mercoledì 31 ottobre 2007

ITALIANI CINQUE

Italiani, avrebbe detto il Mazzini; Giovani Italiani, il peso maggiore della lotta ai neomonarchici graverà soprattutto sulle vostre spalle. Noi, a dispetto di quello che pensa di voi il signor Schioppa, riponiamo la massima fiducia nelle vostre ancora intatte energie fisiche, e soprattutto nelle morali. Se le nuove norme verranno recepite, assorbite e attuate, sarà vostro il merito. Ne va del vostro futuro. Forza, dunque, a farvi apostoli delle libertà individuali, dei diritti di tutti, in nome della Uguaglianza, della Giustizia e di un’Italia Repubblicana, Democratica, Comunale.

PROGETTO PERPETUO DI UOMO POLITICO
(seconda parte)

  • Riforme per un’Italia veramente Repubblicana, realmente Democratica, radicalmente Comunale I

a) Modifiche strutturali
5) Abolizione dell’attuale figura simbolica del Presidente della Repubblica, di quel ring nominato Camera dei Deputati, dei Senatori a vita, delle inutili Province, delle circoscrizioni cittadine, e di tutti gli enti improduttivi.
6) Trasformazione di partiti e sindacati, ormai surrogati dei primi politicizzati come sono, in associazioni dei senza pensieri autofinanziate.
7) Il periodo di maggior splendore per l’Italia, superiore anche a quello dell’antica Roma, è stato quello dei Comuni. Che rigoglio di attività il Rinascimento. Cosa non è stato fatto di grande in quel fertile periodo. Fermento vivido di arti, scienze, lettere, edilizia monumentale, ricchezza sociale, politici illuminati che incrementavano con le proprie sostanze lo sviluppo economico delle città, per averne non solo un ritorno maggiore da redistribuire, ma fama e rispetto nei confronti di città concorrenti. Fare a gara per produrre di più e meglio è stato il vero segreto dell’età Comunale. Piccolo si è sempre detto che è bello, ma non solo, è anche pratico. Piccolo è anche più facilmente controllabile. Infatti, proprio perché di facile controllo, balza anche agli occhi dei più sprovveduti la ridicola, insana situazione attuale di quel comune i cui amministratori, a fronte di una cinquantina di abitanti, hanno la sfrontatezza di schierare un organico di ottanta dipendenti. Pazzesco; da manicomio criminale. Per questi robusti motivi è necessario ritornare all’Italia dei Comuni; sani come quelli rinascimentali, senza l’asfissiante burocrazia, ma con la necessaria variante di una maggiore frammentazione della ricchezza pro capite.
8) Nomina di un’Assemblea Costituente per l’abrogazione di quegli articoli rigidi dell’attuale costituzione i quali, come tutte le cose troppo rigide da demolire, contengono in sé i prodromi della rivoluzione, quindi della violenza. Sotto l’influenza dell’antifascismo, si è dato vita ad una costituzione di parte che impedisse sul nascere la figura di un altro Mussolini. In pratica, invece, essa non ha fatto altro che essere causa della rovinosa proliferazione di tanti piccoli Mussolini, i quali sono tutti da abbattere senza indugio e immediatamente.
9) Approvazione della Nuova Costituzione Italiana, modificata e integrata da norme plasmabili al variare dei tempi e col preciso intento di istituire referendum popolari propositivi; va introdotta fra i primi articoli della Carta l’inviolabilità dei sette diritti fondamentali dell’uomo: libertà, abitazione, alimentazione, ambiente, lavoro, assistenza, denaro; non viene dimenticato un altro fondamentale diritto inalienabile dell’uomo, la giustizia, ma se questo progetto viene recepito, esso si applicherà spontaneo in ogni umana controversia;
b) Denaro
10) E’ conseguenza logica inserire il denaro nei sette diritti fondamentali dell’uomo, perché il solo mezzo con cui acquisire gli altri sei. Consideriamo per un attimo uno di questi, l'alimentazione; è un bene che per praticità di approvvigionamento è stato trasformato convenzionalmente in denaro, senza il quale, perciò, non è possibile per l'uomo esercitare il proprio diritto inalienabile alla nutrizione; ed ecco perché il denaro, surrogato degli altri sei, diventa un bene fondamentale per ogni comunità. E' colpa gravissima, religiosa e civile, pensare ingiustamente che esso sia un mezzo per fare la carità. E' da ciechi egoisti, e anche poco dignitoso per chi offre e per chi è costretto ad accettare. Approvazione, quindi, di una legge che definisca tutto il denaro circolante nello Stato un bene pubblico e il cui corso deve essere sempre inarrestabile; un mezzo su cui tutti hanno il diritto di viaggiare e di cui tutti devono usufruire a seconda delle personali capacità nel lavoro privato; su basi prestabilite nel lavoro pubblico, nel quale vanno annoverati tutti i politici di enti e istituzioni nazionali e locali. Politici, quindi, equiparati a funzionari dello stato secondo livelli di categoria e qualifica. La circolazione costante del pubblico denaro è principio di igiene finanziaria, di sana ossigenazione economica. Chi ne impedisce il regolare scorrimento nelle anse dei portafogli di ogni cittadino commette reato, che andrà meglio regolarizzato con apposita legge. La linfa vitale che alimenta ogni mercato al mondo non può essere appannaggio di pochi che, accantonandola, ne causano l’essiccazione che tutto marcisce; si rischia la morte per asfissia dello stesso mercato. Il pubblico calderone è l’immaginario forziere in cui tutti i cittadini depongono i propri soldi per una oculata e giusta amministrazione del Condominio Italia. Chiunque attinga denaro dal calderone pubblico deve renderne conto con la massima trasparenza; altro che privacy. La privacy è giusta in altri campi; non la si può utilizzare come paravento per le ruberie del pubblico denaro. I cittadini devono sempre avere il diritto di sapere che fine facciano i propri soldi. Basta con amministratori condominiali che scappano con la cassa senza pagarne il fio. Ricordatelo sempre, ricordatelo tutti: il denaro pubblico è quella sostanza che, prima di trasfondersi in linfa da mercato, è stato quel sangue che tanti di noi hanno gettato a lavorarselo. E’ il nostro denaro e chi lo amministra deve farlo con il massimo rispetto per noi che ce lo sudiamo.
11) Abolizione di tutte le attuali anonime monete metallico-cartacee e introduzione della moneta magnetica nominativa, quale unica banconota a corso legale; si pensi quanti benefici otterrebbe la comunità con questo sistema monetario, l’unico a lasciare anche la più piccola traccia dello scorrere del denaro: niente più reati patrimoniali in genere. L’umanità lascerebbe definitivamente dietro di se tutto il suo passato primitivo, incivile, per aprire un’era decisamente improntata sull’onestà. Niente più evasioni fiscali, niente più rapine, niente più truffe, se non perpetrate con la violenza; in questo caso, appena scoperto il reato, le carte magnetiche nominative dei malacarne verrebbero azzerate istantaneamente dall’autorità preposta. Una vera gabbia per i disonesti. Si pensi per un attimo al delinquente che pretenda il pizzo di stato o privato, che tenti un’estorsione, una corruzione, un rapimento, un qualsiasi altro reato, e presenti la propria carta magnetica nominativa per l’incasso. Impossibile. La tecnologia ci aiuta, utilizziamola.
c) Lavoro
12) Va ribadita innanzitutto la Sovranità del Popolo. Non è concepibile uno stato senza i cittadini. E’, pertanto, ancora più impensabile un’Italia senza Italiani.
13) Non più “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, ma “l’Italia è una Repubblica Democratica e Comunale fondata sui lavoratori”. Non è possibile fondare nulla su una cosa evanescente come il lavoro, che a volte c’è e a volte no; ma fondarla su qualcosa di così concreto come i lavoratori è realtà; stringiamoci un po’, per fare spazio e lavorare tutti.
14) Istituzione di una Commissione Permanente per la creazione del moto perpetuo nell’Occupazione. Ciò che fa crescere una società civile è la domanda; il crescere della domanda incrementa la produzione; la produzione fa crescere il PIL e rende più ricca una nazione. Ma la ricchezza in poche mani causa l’asfissia economica dei mercati, dei popoli. Invece, se si distribuisce maggiormente la ricchezza, frammentandola in unità più numerose ma senza uguagliarla individualmente, s’incrementa la domanda che incrementa la produzione …… e così via. In tal modo, dando continuità alla rotazione, il moto perpetuo del lavoro è avviato.
15) Istituzione di una Commissione salariale di saggi, composta da quei cittadini già in pensione da enti come Senato, Magistratura e amministrazioni locali, con specifica preparazione per il calcolo delle retribuzioni dei pubblici dipendenti, fra i quali sono da annoverare tutti i politici; le differenze retributive fra le varie categorie devono essere di lieve entità; le carriere potranno svolgersi nelle seguenti divisioni: progettuale, esecutiva, applicativa, senza nessun impedimento nello sconfinare dall’una all’altra secondo i meriti. Nella pubblica amministrazione non è possibile concepire che alcuni percepiscano uno stipendio sino a venti, trenta volte quello della categoria più bassa; non è concepibile, non è dignitoso, è immorale. Un presidente, un ministro non possono valere tanto di più di un operaio, soprattutto alla luce dei tanti guai che i primi combinano. Non esiste in pratica una tale differenza nel volume di lavoro svolto dai pubblici dipendenti; c’è chi ha più responsabilità e chi meno, chi lavora di testa e chi lavora pesantemente di braccia. Ognuno contribuisce per i compiti dell’altro. La differenza più logica, umana, che vi possa essere è nel rapporto di uno a tre con una sperequazione a scalare riferita al grado di responsabilità: se i massimi dirigenti percepiscono tre, le categorie sul gradino più basso della scala dei valori devono percepire almeno uno. Non possono esistere differenze maggiori nel genere umano. Diverso