo a fare quel mestiere.

E la mattina appresso alla passata di Mauruccio tutte le mamme si mettevano in fila per aspettare il turno loro con i bambini più piccoli a mano a mano, e i ragazzini più grandi a correre, chi di là chi di qua, tutti a fare i diavoli in mezzo alla piazza. Che giostra era per le mamme a dividerli, se si appiccicavano uno con l’altro. E con tutta quella piazza a disposizione, che contentezza era per loro. Ma dieci minuti per volta bambini e ragazzini passavano dalla gioia al dolore. Appena dentro all’ambulatorio, l’infermiera, aiutata dalla mamma del bambino, lo prendevano sotto, gli scoprivano il braccio, mentre il dottore, tenendo un’asticciola in mano, scaldava il pennino sulla fiammella di una spiritiera. Qualche bambino, a vedere quel pasticcio per la prima volta, cominciava a piangere. Ma non faceva a tempo manco a dire ah!, che il dottore, bagnato il pennino disinfettato sopra la fiammella dentro a una specie di calamaio col vaccino, gli faceva un raschio sopra al braccio, e la vaccinazione era fatta. Era stata più la paura che il dolore. E mamma e bambino uscivano più contenti. I più guappicelli invece uscivano dal portone dicendo “Non mi ha fatto niente”, con un sorrisetto stirato sopra alla bocca. La sera tutti con qualche linea di febbre ammosciati dentro al letto, e la mattina dopo tutti quanti a fare di nuovo i diavoli, con quella patacca sopra al braccio per tutta la vita, come una medaglia per la prima battaglia vinta.

(sulle foto la piazza del Ferrarese e le vaccinazioni mie dopo 78 anni)...

venerdì 25 marzo 2022

SUDDEST

 Il mio Babbo ha lavorato in Suddest (come a casa l'abbiamo sempre chiamata) dal settembre 1943 a luglio del '64, quando era ancora in servizio. Gli avevano promesso il posto a uno di noi, ma fu promessa di marinaio e non da onesti ferrovieri. Abitavamo in via Carulli e al mio Babbo bastavano un paio di isolati per essere a Bari-garage ogni mattina alle 5 sotto il suo capo, Pasquale Marzano. A volte andava in trasferta lungo la linea Bari Taranto, nei due tratti Bari Putignano via Casamassima, oppure Bari Putignano via Adelfia. Nel tratto leccese non è mai stato. Tornava a casa ogni sera alle 5. Non ricordo se nel suo periodo in Suddest il sabato facessero festa o mezza giornata (mi piacerebbe saperlo, se qualcuno ne fosse a conoscenza, giusto per far quadrare alcuni ricordi che sto mettendo giù,  per completare il lungo capitolo dedicato alla ferrovia che ha permesso al Babbo di mantenere la sua famiglia con moglie e sei figli, e inserire quei ricordi con più esattezza nel mio libro Prendere la vita a calci). Il suo compito era ridipingere i segnali ferroviari usurati, oppure pareti, soffitti e infissi di stazioni dei tanti paesi sempre nello stesso tratto. Una volta sono stato in Direzione a portargli la colazione; Babbo e altri colleghi in un mese ridipinsero tutta quella sede, muri, porte e ringhiere della bella e ampia scalinata in marmo di quell'edificio in piazza Roma, che occupava tutta l'ala sinistra del vecchio palazzo della Gazzetta. Molte altre  volte, invece, quando non andava in trasferta, sono stato a Bari-garage a portargli il gamellino a doppio fondo con primo e secondo, che mia madre gli preparava a mezzogiorno, permettendogli di fare un pasto caldo, mentre in viaggio, portandoselo dietro dal mattino presto, lo trovava freddo. La domenica era sempre a casa. Ma non lasciava il pennello. Si dilettava a dipingere quadri il più delle volte per regalarli ai superiori. Preparava cavalletto, colori e tavolozza davanti al finestrone della stanza da letto, che dava sulla via principale, e da una cartolina ne copiava la veduta. Un sabato di Pasqua,  appena terminato un quadro con piazza San Marco di Venezia vista dal mare, mi portò con lui a casa dell'ing. don Ettore Ruggero, al piano rialzato di via De Amicis 2, nel grande edificio dei ferrovieri, per donargli il quadro promesso. Questa invece la lettera della promessa mai mantenuta al mio Babbo. Ah, mio Babbo era Francesco. Morì a 54 anni, l'8 luglio del 64, col fegato duro come pietra per le esalazioni delle vernici al piombo usate nel suo lavoro e respirate in oltre 20 anni. Nessuno di noi all'epoca sapeva di cause di servizio, o dell'obbligo di assunzione di un figlio dell'agente morto in servizio. Io vent'anni ero il più grande, avrei preferito cederlo a mio fratello di un anno meno. Ma la sorte ha voluto diversamente. Dopo qualche anno, geometra io e imprenditore mio fratello, abbiamo costruito molte case, anche in paesi dove il Babbo ha lavorato ❤👍❤...

Lido Marzulli

    PRECISAZIONI SUL LIDO MARZULLI

Rispondo contemporaneamente ad alcune richieste espresse da 

Nicola Ruggieri del gruppo Bari in foto e cartolina e di Nilde Lepore del gruppo Sei di Japigia se, in relazione al post “Il mio Lido Marzulli”.