il discorso nel privato in cui, soggetto com’è alle rigide leggi di mercato, è lecito offrire compensi maggiori a dirigenti che s’inventano ogni arzigogolo pur di aumentare la produttività e di conseguenza i posti di lavoro e l’utile di un’azienda; comunque anche per i dipendenti privati deve vigere il principio della stessa sperequazione del settore pubblico, nella misura del citato rapporto di uno a tre; per cui se un imprenditore può dare tre ai dirigenti, deve retribuire almeno con uno la categoria infima. Altro discorso da fare per le menti più geniali: inventori, scienziati, scrittori, artisti, e simili non devono avere alcun tetto per i loro guadagni. Essi sono il motore dell’umanità. C’è qualcuno che ritiene giusto quando, dall’invenzione geniale di uno scienziato, ad arricchirsi sia soltanto quell’ipotetico imprenditore che può permettersi di comprare anche i cervelli, senza che personalmente ne possegga manco un briciolo, privo com’è d’intelligenza, di cultura e di preparazione? Inoltre, l’imprenditoria italiana deve imparare a camminare con gambe proprie nelle inviolabili norme della domanda e dell’offerta. Gli incapaci faranno così spazio ai più capaci. Niente più contributi pubblici a pioggia per le aziende private; o sono capaci di produrre o vanno escluse dal mercato. Da estirpare definitivamente vi è anche l’anacronistica figura del mediatore parassita che si arricchisce sul lavoro degli altri. Chi non crede, veda il misero soldo che rimane nelle mani callose di contadini laceri, Questi, con dure fatiche fatte di sudore e sangue, producono i frutti che, invece di arricchire i maggiori artefici del lavoro, finiscono sempre nelle grasse mani di sensali-protettori, trasformandosi in lauta cresta a gonfiare sempre più le seriche tasche di questi parassiti. Basta, inoltre, con i maledetti contributi europei destinati a chi “non produce” più nulla sui propri terreni, isterilendo gli stessi suoli e le energie umane in agricoltura. Si è superato ogni limite dell’assurdo nel regalare soldi a chi non lavora che, guarda caso, sono sempre i soliti clienti di chi governa. E’ indecente. L’inflazione continua e la truffa “lira-euro”, infine, impongono l’elevazione delle pensioni minime e dei minimi salariali di ogni natura oltre la soglia di sopravvivenza; qualche svago anche i più disgraziati devono pur permetterselo ogni tanto; svaghi che, permettendo alla moneta di circolare, incrementano comunque la produzione.
d) Nuove istituzioni I
16) Livelli istituzionali: Consiglio Comunale per nuclei urbani contenuti, Consiglio Regionale, Senato, Consiglio dei Ministri con a capo dell’esecutivo il Presidente dei Comuni Uniti d’Italia; conseguente deurbanizzazione dei grandi centri e costituzione di Comuni con una densità abitativa contenuta per essere ragionevolmente amministrata; i centri piccoli viciniori potranno agglomerarsi sino a raggiungere una densità minima autofinanziabile. E’ il sistema più spiccio per arginare malavita e malgoverno, perché piccolo è più facilmente controllabile, come s’è detto.
17) Elezione diretta del Presidente dei Comuni Uniti d’Italia, capo anche dell’esecutivo, e della relativa lista dei ministri a lui collegata e predefinita al momento di candidarsi.
18) Istituzione del Sistema unicamerale, Senato, composto soltanto da 300 membri eleggibili, oltre i “Senatori a vita lavorativa” i quali, comunque, non avranno diritto di voto, ma solo compiti consultivi; sistema efficacissimo per rendere malleabile e spedito il funzionamento di uno Stato moderno. D’altronde, se si considera che in Italia quelli che decidono la politica nazionale si possono contare sulle dita di una sola mano……, diventano inutili tutti gli altri. Leggetene i nomi sui giornali, sono sempre gli stessi. Si consideri, inoltre, che il vecchio impero romano, così esteso, così immenso, veniva appunto governato dallo stesso numero di senatori, muniti unicamente dell’unico mezzo di trasporto dell’epoca, il cavallo. Volete che oggi, con mezzi di trasporto velocissimi, non si possa governare altrettanto bene un paese come l’Italia ad una sola dimensione? Naturale che lo stesso principio di riduzione numerica sia da applicare in tutti i consessi politici locali e nelle stesse proporzioni.
19) L’organo governativo sarà così composto: Presidente dei Comuni Uniti d’Italia, Repubblicana e Democratica, coadiuvato da dieci ministri al massimo, tutti assolutamente senza portafoglio; è la formula più moderna per snellire la vita economica di una nazione contemporanea. Senza più l’assillo di gestire denaro, i capi dicastero avranno da dedicarsi soltanto alla progettazione dei fabbisogni collettivi e individuali.
20) Limitazione di ogni incarico elettivo e per ogni istituzione nazionale o locale a due mandati di un quadriennio ciascuno, con verifica biennale per limitare i danni in caso di incapacità a governare, ovvero di eventuali impasse d’ogni natura. La verifica potrà effettuarsi su richiesta di un numero congruo di cittadini, utilizzando l’istituto del Referendum propositivo. Le elezioni devono svolgersi contemporaneamente per rendere coincidente la data d’inizio di ogni mandato, nazionale o locale che sia. Se i componenti di un’istituzione venissero bocciati nella verifica biennale, gli eletti che subentrano avranno il mandato solo per il periodo necessario a completare il quadriennio interrotto dalla verifica.
21) Approvazione di una legge che stabilisca la responsabilità diretta dei politici e con effetto retroattivo, con l’introduzione del principio di “esproprio espiativo” da estendersi anche sui beni degli eredi; solo in tal modo il debito pubblico verrebbe appianato in piena giustizia e in tempi rapidissimi, direttamente da chi l’ha causato: chi rompe paga. Tutti i patrimoni costituiti illegalmente devono ritornare di proprietà pubblica; se il padre ha rubato non è giusto che i figli ne traggano giovamento; il maltolto, individuato a ritroso in un tempo illimitato, va restituito ai legittimi proprietari, i cittadini nella loro forma giuridica di Stato. E’ anche un fatto di coscienza.
22) Istituzione di liste civiche predisposte per le campagne elettorali presso i Tribunali territorialmente competenti. Chiunque vorrà liberamente candidarsi, dovrà essere indicato da comunità di varia estrazione, da quelle morali a quelle di cultura, alle civiche, quali condomini, congregazioni di isolato, di quartiere, di rione; successivamente, superate le primarie locali, potrà presentarsi all’ufficiale preposto presso il Tribunale con un valido documento d’identità e, oltre che le proprie generalità, dovrà obbligatoriamente registrare accanto al proprio nome il compenso richiesto per l’intero mandato, che non deve mai superare il massimo stabilito dall’apposita commissione salariale di saggi, e dichiarare di essere munito di auto propria, per la quale saranno previsti i rimborsi delle spese documentate. E’ l’unico sistema di riavvicinare per solo amore il cittadino alla politica e, soprattutto i notabili alla vita pubblica. Valga da esempio, la rinuncia allo stipendio del notaio-sindaco di una città del Salento, decisa appena alcuni giorni fa.
23) Potranno candidarsi tutti i cittadini nei limiti d’età dai 18 ai 70 anni. La politica va fatta per amore verso il proprio Paese e con quell’assoluta professionalità che scaturisce soltanto dall’esperienza. Abbiamo avuto onorevoli completamente impreparati, eletti per i propri soldi e nessun altro merito; onorevoli che, profittando di particolari contingenze, hanno vinto l’elezione come avessero vinto alla lotteria, per sola fortuna. Perciò, è necessario che il politico faccia le sue esperienze seguendo una regolare carriera, partendo appunto dai 18 anni con i consigli comunali e sino alla massima carica dello Stato, senza salti di livello; per poi ricominciare dal livello più basso, con un ciclo continuo che terminerebbe ai 70 anni, l’età massima per la pensione. Pensate ai benefici che otterrebbero i consigli locali con persone che, ricominciando il ciclo dal basso, apporterebbero tutta l’esperienza accumulata nelle alte sfere della politica. Difficilmente si commetterebbero i macroscopici errori, visti anche da chi non vuole vedere, che attualmente inficiano le personalità politiche di ogni grado agli occhi del comune cittadino. E i benefici che otterrebbero gli stessi politici dopo i 70 anni, finalmente liberi di tornare a godersi il resto della vita come ogni comune cittadino. Comunque, sempre iniziando la carriera politica ai 18 anni e impiegando quattro anni a mandato per ogni carica elettiva, si avrebbero due carriere politiche, una minima di 16 anni, passando con un solo mandato attraverso consiglio comunale, consiglio regionale, senato ed esecutivo presidenziale, per poi ricominciare da capo sino all’età pensionabile; ed una massima di 32 anni ripercorrendo lo stesso iter prima di ricominciare dal basso, ma con due mandati. Si potrà liberamente procedere anche con l’interpolazione lineare fra i due limiti.
24) Minuzioso federalismo economico: tutte le entrate fiscali amministrate direttamente dai Sindaci e i propri Consigli Comunali, con la supervisione delle rispettive Regioni a cui rimane affidata la legiferazione locale, sempre nel rispetto di quella nazionale. E con l’esperienza e il grado di civiltà raggiunti, i benefici del Neorinascimento toccherebbero indistintamente ogni individuo. Non avremo più indigenti e la coscienza di ognuno sarebbe completamente soddisfatta.
25) Alle spese del mantenimento dell’esecutivo Ministeriale, Senatori, Regioni, e consiglieri vari provvederanno direttamente i singoli Comuni in quote proporzionali, sempre seguendo le indicazioni emanate dall’apposita commissione per le retribuzioni dei pubblici dipendenti e nel legittimo rapporto di uno a tre. (continua)

redatto a bari il 19.10.2007

martedì 30 ottobre 2007

TORRE TRESCA

Abitare in un ghetto: due chiese, tre negozi, una scuola. Un mare di verde a circondare dodici capannoni in legno, poche case in muratura, oltre mille famiglie, migliaia di anime. Tutte unite da una strada cosparsa di ghiaia, che costituiva per il piccolo abitato l’unica via transitabile, polverosa sotto il sole, fangosa con la pioggia. Estate rovente, caldo autunno, inverno innevato. Anno 1953.
La mia primavera cominciavo appena a viverla, quando la morte di Nico sconvolse l’esistenza della mia famiglia. Per Babbo e Mamma fu un durissimo colpo perdere il loro bambino più piccolo in quel tragico modo. Soprattutto per Mamma, che se lo vide scivolare dalle braccia e cadere dal balcone di casa. Abitavamo in via Carulli, al primo piano del 114. L’abbiamo sempre chiamata “la casa di zia Mamma”, una zia di mio padre che per più di quindici anni ci ha dato ospitalità; all’inizio soltanto ai miei, poi a noi ragazzi, man mano che s’arrivava. La guerra aveva portato come sempre distruzione e miseria, le case erano poche, ogni famiglia s’arrangiava come poteva. In quell’unica stanza fui il primo ad arrivare; Lilli mi seguì un anno dopo; avevo cinque anni quando ci raggiunse Elvira, che sarebbe rimasta la nostra unica sorella. Il giorno della disgrazia il piccolo Nico aveva appena tredici mesi, quando a me ne mancavano solo quattro per i nove anni. Io e Lilli eravamo stati a ritirare le pagelle; tornati a casa, notammo gente presso il nostro portone. La evitammo per salire e sulle scale fu zia Mamma ad informarci. Alle nove di quella stessa mattina mia madre, sfuggito il bambino dalle sue mani, si era precipitata in strada per raccoglierlo e con un auto di passaggio, rarissime a quel tempo, aveva raggiunto l’ospedale, allora situato provvisoriamente nel palazzo dell’Università a piazza Umberto. Ma non si era potuto far niente, Nico morì a mezzogiorno. Mio fratello minore aveva le guance paffute e rosee, la pelle ambrata, capelli a buccoli biondissimi, occhi grandi e vispi d’un intenso celeste, proprio come quelli di Babbo. Ben proporzionato e alto per la sua età. Un vero serafino, come quelli che dipingeva spesso mio padre. Bello, bello, bello. Il Signore s’era lasciato scappare un angelo e lo rivolle subito a Sé con quel volo proprio angelico dal balcone, nonostante quella grossa chiazza livida sulla tempia sinistra. Lo ricordo ancora sul letto di morte, un prezioso ninnolo rotto fra quei cioccolatini e confetti con cui mani familiari l’avevano composto. Mamma non sarebbe stata più la stessa, aveva trentatré anni. Avrebbe poi subito, per l'involontaria disattenzione di un momento pagata caramente, anche un processo penale, da cui ne venne fuori per insufficienza di prove, perché nessuno volle testimoniare contro una madre già colpita a morte; solo il cieco cinismo di una giustizia stupida poteva arrivare a tanto; cominciai a capirlo d’allora. In seguito, anche nei rari momenti in cui le veniva da sorridere, quel dolore cancellò la radiosità dal viso ancora giovane di mia madre, lasciando una sottile ombra a velarle per sempre gli occhi. Babbo, quarantatreenne, fu preso da un dolore così intenso da svenirne. Non avevo mai visto mio padre disteso in terra, occupava l’intero pavimento della cucina. Ripresosi a fatica, tirò fuori la sua corazza di maschio che la società gli imponeva, e vi richiuse lo strazio tremendo che la perdita di quel figlio gli aveva procurato. Io, Lilli e in maggior misura Elvira assorbimmo le conseguenze della tragedia con meno dolore, aiutati molto dalla nostra giovane età. Era la vigilia di Sant’Antonio e tutto accadde in un attimo, mentre suonando transitava la banda in giro per il quartiere.
I miei decisero subito di lasciare quella casa che ci avrebbe sempre ricordato il tragico fatto. Ma era una decisione non facilmente realizzabile per la carenza di abitazioni che da sempre affliggeva il paese. Mamma aveva già fatto due tentativi infruttuosi per ottenere una casa popolare. Al terzo ci andò meglio, ma l’appartamento assegnatoci alla Stanic non piacque a mia madre. La prima volta che si recò a vederlo, dalle finestre aperte le apparve sullo sfondo l’immutabile squarcio del Cimitero. “Madonna mia! Devo vedere per sempre questo bel panorama? No, no; non mi piace; Vi passerò l’eternità lì dentro quando sarà il momento; non voglio farlo anche da viva. No! Non la voglio ‘sta casa.” Furono le uniche parole che mia madre disse in quella fredda abitazione, non immaginando neppure alla lontana che di là a poco in quel Sacro luogo vi sarebbe andata ogni giorno. Comunque, la fisima di mia madre e la lontananza dalla Sud-Est, la ferrovia dove mio padre lavorava, li costrinsero a rinunciare all’alloggio e, inconsapevolmente, a condannare mio fratello.
Nel giro di pochissimi giorni, nonostante il dolore che l’affliggeva e che mai più l’avrebbe abbandonata, Mamma trovò una soluzione momentanea, ma indicatissima, per poter finalmente avere una casa popolare. Negli ultimi anni era diventata una consuetudine dimostrare di vivere, seppur per pochi mesi, in veri e propri tuguri sovraffollati per ottenere l’assegnazione di un’abitazione. E’ quello che fece mia madre in previsione del nuovo bando dell’Ina-Casa per nuovi alloggi in costruzione a Japigia, quartiere periferico di Bari in forte espansione in quei primi anni cinquanta.
Nella zona compresa fra la Chiesa di Santa Fara e il Canalone, proprio a ridosso della stradina sterrata che lo costeggiava, sorse nel 1940 Torre Tresca. Insediamento provvisorio di pochi capannoni in legno per il ricovero dei prigionieri inglesi durante il conflitto nazista, divenne un vero e proprio villaggio residenziale negli anni cinquanta, appena più di un lager, privo com’era di tutti i servizi primari. Ma la fame di case e la convinzione che sacrificarsi qualche mese nel ghetto portava in premio l’abitazione popolare, costrinse qualche migliaio di famiglie a occupare il vecchio lager a rotazione: via una dentro l’altra. Percorrendo la strada di Santa Fara e deviando per la diramazione a sinistra della Chiesa, si raggiungeva Torre Tresca. Era frequente in quegli anni che carri piani stracolmi di gente e masserizie, tirati da un paio di cavalli al massimo, si incrociassero su quella stradina: in un senso andava gente che s’apprestava a occupare, mesta ma speranzosa, la misera stanza lasciata libera da famiglie ben liete di avviarsi, nel senso opposto, verso casa nuova.
Mia cugina Maria, abitava lì da qualche tempo. Mia madre e la nipote decisero di dividere a metà la stanza che lei occupava col marito Giovanni e i sette figli. I nostri parenti si sarebbero sistemati alla meno peggio nella parte anteriore con la porta d’ingresso; noi nella posteriore con l’unica finestra, divisi solo da un’enorme panno scorrevole come parete divisoria. Per abbandonare il più in fretta possibile la casa del dolore, il quindici giugno, due giorni dopo il funerale di Nico, in attesa che Mamma e Maria sistemassero alla meglio le nostre cose nella mezza stanza, trovammo ospitalità a casa del fratello di mia madre, zio Angelo, che con la famiglia aveva casa popolare a via Orazio Flacco. Stazionammo in quel bivani un paio di settimane.
I primi di luglio, a bordo di una tipica carrozza (Babbo non dimenticava mai le sue origini “nobili”) da posteggio trainata da un cavallo baio, seguiti dal consueto carro piano con la nostra roba, ci avviammo verso i nove mesi più avvincenti della mia vita. Lasciavamo dietro di noi l’asfittica zona centrale della città col traffico ordinato, perché ancora limitato a poche auto, per avventurarci in un mondo a noi sconosciuto. Ci aspettavano giorni impensabili per noi ragazzi del centro, penalizzati da spazi esigui e dal verde ridottissimo del quartiere murattiano. Varcate le due colonne che limitavano l’ingresso del ghetto, a meno di cento metri dal Canalone, ebbi la sensazione di oltrepassare la Soglia del Tempo. All’improvviso eravamo stati catapultati in quel far west che riempiva le nostre fantasie, alimentate dai tanti fumetti in auge allora; la nostra tv di carta in quegli anni. Si prospettava alla mia giovane età l’occasione per un radicale cambiamento di vita, del tutto nuovo. Un’esperienza in praticità che mi sarebbe tornata utile per sempre. Trasportato in un baleno dalle anguste strade del centro urbano a quello sterminato spazio verde, mi sembrava lo stesso sogno che, cominciato a tinte fosche due settimane prima, andava trasformandosi via via in tinte più luminose. Non avevo di certo dimenticato quello che mi era successo, ma l’incostanza dell’età mi permetteva di superare con meno dolore il triste momento. Appena entrati nel nuovo territorio, dal mio ottimo posto d’osservazione, a cassetta col vetturino, notai subito che le costruzioni più grandi, in legno imbiancato di fresco per la stagione, avevano i tetti spioventi ricoperti di tegole rosse. Ne contai dodici, sei per ogni lato della strada principale, poste una di fronte all’altra. I capannoni in legno erano preceduti sulla destra da alcune costruzioni in muratura con la copertura piana, in cui erano sistemati il Corpo di Guardia dei Vigili Urbani, un fruttivendolo e alcune famiglie. A mezza strada, sulla sinistra, c’era la Chiesa principale del villaggio, oggi sconsacrata. L’edificio della scuola elementare, in fondo alla strada di ghiaia, costringeva a svoltare ad angolo retto nei due sensi. A sinistra vi era un campo da calcio, che fronteggiava tre file di costruzioni, una dietro l’altra, completamente in muratura, suddivise in tante stanze ognuna occupata da una famiglia. In una di queste stanze abitavano, da qualche anno, il nonno con la nonna e zio Vitino, nell’altra affianco zia Tina con il marito Onofrio. A destra, una stradina più piccola saliva leggermente sino a collegarsi alla strada che costeggiava il Canalone. Al culmine dell’erta vi era a sinistra un altro gruppo di casette monovano in muratura, simili a quelle in basso; di fronte alle casette c’era l’altra Chiesa del villaggio, una vecchia cascina trasformata in luogo di culto, che tutti chiamavano la “Chiesa di sopra”. Le costruzioni, in legno o in muratura, erano esclusivamente col solo piano terra, ad eccezione della “Chiesa di sopra” che aveva il luogo di raccolta dei fedeli al primo piano, a cui si accedeva con una ripida scalinata di pietra. Tutte le abitazioni avevano i servizi igienici in comune, ubicati in grandi stanzoni che fungevano da lavatoio e gabinetti, in fondo ai capannoni in legno o all’estremità delle costruzioni in muratura. Ed era un continuo andirivieni di gente armata di asciugamani, che percorreva il lungo corridoio dei capannoni o il tragitto all’aria aperta per raggiungere i servizi in comune. Vi era una costruzione del tutto diversa dalle altre; l’unica abitazione singola, appena discosta dalla Chiesa principale. Una casetta in legno col tetto a falde ricoperto di tegole e un bel giardino tutt’intorno; pareva uno dei capannoni in miniatura. Vi abitava il vigile Zaccaria con la sua famiglia; era da tutti nominato “lo Sceriffo di Torre Tresca”. Gli altri due negozi erano uno di generi alimentari proprio di fronte al capannone 10, e l'altro nella zona alta dell'abitato che vendeva un po' di tutto, compreso petrolio per lampade, poichè nel villaggio non c'era luce elettrica.
L’atmosfera creata dal nostro arrivo fu del tutto simile a quella che suscitava l’arrivo della diligenza nei villaggi del vecchio West. Erano gli anni d’oro di Tex, Capitan Miki, Il Grande Blek, nostri eroi di carta; chiaro che quelle avventure suggestionassero i ragazzi, che a frotte si attaccarono alla carrozza. Chi non riuscì a trovare appiglio, ci scortò fiancheggiandola sino al capannone 10, il penultimo sulla destra, dove c’era la stanza 26 che avremmo diviso con i miei cugini. Le stanze situate in ogni capannone erano una cinquantina, una di fronte all’altra lungo un corridoio che terminava ai servizi comuni. Due grandi portoni esterni in legno, posti sulla facciata principale e su quella posteriore, chiudevano gli accessi al corridoio; ma per incivile menefreghismo erano lasciati quasi sempre aperti. Arrivati all’ingresso principale del nostro capannone, i ragazzini circondarono la carrozza in attesa di vedere chi fossero i nuovi arrivati. Appollaiato in cassetta, mi sporsi lateralmente, stupito dal clamore. Affacciato al finestrino vidi Lilli divertito con la sua bionda chioma al vento. La nera testolina di Elvira che sbirciava in giro curiosa. Nei loro occhi, celesti dell’uno e verdi dell’altra, lo stesso mio stupore. Babbo era appoggiato allo schienale del sedile interno. Il suo volto esprimeva dolore passato e incertezza futura. Mamma gli era di fronte, non potevo scorgerla. Ma sul volto di mio padre, come in uno specchio, potevo immaginare riflessi gli stessi sentimenti. Il cielo, limpidissimo, era di un azzurro violento. Indifferente.