Il lido chiuse ufficialmente l'attività nel 1955, ma in pratica dal settembre precedente fu abbandonato perché venduto a costruttori speculatori, che all'epoca compravano terreni dove capitava e poi con gli agganci politici li lottizzavano. Un gruppo molto fervido era quello che aveva costruito il nucleo originario di Japigia, le mitiche quattro traverse. E pensarono bene di anticipare i tempi per costruire sul mare. Anche la Galasso era di là da venire. Quel gruppo è poi lo stesso che aveva messo mani su Punta Perotti. Acquistato il Lido, non era comunque possibile costruire sulla striscia di mare. Si brigò per la costruzione della doppia carreggiata, con la scusante che la via Traiano, allora via Vecchia di Mola, era insufficiente a smaltire il traffico che andava in aumento giorno dopo giorno. Una doppia carreggiata avrebbe inoltre evitato lo zig zag fra lungomare, via Di Vagno (allora via Rovereto), via Traiano, Canalone. E che a loro interessasse solo quel tratto è dimostrato dall'aumentata asfitticità stradale dal Canalone in poi, senza che i problemi di traffico per uscire a sud della città fossero stati risolti. Successivamente fra acquisto del Lido e terreni limitrofi, costruzione della doppia carreggiata che allontanava la costa per soddisfare la sopravvenuta legge Galasso, passarono anni. Quando tutto pareva risolto per il meglio secondo le loro finanze vidi, un giorno che passavo di là, i primi escavatori che avevano iniziato a realizzare il piano di fondazione. Devo premettere che nell’80, grazie ad alcuni amici d’infanzia, come Licio Calabrese e Onofrio Introna, e alcuni colleghi di diploma, come Rocco Stefanelli, che erano parte attiva del partito social democratico barese, conobbi l’on. Michele Di Giesi. Fu Licio Calabrese che mi portò nella sede del partito, a quel tempo in corso Sonnino prima dell’ex cinema Impero. Professionalmente mi interessavo a realizzazioni residenziali con diverse cooperative edilizie. I miei amici, tramite l’onorevole, sapendo della mia esperienza, mi proposero la costituzione di una cooperativa di lavoro. Ne avevo già una di servizi, la Self Service srl, ma lo statuto sociale non andava bene per quella attività che mi proposero. Così ne costituii una nuova, Arte e Lavoro srl, il 21 aprile dell’81, dal notaio Giovanni Tatarano di Bari, con una voce, fra le altre dello scopo sociale, che recitava espressamente “la società potrà gestire anche l’amministrazione con relativa manutenzione di porticcioli turistici”. Nel giugno successivo fui eletto consigliere dc della circoscrizione Japigia Torre a Mare. Intanto negli uffici tecnici comunali la lottizzazione di Punta Perotti procedeva spedita. L’on Di Giesi, in accordo con tutti i partiti, fece inserire nella rada di fronte a Punta Perotti la realizzazione di un porticciolo turistico, alla stregua di altre città marinare del nord. Fra Circolo della Vela e Barion, aggiungendovi pure i porticcioli di Torre a Mare, Palese e Santo Spirito, lo spazio per le barche non era più sufficiente, considerando anche inadeguato il fondale marino per barche d’un certo pescaggio. Nel frattempo l’on. Di Giesi era riuscito a far stanziare per quella realizzazione nautica dal governo centrale la somma di 3 miliardi di lire. Intanto io politicamente mi ero avvicinato alla corrente dc dell’on. Antonio Matarrese e sul suo studio, all’ultimo piano di viale (non capisco perché viale per una via cortissima e occlusa dal muro della ferrovia, comunque) dicevo viale Caduti di Tutte le Guerre se ricordo bene civico 7, ho conosciuto il compianto dr Michele Giura, il dr Massimo Vitone, Gianni Pennisi, e altri, a parte un altro amico d’infanzia prematuramente scomparso, il dr Pasquale Abrescia, che in tempi di delegazioni di quartiere tutti nel rione chiamavamo il Sindaco di Japigia. Purtroppo abbiamo perduto a fine 83 pure il caro on. Di Giesi. E da quel progetto del porticciolo turistico fui escluso. Ma nella lottizzazione originaria rimase. Grande fu quindi la mia sorpresa nel vedere le ruspe all’opera per realizzare gli edifici residenziali. Voci sempre più pubbliche già parlavano di illeciti alla Galasso, che prevedeva una distanza dalla battigia di almeno 300 metri. Qualche mese prima avevo incontrato il dr Giura in compagnia di un geometra dei Matarrese, e giorni dopo il caro geom. Salvatore Cotena, tecnico di fiducia di don Ciccio Quistelli, uno degli imprenditori di Punta Perotti, nonché costruttore di diverse palazzine delle nostre cooperative. Avendo studiato nei minimi particolari la realizzazione del porticciolo nella rada di fronte, offrii il mio parere per rimanere nella regolarità edilizia. Suggerii loro “Vi conviene prima metter mani alla costruzione del porticciolo, che fra banchine e moli allontana la battigia di almeno 5, 600 metri. E con la Galasso siete a posto”. Dai Matarrese non trapelò nulla per quel mio suggerimento, ma da Salvatore seppi che ne aveva parlato, ricevendo come risposta che alle imprese conveniva iniziare i lavori di fondazione per cominciare a vendere appartamenti sulla carta. “La stessa cosa potreste fare, cominciando la costruzione del porticciolo, e vendendo sulla carta i posti barca, che andrebbero a ruba”, replicai. Ma visto il procedere dei lavori, capii che era stato fiato sprecato il mio. La parte che più mi addolora di quest’ultimo episodio è la tragica scomparsa, avvenuta qualche anno dopo, del caro Salvatore Cotena, che ci rimise la pelle in un tamponamento con il Fiorino, stracolmo di materiale, dell’impresa per cui ancora lavorava. I fatti successivi hanno invece addolorato tutti i cittadini baresi che, incolpevoli e invertendo i termini, dopo essere sati beffati, stanno pure subendo il pagamento dalle proprie tasche degli ingenti danni provocati per una stupida fisima politica. E colpendo alla cieca hanno colpito tutti. E non è ancora finita. Da tecnico devo purtroppo ammettere il dispiacere del tanto bene buttato per lo scempio compiuto da stupidi politici che, pur di cantare vittoria come lo storico Pirro, non si sono accorti delle sconfitte social-economiche subite, ma mai a loro addebitate. Edifici che oggi, recuperati e abitati, fra negozi e case private, avrebbero dato lavoro a tutti. Senza considerare il porticciolo turistico. Come al solito i veri colpevoli non pagano mai scelte, anche politicamente personali, totalmente sballatissime.

E ora vi illustro le foto allegate fra stato dei luoghi originari e situazioni attuali, per dare risposte soddisfacenti anche alla signora Nilde Lepore sull'attuale panepomodoro, che all'epoca, come già descritto, era molto più a sud, e fino al Canalone. Il lungomare finiva dove oggi c'è il semaforo. Si era costretti a girare a destra, per poi, in fondo a via Di Vagno (allora via Rovereto), girare a sinistra in via Traiano che finiva sul Canalone e riprendeva la costa della via Vecchia di Mola, com'è oggi, Trullo, Camping, continuando dritto ci si immetteva sulla SS 16 a due sole corsie una a sud e l'altra verso nord, oggi circonvallazione, allora inesistente. Oppure sempre in fondo a via Di Vagno, si superava il passaggio a livello per entrare a Japigia, nuovissimo rione di Bari. Nei grafici i limiti sono orientativi, non di precisione, giusto per dare un’idea fra passato e presente; lo stesso per le date...


Grafico 1 presumibilmente del 1955 – La linea rossa in evidenza è, più o meno, dov’è oggi la battigia; 1 Punto in cui nel 1948 finiva il lungomare; 2-2 Via Rovereto (oggi Di Vagno); 3 Istituto Marconi; 4 Dov’era ubicato il passaggio a livello di Japigia prima della costruzione del ponte; 5 Ruderi del vecchio Macello Comunale; 6 Fiat sede Bari; 7 Via Oberdan; 8 Viale Japigia; 9-9 Via Imperatore Traiano; 10 Sede binari FS; 11 Casello FS abbandonato; 12 Terreno agricolo di G-lorm poi deventato il “nostro Panepomodoro”; 13 Zona dei Capannoni e campetto di calcio Morcavallo; 14-14 Ruderi ex Lido Marzulli con ingresso da via Traiano; 15-15 Tratto del lungomare costruito dal 48 al 55; 16-20 Limite della colmata del mare; 21 Ponte sul Canalone; 22 Canalone Valenzano; 23 Ristorante Transatlantico; 24 Ruderi dell’ex Stazioncina FS Parco Sud, con molti vagoni merci abbandonati, forse residui bellici; 25-28 Le mitiche 4 traverse di Japigia, nucleo originario ai primordi del nuovo Rione; 29 Campo sportivo Japigia, dove dall’autunno 54 al 60 circa la UISP sezione di Bari, diretta allora dal bravo signor Vincenzo Lanza, organizzò tornei di calcio cittadini ad alto livello, vi hanno giocato anche ex giocatori di A e B, e qualcuno in attività nella C; 30 Mitico Panificio Japigia di Nicola Caricola;


Grafico 2 situazione attuale – In marrone il limite del lottizzato porticciolo turistico, mai realizzato; in rosso il limite della vecchia battigia ai tempi del Lido Marzulli;