redatto a Bari il 7.2.1977

domenica 28 ottobre 2007

IL SIGNORE E MADDALENA

Frequentavo con mio fratello Lilli il corso di Catechismo nella vecchia palazzina del Convento di San Francesco, a Japigia, quando è accaduto quello che sto per raccontare. C’eravamo trasferiti da poco in quel nuovo quartiere di Bari. Era il lontano 1954. La scorsa settimana, finito di leggere “Il Codice da Vinci”, ho avuto un nitido ritorno alla mente proprio di quei giorni. Soprattutto un episodio legato al libro di Dan Brown è emerso con prepotenza dai recessi mnemonici di quel tempo remotissimo. Ho ricordato in particolare il giorno in cui padre Ilario, catechista e parroco, dovendo ricevere i genitori dei ragazzi nel rituale incontro preparatorio a Prima Comunione e Cresima, al nostro turno, ci fece entrare nell’ufficio impregnato d’incenso della canonica. La sequenza di quegli attimi è scorsa lenta e chiara nei miei occhi perduti nel vuoto; ho rivisto la scena come se avessi pigiato il rallenty di un immaginario video registrato. I miei parlottano col parroco attorno a una scrivania. Lilli è seduto fra loro. Io girovago per la stanza. Sento, distratto, senza udirle, alcune domande di Babbo nel consueto timbro che sempre mi allerta. La voce per me più familiare, quella di mia madre, si diffonde per informarsi su particolari più pratici della cerimonia religiosa. Padre Ilario, con modi garbati ma spicci, spostando di continuo le vivide pupille all’interno dei suoi occhialini da intellettuale, chiarisce i dubbi, definendo il ruolo di ognuno nel giorno della festa; sempre distratto, odo a malapena che Mamma quella mattina non dovrà essere presente in Chiesa per la Comunione e nemmeno in Cattedrale per la Cresima. - Infatti, le foto della nostra Prima Comunione e Cresima confermano la sua assenza. - La cosa non mi meraviglia più di tanto, so della consuetudine liturgica che, anche in occasione del battesimo, non prevede la presenza delle madri. Intanto, nel mio lieve gironzolare, noto su un mobile d’angolo un libercolo con copertina nera e senza alcuna scritta sul frontespizio. Sembra molto vecchio; le pagine, sottilissime, mi ricordano la pelle trasparente delle mani di nonno; la scrittura è in rilievo come le vene di quelle mani. Sfoglio il libretto a caso, delicatamente, soffermandomi poi a leggere due delle pagine, l’una di fronte all’altra. Il racconto che vi è scritto lo assorbo con finta indifferenza, inconsciamente fastidiosa. Richiudo il libricino, deponendolo dov’era. Avrei dimenticato tutto di quei momenti, se l’eretico “Codice da Vinci” non mi avesse rovistato nella testa, facendoli riaffiorare integri. Il Brown molto probabilmente ha avuto occasione di leggerlo quel piccolo libro. Prendendone spunto, ha poi scritto, novello giuda, soprattutto per denaro e per fini pubblicitari, la sua storia tanto fantasiosa, distorcendone il contenuto che io avevo avuto modo di esaminare con molta attenzione in quell’indimenticabile giornata della mia adolescenza. Ed ecco, parola per parola, quello che in realtà vi era scritto.
<<…… Documenti apocrifi del primo secolo Cristiano narrano che …… “…… A Cafarnao, presso il mar di Galilea, Gesù aveva sentito parlare di una peccatrice. Le leggi del tempo condannavano le adultere alla lapidazione. La donna era incinta non del marito, che intanto l’aveva ripudiata. Il Nazareno intuì che doveva agire subito per salvare due vite. Appena saputo il nome della donna e della città, poco lontana da Cafarnao, si avviò di corsa verso Magdala per evitare la morte di Maria e della sua creatura. I Discepoli cercarono di starGli dietro, ma Gesù andava tanto veloce da levitare sulla strada, sino a scomparire del tutto alla vista di chi Lo seguiva. Mentre procedeva, aveva già predisposto con la Sua infinita bontà un piano per salvare madre e nascituro dalla cattiveria umana. Giunto sul posto, domandò ai savi della città di condurlo a casa della donna e lì, alla presenza dei convenuti, dichiarò che avrebbe sposato Maria perché Padre del bambino. E’ sempre insito nella Sua natura il compito precipuo di prendere sulle Proprie spalle i peccati del mondo. I Discepoli sapevano che non era la Verità, ma capirono che il Nazareno non avrebbe mai potuto comportarsi in maniera diversa da Giuseppe che anni prima, a sua volta, aveva riconosciuto, pur non essendone il padre, il Figlio di Maria come suo, per espressa volontà Divina. E come Giuseppe e Maria, pure Gesù e la Maddalena vissero in sola comunione Spirituale. Del bambino della donna si sa con certezza che fondò una dinastia di gente onesta e franca.”
D’altronde il rapporto del Salvatore con la Maddalena non poteva avere un fine diverso, vista la Sostanza pienamente Spirituale con cui Lui era stato concepito. Quel corpo che la conteneva Gli era stato affidato solo per poter dimostrare all’uomo le sofferenze che si possono sopportare per la Fede. I miscredenti non riescono proprio a vedere più in alto. Attaccati come sono alla materia, hanno l’errata, umana convinzione che Gèsù, perché dotato di sembianze simili alle proprie, potesse veramente sentire le loro stesse basse sensazioni fisiche. Se così fosse, non avrebbe mai potuto essere il Figlio di Dio, altrimenti lo saremmo tutti. Si convincessero che il Figlio Divino è composto totalmente di Sostanza sovrannaturale propria del Padre. Sostanza che solo in minima quantità è stata afflata in noi a rappresentare quella parte dell’uomo impalpabile, astratta, di altra dimensione. La parte senza peso, ma la più essenziale, che “sentiamo” in noi ma non riusciamo a vedere, né a toccare, se non dopo essere trapassati in quella medesima dimensione trascendente, divenendo integralmente di quella stessa Sostanza del Padre e del Figlio.>>
Questo ho letto, e questo ho riportato per amore di Verità. Ogni altra versione è del tutto pretestuosa e sostenuta solo dai Browniani, nel frattempo diventati una setta, tesa con tutto il proprio essere a perseguire solo fini immanenti. In conclusione, è la filosofia di vita sostenuta da coloro a cui mancherà sempre qualcosa perché non in grado di volere e poter mai concepire la dimensione Divina.