Foto 1- Lungomare Nazario Sauro 1955. In primo piano il lungomare sino a via Rovereto, poi Di Vagno. Ben visibili la Caserma Bergia della Legione dei CC, il Palazzo dell’Agricoltura dietro cui è visibile l’area su cui nel 59 sarà poi costruito il Palazzo RAI, e ancora il Marconi, e in secondo piano a sinistra il passaggio a livello e parte del rione Japigia, appena dietro di esso i capannoni della Fibronit e sulla stessa linea a destra il deposito di legname della Feltrinelli; sullo sfondo il lungo tratto dei binari FSE, e dietro parte dei nuovi edifici residenziali di Carrassi e, al limite, del Picone; Poggiofranco era solo campagna;


Foto 2 – 1954/55 via Imperatore Traiano e viale Japigia con l’ex passaggio a livello FS in primo piano;


Foto 3 – Muro sberciato delle ex officine Morcavallo presso cui alcuni cocchieri posteggiavano i loro carri con cavallo nel 1948, stesso periodo in cui nostra madre e le sue amiche ci portavano a fare il bagno nella caletta sabbiosa accanto a quel gruppo di persone, dov’erano ubicate le baracche balneari in legno; sul fondo la Caserma dei CC, il palazzo dell’Agricoltura e lo spiazzo vuoto senza la RAI;


Foto 4 – L’ala nord del muro di recinzione del Lido Marzulli;


Foto 5 – Edifici ricreativi del Lido Marzulli, oltre i quali c’era il muro di recinzione a sud e subito dopo la campagna di G-lorm u chzzal, quello che ci dava i pomodori per companatico, e noi di riflesso abbiamo dato il nome dei suoi frutti e del nostro panino a tutto il terreno sabbioso, che andava dal Lido al Canalone;


Foto 6 – Muro ancora esistente nel 55 del Morcavallo, dove fu poi realizzata la seconda zona dei giardini Gramsci;


Foto 7 – Ristorante Transatlantico, in attività sino ai primi anni 60;


Foto 8 – Quella che doveva essere Punta Perotti edificata; la rada in primo piano sarebbe stata colmata per realizzare il porticciolo Turistico.

domenica 27 febbraio 2022

COMMERCIAND BARIS

           L COMMERCIAND BARIS D VIA SPARAN E LA POLITCH

(traduzione in calce)


Giuann e Colin ievn chmbagn d Barvecchij da pccnunn. Chiù uagnungidd, frnut la quind elemendar, furn pgghiat a fadgà jind a du' ngozzij d via Sparan a ffa l pulizij, a mett a ppost l'artighl jind all sc-caduw, a sci a cattà l sigarett all patrun, o a sci alla post, o vccir, oppur alla farmacì. Nzomm, tutt fatich cchiù for ca jind all ngozzij. Giuann fadgav a nu ngozzij d'abbigliamend, Colin a iun d scarp. A digiannov'ann Giuann, e a digiott Colin, dop avè fatt tutt la trafil, dvndorn prim commess. Sop a llor stevn asslut u patrun e u cap commess. Ievn svegglij, brav e velosc. Dop quindci'ann, tutt'e du’ dcdern d metts p cund lor. Acchiorn nu local grann, ch do' vtrin, a cors Cavurr; u pgghiorn in fitt, u dvdern a metà, e Giuann a na vann condinuò a venn abbigliamend e Colin, appriss a jidd, l scarp. Ogni matin Giuann vnev dalla chiazz du Ferrares, Colin dalla vann d chiazza Chiurlì. E s ngondravn ognun vcin o ngozzij sù.

- Bongiorn Giuann!

- Cià Colin! Mocch, accom pes ad alzall sta serrand.

- A cciù disc. Ogni matin m dol la sc-chen.

- Sciamg a pgghià u cafè p'acchmnzà bbon la scrnat.

- Aspitt che avvis-ch la uagnedd. Teresa, vit ca stoggh a sci o bbar ch don Giuann, uè quaccheccos pur tu?

- Sì, don Nicola, un caffè.

- E da mangià no uè nudd, nu cornett, na briosc?

- Grazie don Nicola, solo il caffè.

- Aaahh, iè p Vnginz. Angor t'allass c t ngrass.

Na vold assut do ngozij, Ncol dcì.

- Sciam alla Mott, che u fascn megghij u cafè.

Arrvat jind o bbar, ordnorn du cafè allungat e na pastaredd appdun, e Giuann racchmannò a Nicol.

- Non zi mtten tanda zzucchr, che non zim cchiù giuvn.

- Dopdoman stonn l votazzion. Mu fasc nu piacer, Giuà. Put da' u vot o figghij d na chmmar d sorm? 

- E jidd po' c m fasc. M ven ad alzà ogni matin la serrand. Sta tutt la dì all'mbit a rcev clijnd. M fasc uadagnà u ppan senza fadgà. Camin, vattinn tu e chidd mbrusun. C no m ialzch jì la matina subbt, u ppan a cas non u portch, né a mme e mang p llor. Aquann no ng stev la politch, senz tutt chidd legg e regolamend, ca ng fascn perd timb e trris, ch tanda mbiegat mangia mang ca stonn in gir, l cos scevn megghij p ttutt. La politch serv asslut a llor p rbbang trris s-dat, pu rest no n'zerv a nu cazz!

- So capit. Sciam a fadgà! Cià Giuann.

- Cià Colin ...


I COMMERCIANTI BARESI DI VIA SPARANO E LA POLITICA

Giovanni e Nicolino erano compagni da bambini. Più ragazzini, finita la quinta elementare, furono presi a lavorare dentro a due negozi di via Sparano a fare le pulizie, a mettere a posto gli articoli dentro le scatole, ad andare a comprare le sigarette ai padroni, o ad andare alla posta, al macellaio, oppure alla farmacia. Insomma, tutti lavori più fuori che dentro ai negozi. Giovanni lavorava a un negozio di abbigliamento, Nicolino a uno di scarpe. A diciannove anni Giovanni, e a diciotto Nicolino, dopo aver fatto tutta la trafila, diventarono primi commessi. Su di loro stavano soltanto il padrone e il capo commesso. Erano svegli, bravi e veloci. Dopo quindici anni, tutt’e due decisero di mettersi per conto loro. Trovarono un locale grande, con due vetrine, a corso Cavour; lo presero in fitto, lo divisero a metà, e Giovanni a una parte continuò a vendere abbigliamento e Nicolino, appresso a lui, le scarpe. Ogni mattina Giovanni veniva da piazza del Ferrarese, Nicolino dalla parte di piazza Chiurlia. E si incontravano ognuno vicino al negozio suo.

- Buongiorno Giovanni!

- Ciao Nicolino! Mamma, come pesa alzare la serranda.

- A chi lo dici. Ogni mattina mi duole la schiena.

- Andiamoci a prendere il caffè per cominciare bene la giornata.

- Aspetta che avviso la ragazza. Teresa, vedi che sto andando al bar con don Giovanni, vuoi qualcosa pure tu?

- Sì don Nicola, un caffè.

- E da mangiare non vuoi niente, un cornetto, una briosce?

- Grazie don Nicola, solo il caffè.

- Aaahh, è per Vicenzo. Ancora ti lascia se ti ingrassi.