redatto a Bari il 15.6.2005

venerdì 26 ottobre 2007

ITALIANI QUATTRO

Italiani, avrebbe detto il Mazzini, le norme per cambiare in meglio ci sono; esse sono state già rese pubbliche in passati programmi elettorali di un nostro candidato alle elezioni per il Comune di Bari nel 1981, in altre competizioni locali fra il 1985 e il 2000, e a quelle per il Senato della Repubblica nel 2001. Eccole schematizzate. Perfezioniamole insieme. Avremo la prima costituzione che concede pari dignità ad ogni individuo, perché costruita secondo natura dalla base, dai cittadini, e non dalle alte gerarchie politiche, pronte solo a incrementare i “loro” già cospicui interessi, e di contro a disinteressarsi totalmente dei problemi veri del Paese. Una Costituzione pratica anche per l’Europa e, soprattutto, necessaria per nazioni prive di democrazia. Le norme che seguono sono rivolte direttamente a quei cittadini che formano lo zoccolo duro della Repubblica, per questo si è cercato di usare un linguaggio quanto più prossimo a quello parlato giornalmente dagli Italiani. Non abbiamo nessuna speranza che possa essere capito e recepito dai politici nell’altra parte della barricata. Con il loro giargianese, quelli che ci governano non si son fatti mai capire di proposito, appunto per non intendere le nostre ragioni. Non illudiamoci oltre che, per vero miracolo, possano essere proprio “loro”, acquistato all’improvviso il lume dell’intelletto, a prendere l’iniziativa del radicale cambiamento che andiamo a proporre; a parte ogni più ragionevole considerazione, non hanno alcun interesse a farlo. Ecco il perché diventa essenziale che sia la base ad attivarsi per attuarle, queste sante norme. Italiani, rimbocchiamoci le maniche e dimostriamo ancora una volta che le sorti del Paese sono sempre nel sacrosanto sudore del Popolo. Dimostriamolo con manifestazioni e occupazioni permanenti, ma pacifiche, delle piazze di ogni città, sino a quando una Nuova Assemblea Costituente non si metta seriamente al lavoro, modellando le grezze norme che il Popolo suggerisce.

PROGETTO PERPETUO DI UOMO POLITICO
(prima parte)

· Motivazioni per le riforme
1) Gli Italiani, col referendum del 2 giugno 1946, hanno scelto il regime con cui essere governati, preferendo la Repubblica e abolendo la monarchia con i suoi titoli, privilegi, e divisioni di classe. Quello che hanno fatto i politici dopo è illegale; “loro” in pratica hanno restaurato, contro la volontà popolare, la esecrata monarchia con tutte le anacronistiche distorsioni sociali, senza aver neanche tentato di mascherarla da repubblica. Attualmente accade che, ad ogni nuova legislatura, i parlamentari appena eletti prendono “possesso” dei palazzi romani delle deposta aristocrazia, sostituendone senza titolo i vecchi signori mandati in esilio, come se nulla fosse accaduto quel 2 giugno. Sarà l’ambiente troppo lussuoso per molti di “loro”, sarà l’atmosfera che vi si respira, è certo, però, che assumono all’istante nei confronti degli elettori quell’odiosa aria di superiorità adulterata e quel tipico menefreghismo crasso di chi sale all’improvviso in auge non avendone l’innata indole. Così ora, invece che avere nobili di antico retaggio, abbiamo in parlamento la “moderna aristocrazia” di estrazione bovara, o peggio. Alcuni di “loro” sono giunti a una tale condizione mentale da trasfondersi sangue asburgico in materia di tasse. In realtà oggi il Paese è retto da un parlamento fuori legge per aver tradito lo spirito repubblicano evocato e legalizzato dal popolo in quel lontano 2 giugno 1946. Si consideri, inoltre, che l’ultima legge elettorale ha esautorato del tutto la volontà popolare nella scelta dei propri rappresentanti parlamentari; e ancora, che a due anni dalle ultime consultazioni, i cittadini non riescono tuttora a capire chi abbia vinto le elezioni, e di conseguenza se a governare non siano addirittura gli sconfitti i quali, eleggendo un presidente della repubblica senza il crisma della legalità, hanno inficiato anche la sua nomina. Se queste gravi considerazioni risultassero tutte vere, ci troveremmo di fronte al classico impeachment dell’intero apparato parlamentare. Ma nessuno indaga, nessuno si rivolta. Popolo svègliati ché, mentre sei assopito, i tuoi stessi amici-compagni ti stanno suppostando dolcemente. Lotta per l’istituzione di una Nuova Assemblea Costituente.
2) A quanto esposto nel punto precedente si aggiunga, inoltre, lo stato di follia collettiva, tipico di ogni monarchia che si rispetti, da cui tutti i politici sono stati contagiati, e si ha la causa prima che incide sui costi assurdi, iperbolici della politica; costi su cui pesa enormemente soprattutto il numero spropositato dei componenti i vari consessi politici nazionali, dal parlamento al più piccolo consiglio circoscrizionale, ai vari enti fasulli, che sono istituiti appositamente per accontentare la ristretta cerchia della corte. Pertanto la loro drastica riduzione è problema vitale. La Famiglia Italiana è così povera da non potersi più permettere servitori di stato tanto numerosi; non sa proprio come pagarli.
3) E per concludere, analizziamo le spese pazze di parlamentari e politici in genere, costituite da privilegi assurdi, da elargizioni a pioggia a titolo gratuito di ogni tipo di servizio, comprese le assunzioni clientelari di parenti, amanti, amici ed altro che sia; senza dimenticare gli inconcepibili, spropositati emolumenti che percepiscono. Abbiamo letto il libro “La Casta”, e non aggiungiamo commenti, per non vomitare ancora una volta nel povero water. Leggiamo dal settimanale “L’Espresso” del maggio 2005, consigliando i fratelli più irascibili, quelli per intenderci che ogni giorno gettano il sangue per vederlo sprecato in tali porcherie, di prendere un sedativo. No, non una mazza da baseball; abbiamo detto un sedativo per voi, non per loro. Passiamo a leggere, va’. Dunque, dall’Espresso rileviamo: un recente provvedimento del parlamento, votato all’unanimità e senza astenuti, sempre in questi casi, ratifica un aumento di stipendio pro capite, cioè per ogni corpo che vi bivacca, di circa 1.135,00 euro al mese che vanno aggiunti ai 19.150 di stipendio, ai 4.030,00 per il portaborse, individuato il più delle volte nella moglie del politico o altro parente prossimo, ai 2.900,00 di rimborso spese per l’affitto e, in ultimo perché emolumento più vergognoso, un’imprecisata indennità di carica variante, a capotica discrezione, dai 335,00 ai 6.455,00 euro, il tutto sempre mensilmente e regolarmente esentasse. Nello stesso tempo il governo, lottando strenuamente già da qualche anno con la tristemente famosa triade sindacale, che altrettanto strenuamente fingeva di combattere, concedeva alla fine dell’immane sforzo l’opulento obolo di 30 euro mensili di aumento per gli statali. Aumento eroso, nel frattempo, dall’inflazione che, in aggiunta a quella degli anni precedenti e in aggiunta alla “truffa del cambio lira/euro”, aveva ridotto il potere d’acquisto dello stipendio mensile dei lavoratori del 60 per cento; ma a loro questo poco importa, purché rimanga sempre inversamente proporzionale il rapporto del tenore di vita politico/lavoratore; legge matematica inventata dagli odierni parlamentari, che non si sono accorti, però, che è la “loro” vera legge “capestro”. Inoltre, giusto per colmare il malcapitato water, “loro” hanno deciso che gli eletti hanno “diritto” alla pensione parlamentare dopo meno di tre anni dall’inizio del mandato. Qualche anno fa i cittadini avevano bocciato con un referendum plebiscitario il finanziamento pubblico ai partiti. Che t’escogitano, allora, i furboni? Il rimborso spese elettorali, dimostrando tutto il loro disprezzo per la volontà popolare. Continuiamo; hanno “diritto” a gratis a uffici e segretarie personali, all’auto blu e alla relativa scorta. Infine, visto inutile il tentativo di impedire al derelitto water di traboccare (si ha più rispetto per l’utilità di questo accessorio che per altro), questi ulteriori “diritti del dritto” sono elargiti a titolo gratuito: telefonino, pc portatile, ingresso nei cinema, ingresso nei teatri, ingresso negli stadi, tessera per bus e metropolitana, viaggi in treno, viaggi aerei nazionali, aereo di stato per quelli internazionali, ingresso nelle autostrade, vitto e alloggio presso ambasciate, uso di piscine e palestre, ricoveri in cliniche, assicurazione infortuni e decesso (quest’ultima spesa la pagheremmo anche volentieri visto che sarebbe proprio l’ultima; ma ci sono i panchinari …… e nulla cambia per il povero cittadino), auto blu con autista, ristorante, alberghi, francobolli. La ciliegina al veleno sulla disgustosa “torta” consiste nell’abominevole usanza, ormai consolidata, di caricare sempre sulle spalle del malcapitato cittadino il mantenere a vita gli ex parlamentari, anche se nessuno li elegge più. Come carta moschicida, zecche o parassiti che dir si voglia, ci si attaccano addosso e non riusciamo a liberarcene per il resto dei nostri giorni, costretti a pagare di tasca nostra tutte le elargizioni gratuite che illecitamente si sono accaparrati durante il mandato, a volte pur breve. E che schifo è. Peggio degli “Sfamazzi Bellucci”, si dice a Bari, in ricordo della famiglia più scroccona della Città. La Famiglia Italiana è così povera da non potersi più permettere i pagamenti, superiori ai propri guadagni, di una servitù tanto ricca; l’Italiano non è capace di andare a rubare, non è nella sua indole. E quelli che lo fanno sono i più disperati, spinti dalla ribellione a tanta ingiustizia. Sappiatelo, voi egoisti, se accaparrate tutto nelle vostre mani, diventa naturale che il prossimo, per vivere, deve sottrarre a chi più ha, non certo a chi non ha nulla.
4) E che aggiungere di più a tutto il male già detto su partiti e sindacati. Ma è stata democrazia quella gestita dai partiti sinora? Il cittadino non ha mai potuto scegliere liberamente i propri rappresentanti in ogni consesso politico, costretto sempre a ritrovarsi di fronte liste precompilate dai partiti in modo schifosamente clientelare; col disastroso risultato di avere figure incapaci a gestire la cosa pubblica. L’asserzione è dimostrata in modo inconfutabile dal continuo crescere del debito pubblico, problema primario da risolvere, ma mai affrontato seriamente dai politici del passato. Posti davanti a cifre spaventose, hanno creduto irrisolvibile la “cosa” e peggiorarne il deficit, secondo la loro limitata visione, non avrebbe certo cambiato le già precarie sorti del Paese; al contrario, cambiavano di sicuro in meglio le loro sorti. Sotto, dunque, a sperperi di ogni tipo, sino all’incredibile, al pazzesco. I sindacati hanno contribuito, in combutta con la politica, ad evitare che i cittadini si coagulassero in un insieme granitico, al quale sarebbe stato difficile resistere nelle contrattazioni salariali e nel migliorarne le condizioni lavorative. Hanno anche “loro” la gran parte di responsabilità negli assurdi sperperi perpetrati in ogni istituzione pubblica. Tutti i mali delle odierne differenze sociali rinvengono dallo scriteriato grado di impreparazione e menefreghismo dei sindacati nelle contrattazioni, presi com’erano, anche loro, dall’imperante clientelismo nel tentativo di far parte della stessa sfera dei "neomonarchici". Meglio non indagare a fondo su alcune situazioni patrimoniali. L’unico modo per neutralizzare la canea ringhiante è toglierle l’osso; strappate le tessere sindacali, non rinnovatele mai più. Altro discorso è da fare su militanti e attivisti, sia di partiti che di sindacati. I primi non fanno altro che arrampicarsi su quella sfera viscida per cercare d’entrarne e poi sostituire i rispettivi amici-compagni politici. I secondi si prestano per sporco denaro e indegne mercanzie a pressarvi sulle preferenze elettorali. Sono le categorie più pericolose, perché si annidano anche all’interno della vostra stessa famiglia e con parole suadenti vi lavano il cervello ogni quinquennio, condizionandovi a votare sempre gli stessi. E l’obiettivo che i mandanti si prefiggevano è raggiunto; sia voi che loro continuate a rimanere divisi. (continua)