Una volta usciti dal negozio Nicola disse.

- Andiamo alla Motta che lo fanno meglio il caffè.

Arrivati nel bar, ordinarono due caffè allungati e una pastarella ciascuno, e Giovanni raccomandò a Nicola.

- Non ci mettere tanto zucchero, ché non siamo più giovani.

- Dopodomani stanno le votazioni. Mi fai un piacere, Giovà. Puoi dare il voto al figlio di una commara di mia sorella?

- E lui poi che mi fa. Mi viene ad alzare ogni mattina la serranda. Sta tutto il giorno in piedi a ricevere clienti. Mi fa guadagnare il pane senza lavorare. Cammina, vattene tu e quegli imbroglioni. Se non mi alzo io la mattina presto, il pane a casa non lo porto, né a me e manco per loro. Quando non ci stava la politica, senza tutte quelle leggi e regolamenti, che ci fanno perdere tempo e soldi, con tanti burocrati mangioni in giro, le cose andavano meglio per tutti. La politica serve solo a loro per rubarci soldi sudati, per il resto non serve a un cavolo!

- Ho capito. Andiamo a lavorare! Ciao Giovanni.

- Ciao Nicolino…

mercoledì 23 febbraio 2022

BARI PECULIARE

 MENO LAMENTI E PIÙ CONCRETEZZA

Pensavo che il ritorno della nostra Gazzetta, intanto mettesse in soffitta altre testate che ci succhiano soldi senza alcun ritorno finanziario, e in primis facesse accantonare quei cliché consunti dai secoli sulla incapacità congenita di noi baresi a realizzare, cliché a uso gratuito di quelle stesse testate nordiste e dei loro scodinzolanti parlamentari, che cercano proprio il pelo del calvo per dirottare finanziamenti sacrosanti a noi spettanti per diritto costituzionale, avvalendosi di quelle incapacità che noi stessi denunciamo fuori dalla famiglia per farci rigettare i panni sporchi in faccia. Panni che alla fine sempre noi dobbiamo lavare, spandendo pure denaro prezioso nelle ingrate contrade del nord per detersivi prodotti in quelle lande nebbiose, nebbiose non solo per causa naturale. Eppure di tasse a Roma ne convogliamo quanto le grandi regioni del nord. La loro intraprendenza innata i commercianti baresi l'hanno dimostrata e messa in pratica, realizzando questa magnifica città, manco vagheggiata dal français Murat, che si limitò "all'immane" sforzo di posare la prima pietra, prima di scapparsene nel contado calabrese a farsi fucilare. Fucilazione che meriterebbero pure molti disonorevoli che sgovernano l'Italia da trent'anni a 'sta parte. Denunciare mali con una lista chilometrica di disservizi, senza suggerire rimedi lo sanno fare tutti in possesso almeno di un paio d'occhi, capaci di vedere la situazione. E quando qualcuno si adopera nell'agire, per quel poco, con quel poco che in cinque anni si possa fare, ci sono immediati lai gufeschi di invidiosi e gelosi, che in tutti i modi cercano di bloccare ogni iniziativa che non sia partita dalle loro menti dormienti. Se Bari fosse rimasta immobile, sonnolenta, come si fa intendere con termini foschi, staremmo ancora fermi a quella Bari stratificata da un paio di millenni. Invece la nostra industriosità, il nostro forte spirito imprenditoriale s'è inventato i riempimenti costieri, lungo i quali opere stupende sono state realizzate. Senza quelle iniziative non avremmo ora uno dei più bei lungomari del mondo, dal Margherita ai giardini Gramsci. Quel lungomare effigiato da cent'anni in cartoline, foto, filmati e opuscoli turistici. Riempimento della costa tentato pure dalla buonanima del fattivo onorevole Antonio Di Giesi, che tentò di inserire negli anni 70, in quel che era la lottizzazione di Punta Perotti, la progettazione del porticciolo turistico proprio di fronte agli edifici ivi previsti. E riuscì nel 1980, dopo forti tensioni parlamentari, fomentate proprio da altri onorevoli, appunto gelosi e invidiosi per colore avverso, compreso alcuni disonorevoli baresi, a far passare sulla carta un finanziamento di tre miliardi per quella realizzazione mai più utilizzati. Ma l’ingordigia dei costruttori precluse quell’intervento, temendo un fermo dei propri cantieri per ulteriori perdite di tempo relative a lungaggini burocratiche. Finanziamento probabilmente involatosi al nord. Se invece tutti avessero appoggiato la lungimirante iniziativa dell’onorevole Di Giesi, non avrebbero, non avremmo passato tutti i guai futuri e non ancora conclusi. La realizzazione del porticciolo prevedeva un interramento del mare verso il largo di ben 600 metri fra strutture e infrastrutture, con buona pace della Galasso, e indubbio vantaggio in quanto al verde che sarebbe stato realizzato tutt’intorno agli edifici e allo stesso complesso nautico. Ho vissuto sulla mia pelle di professionista d’edilità la pagina più nera della storia barese d’espansione urbanistica, che non avrebbe comportato ulteriore spreco di suoli, sottraendo quelle aree al mare, come in passato era già stato fatto per la realizzazione appunto del lungomare più bello. Invece da ogni dove italico si riversarono sul lungomare Perotti personaggi politici in maschera che, nella loro foga carnascialesca di colpire imprenditori locali, imprenditori d’un certo colore politico, hanno invece colpito tutti noi cittadini baresi, abbattendo capitali privati ingenti, abbattimento materiale che alla fine si è trasformato in rivalsa sul pubblico denaro, cioè il nostro. Noi cittadini, e in questo caso mi riferisco a tutti gli italiani, ci comportiamo in politica come i peggiori sostenitori di scalmanate curve calcistiche, tifando ciecamente per il proprio colore, qualsiasi cosa, anche di buono, facciano gli avversari. Guardate l’attuale governo multicolore quanti grattacapi crea al povero Draghi, indubbiamente capace, ma a ogni provvedimento reso sterile dalle piccinate di individui abbastanza grandi invece, se occupano quello scranno in parlamento. E doveva essere un governo di solidarietà nazionale, vista la pandemia che da due anni ci blocca. Figurarsi in condizioni normali che caos avrebbero scatenato. Ma mettete, voi personaggi volgari, una volta per sempre le vostre bandiere sotto il banco parlamentare, e pensate a remigare tutti nella stessa direzione, se non volete continuare a stare nell'impasse del giro vizioso dell’incapacità personale e far naufragare il Paese. Dunque, meno critiche e più fatti, proprio come sta facendo il sindaco Antonio De Caro che, nei suoi anni d’amministratore, ha rivoluzionato la città, dandole quell’aspetto europeizzante odierno. Quel che non mi capacita è il comportamento di tanti miei concittadini. Spiegatemi il perché quando siete all’estero, o in nostre città del nord, pur per gettare la piccola carta che avvolge una caramella, vi fate tranquillamente e senza sbraitare qualche centinaio di metri sino al cestino dei rifiuti più vicino, e nella nostra Città invece… Un po’ di civismo in più vi farebbe cittadini degni anche della nostra Bari. Soprattutto applicate il principio del costo zero in ogni vostra spesa, anche in editoria, se volete che la ricchezza ci resti in casa…

martedì 22 febbraio 2022

TRE GENERAZIONI E GAZZETTA

 TRE GENERAZIONI E LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO. E NON FINISCE QUI …

Quando nascevo nell’ottobre del 1944, la Gazzetta del Mezzogiorno compiva 57 anni. A ragione, quindi, posso considerarla alla stregua di una nonna, confermando la parentela con dati di fatto che mi accingo a raccontare. Non della solita nonnina dell’epoca, semianalfabeta, che si piccava di sapere tutto per insegnarci a vivere. Ma di una nonna colta, sempre pronta a indirizzare i propri nipotini verso il miglior futuro possibile, per ognuno di loro. Mio nonno, nato il 13 dicembre 1884, appena tre anni prima della Gazzetta, l’ho sempre visto andare in giro con lei sottobraccio. Abitava al numero 50 di via Villari, nell’abbaino più in alto, al terzo piano. Amico di Pasquale Carenza e vicini di bottega, ogni mattina s’incontravano sul corso Vittorio Emanuele per consumare il primo caffè della giornata da Stoppani. Insieme, poi, entravano nel locale accanto, vecchia sede dell’agenzia Lobuono in prossimità di via Sparano, per comprare la Gazzetta. Sapore di caffè caldo sulle labbra e fresco odore di stampa del quotidiano fra le mani. Iniziavano abitualmente così la loro giornata lavorativa in via Piccinni, mio nonno al 104 dove artigianalmente fabbricava col gesso statuette da presepe, cornici e rosoni, colorati con materiale che acquistava da Carenza nella sua bottega al 114. Ricordo ancora con rilassante gioia i momenti passati in quel locale con mio fratello Lillino, incantati dalle statuette colorate, e presi da un gioco che potevamo fare solo in quel locale dove, per entrarci, bisognava scendere due gradini dal marciapiede esterno. Scendere e salire di corsa quei due gradini e in un continuo dietrofront proprio come due marionette, non so perché, ma ci faceva ridere fino alle lacrime. Se mio nonno se la portava sottobraccio la sua Gazzetta, quel ferroviere di mio padre la dispiegava in casa pagina per pagina, ogni sera appena tornato dal suo impegno giornaliero alla Sud-Est, per sopperire a quei rudimenti che non aveva potuto avere da sua madre, morta quando lui aveva otto anni e mezzo. Una madre premurosa la Gazzetta per mio padre, anche se fredda e severa come un’insegnante deve essere, dispensando anche a noi figli notizie quotidiane, di cultura, di svago, sempre nel nome della cruda Verità. E, purtroppo per la nostra famiglia, anche di cronaca locale, come quella mattina del 13 giugno 1953 quando, riportando un incidente del giorno prima, in un trafiletto di poche e fredde righe che disgraziatamente ci coinvolgevano, comunicò la tragica notizia della caduta da un balcone di un mio fratello di 15 mesi. Cicatrici che non si rimarginano mai. Il tempo scorre lo stesso, e mi consola il pensiero che tutti i 130 anni di Gazzetta sono stati seguiti da tre generazioni della mia famiglia. La vita continua, e a due generazioni ancora, figli e nipoti miei, sto per passare il testimone, in modo da seguire sempre la via che il nostro quotidiano ci indica. Al di là di fatti personali, consiglio tutti i pugliesi di acquistare giornalmente LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, piuttosto che altre testate, soprattutto nordiste, convogliando infruttuosamente una parte della nostra ricchezza verso gente che non ha mai fatto nulla per noi del Sud, affossandoci sempre di più in continue crisi senza fine. Facciamo valere anche in campo editoriale il principio del costo zero…


giovedì 17 febbraio 2022

L CHIANGIA MUERT

FEMMN CHE CHIANG-N E PREGHN L MUERT D L'ALD A PAGAMEND (CHIANGIAMUERT E PREGAMUERT)

(traduzione in calce)

- Pasquà, si s-ndut. Iè muert Tetè.

- C m st’addisc, Gigin. E ccom’iè muert. Aijr u so vist e stev bbun. Non tnev mangh cinguand’ann. Com’è s-cciss.

- Stamatina subbt s stev a rragà ch la mgghijer, ha cadut nderr e non z’av’alzat cchiù. U uann prtat o sptal, attimb attimb u prevt a fatt a dang l’estrem unzion. Non ngè stat nudd da fa’. Infart flmnand.

- Aaah, quanda vold ngiù sò ditt. “Lassala perd, Tetè. Chedd non’ev p te. Tu la si vlut spsà p fforz. Figghij no n sit avut, lassl e iacchijt na femmn ca fasc p te.”

- Iè vver, Pasquà. Ijdd nonn’ev probbij nu bell’omn. Iedd iev cchiù pccnonn assà, ma po’ s’è fatt nu sort d prchion. Biat a c s la pigghij la vedovell. Nu’ sim spsat, o s no …

- Ma si scem, Gigin. Acchsi aviss passat tu l stess uà d Tetè. Megghij c s pigghij iun ca non canscim. Qualche spassat ng la ptim semb fa. Prim stev Tetè, ca iev comm a nu frat. Ma da chedda port u sa quanda stragnij so trasut. Sciam, Gigin, sciam sop alla cas a dding na preghijr.

- Va’ tu nnanz, Pasquà. La sor d Tetè ma dditt d sci a chiamà l do’ chiangiamuert che iavtn o spund. Ng vdim sus.

Ijnd alla stanz da lett stev Tetè stnnut sop’o litt ch quatt cannel atturn. Appriss a ijdd, o lat du litt, stev la viduw, probbij drmbett alla fnest. Cu fazzuett mman chiangev citta citt. S-dut alla segg, tutta truccat e sparmbitt mangh c stev o tiadr. Atturn atturn o mur stevn assdut all sigg tutt l parind, l’amisc e l vcin. Arrvorn Gigin e l chiangiamuert. L do’ femmn, già prond cu rsarij mman, s’assdern o uald lat du litt. Dret a llor rmanern allmbit Pasqual e Gigin.

- Commà, u prevt ngià dat l’estrem’unzion stamatin o sptal, quann iè arrvat che no ng stev cchiù nudd da fa’. E po’ u’ann prtat do, prcé acchsì a vlut la mgghier. Ptit acchmnzà u rsarij.

L do’ chiangiamuert acchmnzorn nzim.

- Av Marì, grazia plen, Dominùm tecùm. Bnditta fra le donne, e bnditt u frutt del vendro tuo, Gesù.

L do’ femmn s’affrmorn e attaccò u cor d tutt l’ald.

- Sanda Marì, Madr di Di’, prigh p nu peccator, adess e nell'or dll nosta mort. Amen.

E mendr u cor prgav, l do’ bzzoch citt citt s parlavn ijnd all recchij.

- La si vvist accom sa chmbnat. Pur ijnd a stu brutt m-mend s’a ttngiut facc e mmuss – dci iun.

- S’aveva nasconn la facc dret a na masc-chr e’nvesc s ndrzzesc totta tott accom a na modell, Probbij na zocchn – dci l’ald, e subbt attacorn arret cu rsarij.

- Av Marì, grazia plen, Dominùm tecùm. Bnditta fra le donne, e bnditt u frutt del vendro tuo, Gesù.

U cor condinuò la preghijr e lor e du’ citt citt condinuorn ch l cridch.

- Sanda Marì, Madr di Di’, pregh p nu peccator, adess e nell'or dll nosta mort. Amen.