redatto a bari il 19.10.2007

martedì 9 ottobre 2007

CLONAZIONE DELLA BALENA BIANCA

C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria? Andiamo a vedere. Nasce un nuovo partito.
- Tò, e dov’è la novita!
- Ma questo è grande; si dice che può raggiungere il 37%. E poi ha la sponsorizzazione di Prodi; vi è la certezza che Veltroni ne divenga segretario. Inoltre, si aggregano tutti i piccoli partiti, annullando così l’effetto frantumazione. Ne fanno parte i Dalema, i Cossiga, i Rutelli, i Mastella, le Bindi e le Pollastrini, e sembra pure che i fili vengano tirati dietro le quinte dal solito Andreotti.
- Hanno resuscitato la Balena Bianca! Hanno clonato la DC!
- Ohu, ma che gridi! Mi hai spaventato.
- Scusami sai; non ho saputo controllare l’orrore per il ritorno alla DC.
- Ma no, che stai dicendo.
- Non ne sei convinto? Aspetta, allora, che in un attimo ti spiego. La DC era un grande partito e ha generalmente stazionato sempre intorno al 37%. L'elezione del suo segretario veniva preconizzata almeno con sei mesi d'anticipo. Prodi nella DC c’era, anche se con altri incarichi dannosi per la comunità; c’erano pure i Cossiga, i Mastella, le Bindi. I Veltroni, i Dalema, i Rutelli, le Pollastrini, pur dichiarandosi di sinistra, partecipavano di nascosto alle Sante Messe. I piccoli partiti sono i fuorusciti della vecchia DC che, rientrando, produrranno le famose deleterie correnti che tante porte e finestre hanno fatto e faranno sbattere e i danni causati saranno sempre addebitati alla solità comunità. E qual è la sigla del nuovo?
- PD.
- Vedi, nemmeno il nome è nuovo. E’ stata fatta solo una semplice operazione matematica. Ricordi quando a scuola si riducevano le formule per semplificarle? PC e DC erano partiti contrapposti, quindi PC/DC; prova ad eliminare i fattori comuni e ottieni P/D. L’unico dispiacere è vedere escluse le sigle delle due ideologie, cristiana e comunista, che tanto bene oggi sposano insieme. Allora, dov’è il tanto propagandato nuovo? Quella croce di Andreotti, dopo aver perso lo scudo? Ma fammi il diabolico piacere …… E dire che Moro si è sacrificato inutilmente. Sarebbe bastato farlo allora questo superficiale lifting per salvargli la vita. Quanti anni perduti!
Concludendo, niente di nuovo sotto il sole. Mesta e rimesta, sempre la solita minestra è. Aria fritta e continue prese in giro nei confronti di stupidi cittadini che, correndo dietro al fumo, non possono poi fare altro che recitare il chi è causa del proprio male …… e l'arrosto, intanto, finisce nelle solite pance tronfie.