- Ci iè chedd che sta appriss a iedd?

- La chmbagna so’, addò dcev assà vold a cudd povridd du marit che scev a ddorm la nott. E’nvesc s n scevn a fa’ porcarì ch l mascuw.

- Av Marì, grazia plen, Dominùm tecùm. Bnditta fra le donne, e bnditt u frutt del vendro tuo, Gesù.

U cor da na vann prgav e lor ch l cridch in silenzij dall’ald.

- Sanda Marì, Madr di Di’, prigh p nu peccator, adess e nell'or dll nosta mort. Amen.

- Chiamind, chiamind commà, accom s la sta streng cudd ch la scus dll condoglianz.

- Iè u l’uldm cmbar su’. Fasc sc-chif pur ijdd, però. Ci’a vnut affà cudd crnut accmat, u sap che tutt u sabbn d lor e ddu’.

- Av Marì, grazia plen, Dominùm tecùm. Bnditta fra le donne, e bnditt u frutt del vendro tuo, Gesù.

- Sanda Marì, Madr di Di’, prigh p nu peccator, adess e nell'or dll nosta mort. Amen.

E durand u cor.

- Zprevt nest non’u so vvist. Vlev probbij vde la facc d Zprevt. Dall recchij so ann passat tutt l pccat dlla viduw.

- Ij so saput do’ sacrstan che na vold s-ndì Zprevt grdà comm a nu matt, e po’ la cacciò dalla Chijs. No’ng vli da’ la soluzion tand n’avev chmbnat chedda s-man.

- Av Marì, grazia plen, Dominùm tecùm. Bnditta fra le donne, e bnditt u frutt del vendro tuo, Gesù.

- Sanda Marì, Madr di Di’, prigh p nu peccator, adess e nell'or dll nosta mort. Amen.

E semb citt citt a ogni minz rsarij, l do’ chiangiamuert condinuorn a disc senza vvrgogn nfamtà condr alla povra uagnedd.

- A quann sim trasut si vvist tutt chidd mascuw. Tutt ann bagnat u biscott ijnd a chedda tazz. E so picch. P chedd che so s-ndut ij so assà d cchiù che la bambolin tnev atturn atturn accom l mscuwn.

- Possibl. Non’è che l mal lenguw ngi’ann tagghiat l pann nguedd a chedda povredd. Chiamindl cchiù megghij, par n’angiolett.

- Faccia d’angiuw e cor d diauw.

- Av Marì, grazia plen, Dominùm tecùm. Bnditta fra le donne, e bnditt u frutt del vendro tuo, Gesù.

- Sanda Marì, Madr di Di’, prigh p nu peccator, adess e nell'or dll nosta mort. Amen.

E a stu pund u rsarij frnì. L do’ chiangiamuert s’alzorn, s’avvcnorn alla viduw e ad’alda vosc dcern.

- Condoglianz, signò. C pccat u marit uest. C bella copij che faciv. C sul avessv avut figghij ….. Nu sim frnut. Ng n sciam.

- Grazie, commà. Per il fastidio passate da Checchella.

- Ma non v sit procupann, ste timb.

Ndand, s’avvcnorn alla sor d Tetè p l condoglianz e la cchiù vecchij stnnì la man e ppgghiò l trris ca Checchell tnev già prond ijnd alla man.

- Condoglianz pur a vu’ commà. V vlev disc ca prim quann sim arrvat, so vist assì tanda crstian dalla chccin ch panin e iald candrimind mman.

- No mbasc nudd, commà. Iè acchsì a quann s-ccedn l dsgrazij. Tutt n’approfittn.

E s n scern subbt rpgghiann scala scal a disc sottovosc d tutt l clur condr a chedda povra uagnedd, ch chidd vocch d virm ca Crist ngi’avev dat a tutt’e du’ p punizion.

- Gigin, ij m n voggh a mangià. Iè già l’un e mmenz.

- Pur jì, Pasquà. Sciamaninn …


LE PRÈFICHE (Donne che piangono e pregano i morti degli altri a pagamento)

- Pasquale, hai sentito. È morto Tetè.

- Che mi stai dicendo, Gigino. E come è morto. Ieri l’ho visto e stava bene. Non aveva manco cinquant’anni. Com’è successo.

- Stamattina presto stava litigando con la moglie, è caduto a terra e non si è più rialzato. L’hanno portato all’ospedale, appena in tempo ha fatto il prete a dargli l’estrema unzione. Non c’è stato nulla da fare. Infarto fulminante.

- Aaah quante volte gliel’ho detto. “Lasciala perdere, Tetè. Quella non era per tè. Tu l’hai voluta sposare per forza. Figli non ne avete avuto, lasciala e trovati una donna che fa per te.”

- Vero, Pasquale. Lui non era proprio un bell’uomo. Lei era molto più piccola, ma dopo è diventata un pezzo di donna molto vistosa. Beato a chi se la prende la vedovella. Noi siamo sposati, altrimenti…..

- Ma sei scemo, Gigino. Così avresti passato tu gli stessi guai di Tetè. Meglio se si prende uno che non conosciamo. Qualche spassata ce la possiamo sempre fare. Prima stava Tetè, che era come un fratello. Ma da quella porta lo sai quanti estranei sono entrati. Andiamo, Gigino, andiamo su casa sua a dirgli una preghiera.

- Vai avanti tu, Pasquale. La sorella di Tetè mi ha detto di andare a chiamare le due préfiche che abitano all’angolo. Ci vediamo sopra.

Nella stanza da letto stava Tetè steso sul letto con quattro candele intorno. Affianco a lui, su un lato del letto, stava la vedova, proprio dirimpetto alla finestra. Col fazzoletto in mano che piangeva zitta zitta. Seduta alla sedia, tutta truccata e impettita manco se stesse in teatro. Intorno intorno al muro stavano seduti alle sedie tutti i parenti, gli amici e i vicini. Arrivarono Gigino e le préfiche. Le due donne, già pronte col rosario in mano, si sedettero all’altro lato del letto. Dietro di Loro rimasero in piedi Pasquale e Gigino.

- Comari, il prete gli ha già dato l’estrema unzione stamattina all’ospedale, quando è arrivato che non c’era più niente da fare. E poi l’hanno riportato qui, perché così ha voluto la moglie. Potete cominciare il rosario.

Le due préfiche cominciarono insieme.

- Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

Le due donne si fermarono e attaccò il coro di tutti gli altri.

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

E mentre il coro pregava, le due préfiche zitte zitte si parlavano all’orecchio.

- l’hai vista come si è combinata. Pure in questo brutto momento s’è tinta la faccia e le labbra – disse una.

- Doveva nascondersi la faccia dietro una maschera e invece si irrigidisce tutta tutta come una modella, proprio una zoccola – disse l’altra, e subito riattaccarono col rosario.

- Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

Il coro continuò la preghiera e loro due zitte zitte continuarono con le critiche.

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

- Chi è quella che sta affianco a lei?

- La compagna sua, dove molte volte diceva al povero marito che andava a dormire la notte. E invece se ne andavano a fare porcherie con i maschi.

- Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

Il coro da una parte pregava e loro con le critiche silenziose dall’altra

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

- Guarda, guarda, comare, come se la stringe quello con la scusa delle condoglianze.