redatto a bari il 9.10.2007

domenica 7 ottobre 2007

ITALIANI TRE

Italiani, avrebbe detto il Mazzini, visto se avevo ragione? Non c’è nulla da fare; i kaiser che ci governano non vogliono proprio intenderla. E invece di tagliarsi gli stomachevoli viveri di cui s’ingozzano, che fanno? Qualche ritocchino alle tasse, fumo negli occhi per una manciata di briciole con cui sfamarci, ed ecco l’obolo dei prepotenti al popolo “sovrano”, ma indigente per loro volere. Nel mentre, il ritocchino e parte dei nostri redditi sono già stati erosi dai continui aumenti sui beni di prima necessità, i cui prezzi, proprio per quel volere di cui si diceva, nessuno controlla di proposito; gli addetti a tali controlli chiudono anche tutt’e due gli occhi pur di portare a casa ogni giorno la spesa gratis. Proprio per tale motivo, è necessario precisare che i kaiser sono anche consapevolmente colpevoli della precaria situazione di molte famiglie italiane, infischiandosene col massimo dell’incoscienza. E’ solo di qualche settimana fa la dichiarazione rilasciata in una trasmissione tv dal signor Bertinotti, che affermava essere nel giusto la retribuzione di 20.000 euro mensili del presidente della Camera, a fronte dei 1.000 euro di un operaio generico. Caro Bertinotti, caro ex paladino di chi fatica, dopo la boutade da lei esternata (lei non merita altro che del “lei”; il “tu” noi lo diamo ai nostri fratelli italiani), si diceva da lei esternata nell’occasione, rifletta un attimo su questa considerazione, “Se cancelliamo i bertinotti, l’operaio continua a campare; se eliminiamo l’operaio, i bertinotti non campano più”, e converrà certamente con noi che essa è una sacrosanta verità: i cittadini senza politici rimangono sempre se stessi; i politici senza i cittadini sono nullità. Fratelli Italiani, qui si rifà l’Italia o si muore ...... di fame! Il clima è quello giusto; lo dimostrano le loro dichiarazioni che, in prossimità di sommovimenti popolari, spalleggiati da certa stampa mantenuta con pubblici contributi, tirano fuori ogni volta a sproposito la solita tiritera del populismo. Hanno mai pensato che tante volte il vociare del popolo sia ricerca di verità e giustizia, che loro tentano sempre di camuffare dietro l’inconsistente paravento del qualunquismo? Sono vere sofferenze, materiali e morali, quelle che stanno subendo i cittadini, altrochè! Siamo ormai dinanzi alla classica situazione di chi ha la pancia ricolma che non crede all’affamato. Gli italiani hanno capito che sotto le iridate e tramontate ideologie parlamentari non vi è altro che il goffo tentativo di tenerli ancora divisi. L’altro giorno un giovane, intervistato da una tv a proposito della fusione di alcuni partiti, si esprimeva già in perfetto politichese; sembrava di sentire i giovani comunisti degli anni ’50 i quali, pur perseguendo gli stessi scopi dei coetanei democristiani, si lasciavano ingenuamente dividere da evanescenti rancori ideologici, perdendo di vista le mire comuni e i veri subdoli intenti di chi li aveva corrotti mentalmente e irrimediabilmente. A meno che quel giovane non sia un catechizzato, infiltrato fra il popolo per continuare a dividere i cittadini con falsi obiettivi; a meno che non abbia mire egoistiche da futuro “politico all’antica”, quel caro giovane non ha soprattutto capito che l’unica divisione moderna di un popolo deve intendersi in quella linea immaginaria che separa, non dall’alto in basso il popolo, ma in orizzontale i cittadini dai politici: noi di qua e loro di là. Si chiedesse quel giovane in che consiste la differenza fra un destroide e un sinistroide, quando entrambi cercano obiettivi comuni per un futuro sereno; farlo uniti è più semplice che affaticarsi inutilmente da solo. Non facciamoci prendere stupidamente ancora in giro, permettendo all’illegale corte aristocratica, da decenni installatasi in parlamento, di continuare a vivere al di là di ogni più fantasiosa agiatezza con il nostro sudato denaro. Tutto ciò non è più tollerabile, perché non è giusto; in una vera famiglia quando c’è da sacrificarsi, ci si sacrifica tutti insieme; così come il benessere deve toccare tutti. Quindi, impossessiamoci delle piazze, dei palazzi, di tutti i luoghi pubblici che per legge appartengono al Popolo Sovrano, come previsto dalla Costituzione, democraticamente, senza alcuna violenza; anche se qualcuno dei neoaristocratici ha già messo le mani avanti, straparlando di pistole in risposta ai movimenti spontanei di popolo. Come questo nostro, che monta ogni giorno di più, per intenderci. Sappiano i neorealisti che negli scontri armati, l’unico a rimetterci è sempre stato il popolo; perciò, non è da noi che devono guardarsi le spalle quei signori. Ma loro questo lo sanno, lo sanno. Anche se non l’intenderanno mai, vivendo in un mondo a sè. Un mondo asettico dalle contaminazioni della vera vita quotidiana, di quella vita da molti di loro mai conosciuta, la vita dei lavoratori dediti a produrre e non a farsi mantenere. Ci serviamo dello stesso mondo ma con concezioni diametralmente opposte. Mentre noi camminiamo su una sfera tangibile, loro ruzzolano pericolosamente in una sfera virtuale, anche se dorata; anzi, proprio perché dorata non riescono più a vedere che sprofondano a precipizio nello stesso abisso da loro creato nei confronti del popolo. Da tempo hanno perso di vista la realtà, chiuso gli occhi per sognare; ma i sogni finiscono, e il più delle volte in piena notte. Proprio per evitare la nostra e loro catastrofe, quindi, dobbiamo essere noi, a prescindere da altre volontà, a prendere l’iniziativa, in nome del Paese, per redigere nuove norme che, a guisa di gabbia, impediscano all’angelico candidato di trasformarsi, una volta eletto, in quel famelico animale parlamentare, artigliato e beccuto. Norme che rientrano nel più ampio rivoluzionario progetto, non solo di uomo per il terzo millennio, ma di Uomo perenne. Ed è con queste semplici ma naturali norme che si può impedire al potere di mettere radici. Con queste norme, rette a sistema, dobbiamo scuotere vigorosamente ma democraticamente i politici insensibili; scuoterli per tentare di ridare vita alle loro agonizzanti coscienze e recuperare gli irrecuperabili. Ricordatelo sempre, signori della corte, il denaro che maneggiate è del popolo, non è vostro. Noi vi diamo mandato ad essere pubblici funzionari per qualche anno, ed è per tali mansioni che dovete essere pagati; non perché vi autonominiate sovrani di un regno inesistente, pagandovi da soli con il nostro denaro, senza che vi sia un organo che vi contrasti. A noi sarebbe bastato il consesso delle vostre coscienze, ma quelle, voi lo sapete bene, sono di proposito in agonia e per l’intero mandato. (continua)

redatto a bari il 7.10.2007

giovedì 4 ottobre 2007

ARIA FETIDA

Anni fa gli amministratori pubblici della città di Bari, i politici della così detta “Bari bene”, dovendo installare due impianti di depurazione dei liquami di fogna, dove stabilirono di farlo? Nel quartiere Murattiano, il salotto della città? Non sia mai! A Poggiofranco, Carrassi o Libertà, le stanze rappresentative di Bari? Da escludere! Dove piazzarli, allora? Ma sì, ecco la soluzione! Se n’erano proprio dimenticati. Così decisero di ubicarli a Japigia e San Paolo, due quartieri della città già disgraziati per altri motivi. E’ pur vero che all’epoca i siti prescelti per i due depuratori erano in aperta campagna; ma il Piano Regolatore della città era sotto i loro occhi; ed era ben visibile che gli stessi siti nel giro di pochi anni sarebbero stati circondati da nuovi insediamenti residenziali. Non era necessaria molta lungimiranza per capire che un guasto qualsiasi agli impianti avrebbe causato l’ammorbamento dell’aria circostante. Ma che importanza poteva avere per quei signori per bene l’ulteriore degrado di due quartieri così popolari; tanto loro non vi mettevano mai piede, salvo ogni fine quinquennio per rastrellare voti; faceva niente se fetidi, lerci e rivoltanti, sempre voti utili a rimanere in sella erano. Comunque, quella che era una grigia previsione allora, è poi diventata la più nera delle realtà: invece che colpiti da guasti periodici, i due impianti si sono trasformati in un perenne focolaio di inquinamento ambientale, soprattutto nei giorni in cui lo scirocco a Japigia e il Levante al San Paolo soffiano costantemente verso le abitazioni. In quei giorni la gente che non vi abita gira al largo dai due quartieri; chi vi risiede, o è costretto a passarvi, istintivamente porta le dita al naso per evitare che il fetore insopportabile gli causi nausea, o addirittura malore in molti casi. A Japigia, inoltre, sono messi ancora peggio per le esalazioni nocive che un oleificio lì ubicato diffonde continuamente in tutto il quartiere. E’ proprio una bella cartolina anti-turismo per Bari presentare in tale stato i due quartieri che fungono da porta settentrionale e meridionale della Città; le porte da cui tutti sono costretti a passare per entrare e uscire dal Capoluogo pugliese. Quanti danni hanno provocato tali disfunzioni amministrative solo il Signore lo sa. Ma quello che noi mortali possiamo toccare con mano sono soltanto quelli economici che ogni cittadino ha dovuto sopportare sottoforma di svalutazione degli immobili, doppi infissi con vetro-camera, impianti di aria condizionata; inoltre, è da mettere nel conto anche lo stato di salute precaria dei cittadini per l’inappetenza all’ora dei pasti, la riluttanza a parlarsi d’amore, l’impossibilità di utilizzo degli spazi aperti necessario al ritemprarsi di corpo e anima. Evitiamo per pura decenza di parlare dei meno abbienti che, senza doppi infissi e condizionatori, rischiano ad ogni estate che lo stress da puzzo endemico li ammazzi, se già non sia avvenuto in qualche caso. I politici che hanno causato questo disastro ambientale meritano la gogna mediatica, oltre che risarcire tutti i danni provocati con il loro dissennato comportamento classista. E con loro anche quelli che si sono succeduti, per non aver posto rimedio al male sociale causato dai loro predecessori. Si era sperato nell’ultima giunta capeggiata da Emiliano che, di colore più popolare, avrebbe dovuto porre fine ad una situazione sociale tanto incivile, da paragonarsi alle tristemente famose baraccopoli con le fogne a cielo aperto di molte città da quarto mondo. Ma sino ad oggi le speranze sono andate deluse. C’è chi dice per mancanza di fondi, chi per incuria, chi per incompetenza, chi, anche a sinistra, per disprezzo di classe, chi per inadempienza; la cosa certa è che a nessuno interessa la sorte di certi quartieri. Ne terremo conto al prossimo rastrellamento di voti. Intanto ci preme rispondere alla mancanza di fondi. Se Emiliano non avesse speso tanti miliardi prima per l’abbattimento di Punta Perotti, e poi per l’impianto e la futura perenne manutenzione di un parco sterile per la vita produttiva della Città, ed avesse indirizzato tali risorse per eliminare i pestilenziali, cattivi olezzi che si effondono nei due malcapitati quartieri, già da mesi i cittadini, residenti e non, sarebbero finalmente tornati a vivere. Intanto, mandiamo a dire al sindaco Emiliano che gli restano ben due anni di tempo per rendere felici quei cittadini, prima che gli stessi, denunciando con la presente le citate disfunzioni, segnalino i responsabili delle inadempienze alle competenti autorità sanitarie per gravissime omissioni di atti d’ufficio e attentato aggravato e continuato alla salute pubblica.

redatto a bari il 4.10.2007

mercoledì 3 ottobre 2007

PREGHIERA DEL VIANDANTE

Signore,
in principio i discepoli della Tua Dottrina mi hanno parlato di una strada lastricata di onestà, lealtà, amicizia, bontà. Ho cominciato a camminare sereno per le certezze da loro infuse nel mio animo.
Mentre percorrevo la Via guardandomi intorno, sorpresa, sconcerto, dolore soltanto si sono alternati nel mio cuore, puro per quei principi. Ormai, sono ben oltre la metà del cammino e comincio a disperare. A chiedermi il perché di questa condanna a percorrere la mia strada sempre circondato dalla più ria gente. Ho forse da portare sulle mie spalle le iniquità del mondo per una colpa che non conosco? Sono stato io a crocifiggerTi per subire la stessa sorte? Ho cercato in ogni angolo di strada percorsa, in ogni pertugio, il più illuminato o il più misero che fosse, miei simili; leali fratelli, uomini onesti, buoni cristiani, cittadini civili; non m’è stato dato trovarne.
Ovunque abbia guardato, i miei occhi han solo visto nefandezze, costretto com’ero a viaggiare insieme a ladri incoscienti, cinici assassini, politici corrotti, tirannici capi di stato, governanti incapaci, legislatori incomprensibili, forze dell’ordine disumane, legali avidi, giudici ingiusti, medici spergiuri, professionisti impreparati, maestri che diseducano, allievi incorreggibili, mafiosi matricidi, immondi spacciatori, turpi mercanti d’armi, feroci dittatori, truffatori disgustosi, lerci stupratori e, all’ultimo gradino degli umani orrori, il crimine più orrendo, imperdonabile: la violenza sui bambini. Su quei bambini di cui sempre Ti circondavi; quei bambini da Te tanto amati; quegli esserini indifesi, immacolati, simbolo eterno della Tua Purezza. Si faccia indossare a ognuno di quei personaggi tutti gli aggettivi con cui sono stati qualificati e si veda come li calzano sempre alla perfezione.
Che siano state costituite addirittura associazioni che difendono pure i criminali, è la massima assurdità dell’uomo contemporaneo. La misura è colma, se si pensa che, nell’informe massa in cui si è trasformata l’umanità, i meno incivili sono gli automobilisti, che utilizzano quotidianamente il mezzo come fosse un’arma per offendere. E in questo inferno terrestre stampa e tv fanno a gara a chi più pesca nell’umana fetida fogna. Tutto questo solo ed esclusivamente per il vile denaro. Diventato tale sempre per colpa di avidi criminali, che ne hanno stravolto l’uso che esso aveva in origine: un mezzo su cui tutta l’umanità ha diritto di viaggiare e non una proprietà esclusiva. Cosa non fa per denaro questa genia maledetta. Per denaro ammazza genitori, svende i suoi stessi figli. Il demoniaco denaro è la radice venefica di tutti i mali dell’umanità, tuttora così primitiva da non saperlo utilizzare nel modo giusto.
Che amaro destino il mio! Ho porto l’altra guancia innumerevoli volte, sino alla consunzione, inutilmente. Sono stanco, Signore, disgustato; non c’è proprio rimedio a questa mia dolorosa condizione prima che le residue forze m’abbandonino per sempre? Ho paura di perdere il coraggio che mi ha retto sinora e diventare bestia famelica come loro, almeno per difendermi nel percorrere sino in fondo il breve tratto che mi rimane. Per me sarebbe la fine di tutto.
Aiutami dunque, Signore, illuminami, non abbandonarmi proprio ora! L’Uomo, Signore, dov’è l’Uomo? Ti prego, indicami il bivio dove lasciare questa via lastricata di delitti ed incamminami sull’agognata strada promessami in gioventù; strada in cui, ne sono certo, vi sono tanti uomini di buona volontà; viandanti che, come me, nella tenera età si sono totalmente aspersi nei Tuoi Santi Principi.
Grazie, Signore, per avermi messo continuamente alla prova. Ma ora donami quel Mondo promesso.

redatto a bari il 14.12.1996

lunedì 1 ottobre 2007

CARITA’ URBANA

Sor Limone passeggiava in città. Nove mendicanti in punti diversi gli avevano chiesto un soldo. Aveva solo dieci euro in tasca. Pensò che avrebbe potuto dividerli con loro, un euro a testa. Ma a fine giornata, con quel misero obolo, sarebbero morti tutti e dieci. Si disse, quindi, di aver fatto bene a tenere la moneta tutta per sé. Almeno uno l’aveva salvato!

redatto a bari il 15.12.2006

IL SOMARO COCCIUTO

Rocchino menava vita grama nella sua Noicattaro, paesello pugliese alle porte di Bari. Il padre morendo gli aveva lasciato un piccolo appezzamento brullo e sassoso appena fuori paese, e un asino chiamato in famiglia Arriò. Il somaro, più giovane di Rocchino, gli faceva da carro per gli attrezzi agricoli. All’alba, appena svegli, i due si davano una energica scrollata e una rapida lavata. Poi Arriò, caricati attrezzi e padrone in groppa, si avviava sulla stradina polverosa che portava all’appezzamento. E sino al tramonto vi trascorrevano tutta la giornata, l’uno a lavorare inutilmente quel terreno sterile e l’altro a rimpinzarsi di erba fresca nei campi confinanti. Era la loro esistenza, un giorno dopo l’altro, come i grani d’un grigio rosario, tutti uguali; tranne la domenica, identica a tutte le domeniche. L’ultimo giorno della settimana Arriò rimaneva a riposare nella stalla accanto alla stanza del padrone; Rocchino, invece, indossato l’abito della festa già usato dalla buonanima del padre, andava in piazza a trattenersi con gli amici per le solite chiacchiere. La monotonia dei giorni lavorativi continuò a susseguirsi senza nessun cambiamento; mentre la noia delle domeniche fu interrotta il giorno in cui un vecchio paesano, emigrato anni prima in America, fece ritorno per raccontare agli amici in piazza come avesse fatto fortuna a cercare oro.

- Una padella traforata per filtrare l’acqua del fiume e pescare pepite, e una bestia per farsi trasportare attrezzi e sacchetti d’oro, ecco tutto quel che serve per diventare ricchi in America, ripeteva convinto il vecchio; anche se in fondo, a guardarlo bene, non è che vestisse proprio di fino. Ma le sue parole colpirono Rocchino.

- L’asino per il trasporto ce l’ho, gli attrezzi anche; vendo il terreno per il viaggio e la padella bucata e vado a cercar fortuna anch’io.

Giunto in America e seguendo i cercatori d’oro come lui, Rocchino e l’asino presero alloggio nella stessa baracca alle porte di un paesello del Far West. La prima cosa che gli venne in mente per darsi importanza fu quella di cambiare il proprio nome in Roch e quello dell’asino in Harriò. Cominciarono presto a lavorare per arricchirsi in poco tempo, riprendendo ad alzarsi all’alba, a darsi l’energica scrollata e la rapida lavata. E Harriò a trasportare attrezzi e padrone su una stradina polverosa, che si inerpicava per un tratto lungo il costone di una montagna, per poi biforcarsi, continuando a salire prendendo a destra e a scendere al fiume prendendo a sinistra. Nei primi giorni Harriò sbagliava direzione, prendendo il tratto a destra. Roch, usando tutte le sue brusche maniere, lo rimetteva sulla strada giusta per il fiume. Nonostante fosse passato un bel pezzo di tempo, il ciuco continuava a sbagliare. Persa la pazienza, Roch, prese a dargli bastonate a tutta forza per rimetterlo sulla giusta via. Ma quel somaro di Harriò, cocciuto più d’un asino, ricadeva ogni giorno nell’errore, inerpicandosi sul tratto a destra; e di conseguenza Roch gli scaricava legnate sul groppone per correggerlo. Senza accorgersi, i due erano ripiombati nel monotono quotidiano tran tran del paesello natio. Ogni giorno alzate, camminate, faticate e raccolta di miseri frutti sottoforma di poche pagliuzze d’oro; era venuta meno anche la bella abitudine domenicale del riposo e delle chiacchiere con gli amici in piazza. La sola variante alla vita grama passata, le quotidiane legnate al bivio. La storia andò avanti per anni. Una mattina, più stanco del solito, Roch si addormentò in groppa all’asino che, giunto alla biforcazione, s’incamminò imperterrito verso destra. Harriò riuscì finalmente a percorrere cocciutamente la stradina in salita, che terminava proprio sotto la parete verticale della montagna. Il dondolio dell’andatura improvvisamente interrotto fece risvegliare Roch. Accortosi che Harriò, non solo aveva preso la strada sbagliata, ma l’aveva anche percorsa tutta costringendolo a una perdita di tempo prezioso, balzò a terra e furioso afferrò il bastone per dargliene alla cieca. Sollevato il legno, però, s’accorse che Harriò, raspando il terreno con uno zoccolo, aveva messo allo scoperto un grosso filone d’oro. Mollato il bastone e dopo averlo abbracciato, fu solo a quel punto che Roch, messi sulle proprie spalle basto e soma, capì chi fosse il vero asino cocciuto.

redatto a Bari il 19.10.1964

CACCIATOR CACCIATO

La torma armata di cacciatori invase all’alba il bosco. Dai loro eretti fucili spari a raffica sventagliarono le foglie degli alberi. Dietro i loro rami cercavano inutilmente riparo i poveri uccelletti. Molti erano stati già colpiti e giacevano sulla terra umida del sottobosco. I superstiti, non sapendo più come difendersi, si riunirono a consiglio nominando il più coraggioso di loro per parlamentare. Il rappresentante dei volatili, sventolando la bandiera bianca per chiedere tregua, disse:

- Cacciatore, perché tiri all’uccello, se a te l’uccello non tira?

Non aspettandosi un tiro tanto basso, i cacciatori furono costretti a battere in rotta con i loro fuciletti, resi impotenti dal buon senso di un umile uccelletto.

redatto a Bari il 2.12.1999