- È il suo ultimo amante. Fa schifo pure lui, però. Che è venuto a fare quel cornuto con le cime, lo sa che tutti sanno di loro due.

- Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

E durante il coro.

- Lo zio prete nostro (della locale parrocchia) non l’ho visto. Volevo proprio vedere la faccia di zio prete. Dalle sue orecchie son passati tutti i peccati della vedova.

- Io ho saputo dal sagrestano che una volta ha sentito zio prete gridare come un pazzo, e poi la cacciò dalla Chiesa. Non volle darle l’assoluzione, dalle tante che ne aveva combinate quella settimana.

- Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

E sempre sotto voce o metà di ogni rosario, le due préfiche continuarono a dire senza vergogna infamità contro la povera ragazza.

- Quando siamo entrate hai visto tutti quei maschi. Tutti hanno bagnato il biscotto dentro quella tazza. E sono pochi. Per quello che ho sentito io sono molti di più che la bambolina aveva intorno intorno come i mosconi.

- Possibile. Non è che le malelingue le hanno tagliato i panni addosso a quella poveretta. Guardala meglio, sembra un angioletto.

- Faccia d’angelo e cuore di diavolo.

- Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.

- Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

E a questo punto il rosario finì. Le due préfiche si alzarono, si avvicinarono alla vedova e ad alta voce le dissero.

- Condoglianze, signora. Che peccato vostro marito. Che bella copia che facevate. Se solo aveste avuto figli ….. Noi abbiamo finito. Ce ne andiamo.

- Grazie, comari. Per il fastidio passate da Checchella.

- Ma non vi preoccupate, c’è  tempo.

Intanto, s’avvicinarono alla sorella di Tetè per le condoglianze e la più anziana stese la mano e prese i soldi che Checchella aveva già pronti in mano.

- Condoglianze pure a voi, comare. Vi volevo dire che quando siamo arrivate, ho visto uscire tante persone dalla cucina con panini e altro companatico in mano.

- Non fa niente, comare. È così quando succedono le disgrazie. Tutti ne approfittano.

E se ne andarono subito riprendendo per le scale a dirne sottovoce di tutti i colori contro quella povera ragazza, con quelle bocche di vermi che Cristo aveva dato a tutt’e due per punizione.

- Gigino, io me ne vado a mangiare. È già l’una e mezza.

- Pure io, Pasquale, Andiamocene…

mercoledì 16 febbraio 2022

MOLESTIE INVERSE

 MOLESTIE INVERSE

Confessione per confessione, anch’io da piccolo sono stato molestato. Visti i tempi, quindi, ho diritto di denunciare gli abusi sessuali, ormai prescritti, patiti da femmine, oltre 70 anni fa. Modificando nomi e luoghi, due sono le vicende, fra infanzia e adolescenza, che maggiormente mi hanno visto protagonista. Zia Caterina, sorella di mia madre, aveva nei pressi di San Francesco alla Rena una casa rurale con un fondo abbastanza grande per soddisfare le necessità della famiglia. La campagna di mia zia andava dalla pensilina attorno alla quale faceva capolinea la filovia della Saer, linea 5 piazza Massari-Lido, proprio di fronte all’ingresso della spiaggia (non l'attuale, ma quello ad angolo mozzo nella congiunzione delle vie Umberto Giordano e Verdi), sino al confine di un’altra campagna molto più grande, che a sua volta arrivava sin sotto lo stadio della Vittoria. Da quando sono nato e sino al 1952, le nostre vacanze estive le passavamo da mia zia, trascorrendo le giornate fra bagni di mare, lavori agricoli che vedevano impegnati zii e cugini, e cene serali sull’aia alla luce di lumi a petrolio. Io e mio fratello ci divertivamo scatenati a inseguire galline svolazzanti e un paio di caprette che mia cugina Felicetta aveva battezzato Nerina quella nera, e Bianchina la bianca; nella stalla attigua alla casa vi erano anche conigli e un cavallo che all’ora di cena dormivano di già. Fra stalla e casa vi era un piccolo locale destinato a cucinino. Entrando in casa, vi era lo stanzone soggiorno-pranzo, e in un angolo un pozzo di acqua piovana freschissima che dissetava tutti dalla calura estiva. La campagna dei vicini, con i quali i miei zii avevano stretto un comparizio reciproco, aveva una casa molto più grande, una vera masseria, con una stalla enorme e tanti animali in più; il terreno si estendeva sin dietro alcuni capannoni sulla via Napoli. Vi coltivavano tutto l’anno ogni tipo di ortaggi; una parte di quel suolo, quando non c’era ancora il Villaggio Trieste, era invece coltivato a cotone. I compari di mia zia avevano nove figli, tutti maschi tranne l’ultima. Il padre e i ragazzi s’impegnavano ogni giorno nei lavori di campo della propria masseria. Sandina, la ragazzina più piccola, trascorreva in casa di mia zia molto tempo. Mia madre, impegnata tutto il giorno con due bambini, cercando di dedicare più tempo a mio fratello più piccolo, chiedeva a Sandina di darle una  mano, soprattutto la sera per farmi addormentare. Questo andazzo si ripeteva più volte nei due, tre mesi estivi che trascorrevamo a San Francesco. Sandina mi si era attaccata morbosamente; ricordo come fosse oggi i giorni trascorsi al sole nell’erba alta o all’ombra dell’albero dei gelsi nelle ore più calde del primo meriggio. E proprio a fine giugno del ‘52 accadde il fattaccio. Mia madre, più indaffarata dall'arrivo di altri due figli, da un po’ di tempo aveva da ridire sull'interessamento di Sandina, molto più attenta nei miei riguardi che verso mio fratello d'un solo anno più piccolo. E quando la ragazza tornava a casa, confidava alla sorella.

- Catarì, no m piasc accom Sandin s'attaccat a Vitin.

- C uè, Rosè, t'aijtat a cresc-uw sin da pccnunn, iè normal che s'av affezionat o pccninn.

Mia madre abbozzò, ma si ripromise di aprire gli occhi. Una sera si avvicinò e mi chiese.

- Cos’è ‘sta puzza?

E prese le mani per annusarle, volle sapere cosa avessi toccato. Istruito da Sandina che mi aveva proibito di riferire un certo giochino che mi faceva fare, risposi di aver tastato le galline col dito per vedere se erano pronte a far l’uovo. Mia madre sembrò al momento convinta di quella bugia. Ma l’istinto di mamma e la sua esperienza di donna sposata, che alla mia età non avrei mai potuto intuire, erano ormai all’erta. Alle sei del mattino dopo Sandina, appena arrivata da noi e aver aiutato mia madre a farci fare colazione, mi chiese di andare con lei nella stalla per raccogliere le uova deposte. Ogni volta quella frase convenzionale mi metteva una certa effervescenza in tutto il corpo e di corsa mi precipitavo nella stalla di mia zia. Nascosti nell’angolo più riparato, Sandina prendeva con la sua una delle mie piccole mani, accompagnandola in un movimento meccanico che da tempo mi aveva insegnato per solleticare i suoi primi pruriti femminili, risvegliando precocemente in tal modo anche il mio istinto ancora latente di maschio. Non sapevo ancora che si potesse fare altro; e pur sapendolo sarebbe stato inutile. Sul più bello sentimmo una voce, soffocata ma animalesca, e vedemmo mia madre a denti stretti venire verso di noi inveendo, ma costringendosi però a farlo sottovoce per non far trapelare nulla fuori da quella stalla, ma sfogò la rabbia mollando un ceffone che segnò la guancia della ragazza. Per sorprenderci era entrata lì prima di noi. Io e Sandina non ci eravamo accorti che, mentre si faceva colazione, mia madre era sparita. - Brutta lord, vrgugnt. A sidci'ann t'ada c-rcà iun dell'etaia tò e no nu pccninn d sett'ann. C si arunat a figghijm, t la fazz pagà car assà.

E a me.

- Quando viene tuo padre …

Era la frase con cui mia madre ci metteva più terrore. Anche per la piccola mascalzonata mio padre ci menava da non credere, figurarsi per aver fatto “le cose sporche” come mi avrebbe combinato. Non capivo allora di essere io la vittima di quegli abusi. Sandina cominciò a piangere e pregare di non dirlo ai suoi. Mia madre volle sapere.

- Da quand adur sta storij?

E la risposta della ragazza impaurita fu sincera.

- Quando era piccolo mi sono accorta che bastava mettergli le manine al caldo per farlo addormentare prima, e d’allora è cominciato tutto. Perdono, signora, ma non ditelo a mio padre.

- Madò', e quand'ann tnev? Du, tre iann. Lord ca non zi iald, non d'è ma' passat p la cap ca ptiv spavndauw p ssemb.

Non so se mia madre calcolò che anche Sandina era una bambina all’inizio di quella storia. Ma sembrò più distesa pensando, forse, che se non avevo dato il più piccolo segno di alcun trauma sino a quel momento, probabilmente avevo superato bene quello che poteva essere uno shock deviante. Non rividi più Sandina. Ma la paura che mio padre venisse a saperlo me la cancellò completamente dalla memoria, facendomela riesumare soltanto ora per ricordarla nel racconto, in tempi tardivi comunque per ogni inutile reazione, che a quei tempi manco costituiva reato. E che reato poteva essere, se non pruriti d'infanzia. Naturalmente, sino a oggi, questo segreto e rimasto ben nascosto fra me e mia madre. Ne misi a conoscenza soltanto mia moglie anni dopo. Quello che invece ho tenuto per me solo è un piccolo vizietto che da quella storia mi sono portato dietro sino ai quindici, sedici anni. Ogni volta che mi appartavo con una ragazzina, non facevo altro che rovistare sotto le gonnelle. Due brucianti schiaffoni, che due energiche ragazzotte mi spiaccicarono sulla faccia in tempi diversi, mi fecero capire il rispetto che si deve a ogni donna, togliendomi per sempre quel vizietto. L’altro abuso, del tutto consenziente, mi è capitato a Milano. A 17 anni il dirigente d’una squadra di calcio, sapendo che avevo bisogno di lavorare e nello stesso tempo di allenarmi, mi fece assumere da una grande concessionaria Fiat con l’impegno di avere tutti i permessi calcistici necessari per gli allenamenti Quello che non era previsto fu un terzo impegno che mi ritrovai tra capo e, diciamo, collo. Impiegati e magazzinieri avevamo l’obbligo di indossare un camice nero. In fondo agli scaffali dei ricambi era stato ricavato un locale per cambiarci. Un giorno che arrivai in ritardo non mi accorsi che nello spogliatoio c’era Sonia, una bella 32enne libera e sola, in intimo molto succinto. Cercai di tornare indietro, ma lei mi chiese se avessi paura di una donna. Provocato entrai e mi cambiai anch’io. Ci mettemmo a ridere e Sonia mi propose di cenare da lei il sabato successivo. Quella cena durò un paio d'anni. Sino a quando decisi di tornarmene a Bari. Se Sandina mi aveva insegnato le aste dei primi rudimenti amorosi, Sonia sapeva tutte le lettere degli alfabeti caucasici che, fra consonanti e vocali, ammontano a più di cento. Ricondurre, dunque, dopo decenni, in fredde aule giudiziarie una violenza già di per sé difficile da dimostrare al momento che accadde, serve a ben poco, e da parte mia estremamente ridicolo. Che poi di violenza vera non vi era manco l'ombra, ma solo quel piacere primordiale che uomo e donna han sempre cercato insieme. La stessa natura ha reso le cose complicate in tema di condiscendenza quando, a nudo, nella donna non vi è alcun segno da cui captare la sua indisponibilità, evidenziandolo, invece, in modo netto in noi maschi. Se a noi non va, per un motivo qualsiasi, si nota subito l’indisponibilità …

TUTUCCIO LO SCRIVANO, in vernacolo barese

LA STORIJ D TUTUCC U SCRVAN.

(traduzione letterale in calce)
U nonn m racchndav spess la storij d Tutucc u scrvan du Comun, ca fadgav ijnd o prton d piazz du Ferrares, alle spall du mrcat du pesc. A chidd timb picch sapevn scriv, e iun d chiss iev Tutucc, che p chuss u Comun u avev pgghiat a fadgà. E mendr agnev l cart pu Comun, scev na femmn e ng dcev.
- Tutucc, p piacer, jì non zacc scriv. M la scriv tu na lettr p figghijm o militar?
E Tutucc scrvev alla naschnnut. La femmn pgghiav la lettr e ng dev na gaddina scannat ca tnev sott o snal.
- C sta fasc, comma Sisin? Non d si prmtten. M uè fa perd u post? Camin, vattin da dò. La gaddin, passan passan, lassal a cas, dangill a mgghierm.
E scev u vccir gnrand.
- Tutucc, famm la solda lettr p cudd chrnut dll'avvocat, ca so tre mmis che non m pagh u cund.
Lettra prond e nu chil d salzizz alla cas d Tutucc. E u psciaiul, u frmaggiar, u scarpar, tutt ca s facevn scriv lettr, e Tutucc ngrassav; ijdd, la mgghier, l figghij e l trris sott o matton. E ijnd a nu par d'ann s'accattò nu quartin sop alla Mragghij.

LA STORIA DI TUTUCCIO LO SCRIVANO
Il nonno mi raccontava spesso la storia di Tutuccio lo scrivano del Comune, che lavorava dentro al portone di piazza del Ferrarese, alle spalle del mercato del pesce. A quei tempi pochi sapevano scrivere, e uno di questi era Tutuccio, che per questo il Comune lo aveva preso a lavorare. E mentre riempiva le carte per il Comune, andava una donna e gli diceva.
- Tutuccio, per piacere, io non so scrivere. Me la scrivi tu una lettera per mio figlio al militare?
E Tutuccio scriveva di nascosto. La donna prendeva la lettera e gli dava una gallina scannata che teneva sotto il grembiule.
- Che stai facendo, comare Sisina? Non ti permettere. Mi vuoi far perdere il posto? Cammina, vattene di qua. La gallina, passando passando, lasciala a casa, dalla a mia moglie.
E andava il macellaio ignorante.
- Tutuccio, fammi la solita lettera per quel cornuto dell'avvocato, che sono tre mesi che non mi paga il conto.
Lettera pronta e un chilo di salsiccia a casa di Tutuccio. E il pescivendolo, il salumiere, il calzolaio, tutti che si facevano scrivere lettere, e Tutuccio che ingrassava; lui, la moglie, i figli e i soldi sotto al mattone. Ed entro un paio d'anni si comprò un appartamentino sulla Muraglia ❤😜👍...