mercoledì 26 settembre 2007

LIBERISMO PER LIBERISMO

Caro Bersani,
i tuoi recenti provvedimenti in materia di libera economia di mercato, hanno scombussolato non poco la mia attività professionale, che fondava tutte le sue certezze sulle tariffe in vigore dal lontano 1949 e che tu hai voluto abolire; ma non è questo che maggiormente mi turba perché, dopo quasi quarant’anni di libera professione, so ben darmi un valore senza mai scenderne al di sotto: conosco a menadito le mie capacità e i miei limiti. Quello che più mi sconvolge è il mancato rispetto del semplice principio che il buon esempio deve sempre venire dall’alto; da voi politici regolarmente disatteso. Personalmente ogni volta che, nel mio studio o in cantiere, ho dovuto stabilire nuove norme per una funzione più organica del lavoro, sono stato il primo a rispettarle, dando così il buon esempio a tecnici e operai, sgombrando contemporaneamente il campo da qualsiasi illazione: non ho mai dato l’impressione di infischiarmene, perché tanto quelle norme andavano ad intaccare gli interessi dei subalterni e non i miei. E’ facile per chiunque, stando nella stanza dei bottoni, spingere quello rosso per i guadagni dei comuni cittadini e il verde per i propri stipendi. Io non lo farei. Per concludere, quindi, penserò che la tua iniziativa sia disinteressata e di sani principi solo quando nella nuova legge elettorale, per ogni competizione politica o amministrativa che sia, farai inserire la norma che obblighi i candidati a riportare di fianco al proprio nome l’importo che intendono percepire per l’intero arco temporale del mandato che noi cittadini gli andremo ad affidare; importo trattato e concordato con un organo popolare. Questa sì che sarebbe concorrenza pura a tutti i livelli sociali. A parità di prestazioni e votando i meno esosi, può facilmente immaginare che considerevole vantaggio economico ne trarrà la comunità: in pochissimi anni si potrà addirittura azzerare l’angosciante debito pubblico che da sempre affligge ogni italiano.

redatto a bari il 16.2.2007

lunedì 24 settembre 2007

ITALIANI DUE

Italiani, avrebbe detto il Mazzini, predicando l’unità dell’Italia volevo che si realizzasse alla base, fra la gente comune, tale unità. Invece, sostituendosi in tutto all’antica corte aristocratica senza averne titolo, l’oligarchia perdente, composta da gente furba, intuito che l’unità dei popoli era inevitabile, cosa ti ha inventato? La frammentazione dei cittadini in bianchi, rossi, neri, utilizzando tutto l’iride ed i suoi sottotoni, per annullare di fatto la loro unione alla base e accecarli con ideologie utili soltanto a neutralizzare la reale suddivisione orizzontale di uno stato: i governi di là e il popolo di qua della immaginaria linea di confine che separa le due categorie. Se i governanti sono capaci di vivere con i cittadini i loro problemi risolvendoli, tale linea diviene tanto sottile da svanire; ma un governo incapace, proteso soltanto a difendere con ogni mezzo i personali interessi e privilegi, trasforma la linea di demarcazione in un vero e proprio baratro, attraverso cui il comunicare diventa impossibile, istigando così la gente all’inosservanza delle regole sociali. Ed è proprio tanto il divario oggi fra politicanti e cittadini da rendere impossibile ogni dialogo. Fine raggiunto volutamente dai politici proprio per riuscire con facilità ad ottenere lo smembramento alla base degli intenti comuni dei cittadini, distratti dai propri litigi, sino a non accorgersi che, al contrario, la classe politica, schierata nella fittizia divisione di centro, sinistra e destra, diveniva sempre più granitica e arrogante nel perseguire gli interessi collettivi di categoria privilegiata e non contemplata da nessun articolo della costituzione; in pratica, sostituendosi a quella esecrata nobiltà, che tanti lutti ha cagionato al popolo, per perpetuarsi nel danneggiarlo sempre più. La situazione attuale dell’Italia la si può paragonare a quell’edificio virtuale nel quale al piano attico è sistemata la corte politica, che non riesce a vedere ciò che accade sotto per i magnifici giardini pensili che circondano il loro superdotato appartamento; ai piani intermedi vi è la classe produttrice che sopporta tutto il peso del piano superiore; e proprio nel piano interrato, dove dovrebbero esserci strutture di fondazione tanto robuste da sostenere tutto il peso dell’edificio, chi ti ha sistemato il corrotto progettista? La corte dei Miracoli. Ed è soltanto per puro miracolo che l’edificio Italia, sfidando ogni legge di statica, è ancora in piedi. Per evitare che tale stato di cose giunga al limite di rottura, è urgente eliminare alla radice tutti i mali che impediscono al Paese di crescere sano e vigoroso, cominciando da quelli più gravosi. La protervia dei politici è arrivata a un punto tale di cinismo da non riuscire più a capire le reali difficoltà dei cittadini. Sono di questi giorni le allucinanti dichiarazioni dei loro maggiori esponenti che, facendo i tonti nel girare in tondo alle nostre precise richieste, assumono il classico atteggiamento di quei bambini gelosi dei propri balocchi, eludendo risposte sui loro immorali stipendi, disgustosi privilegi e sprechi di ogni natura. “Le tasse non aumenteranno l’anno prossimo”, sono le loro scriteriate dichiarazioni in risposta ai nostri precisi obiettivi, cioè giochiamo con i vostri soldi purché non si sfiorino i nostri. Sono i sordi peggiori perchè non vogliono intendere. E noi li prenderemo a megafonate, strillando sempre più forte nelle loro ottuse orecchie: “Cari politici, allora non la volete proprio capire. Non sono le tasse che ci preoccupano, anzi, noi vogliamo pagarle, ed è giusto che si paghino, ma non certo per riempire inutilmente le vostre tasche sempre più sfondate. Ciò che non possiamo più sopportare sono i vostri stratosferici emolumenti, i vostri ingiusti privilegi, soprattutto i vostri voluttuosi sperperi di pubblico denaro per gingilli effimeri, per protettori e prostitute di stato, sottraendo somme sostanziose ai più vitali bisogni del popolo; sono proprio queste vostre insopportabili spese pazze che dovete tagliare drasticamente. Finitela, perciò, di fare i finti tonti. S’è versato sangue di popolo per eliminare servitù della gleba, schiavitù e simili storture dell’uomo sull’uomo, ed ecco che un manipolo di anacronistici parlamentari ci scaraventa nuovamente in pieno feudalesimo. Quindi, se non volete che la situazione arrivi al punto estremo, ascoltate la voce del popolo, vostro solo datore di lavoro: ficcatevi bene in testa che nessun dipendente, nessun servitore dello stato, può e deve stabilirsi lo stipendio da sé, perchè è l'azione più illegale che si possa compiere contro la sovranità popolare. Siete gli unici a farlo da decenni, senza che vi si opponga nessun organo per le trattative, al contrario di ciò che avviene per tutti gli altri lavoratori italiani. Quindi, il popolo stabilisca, con tutta la fermezza che deve scaturire dai numeri in un regime democratico, cosa si può fare per tagliare in primis spese e privilegi di questi novelli feudatari. Un programma serio, che possa imbrigliare con una formula sempre valida ingiustizie, prepotenze e prevaricazioni di medievale memoria dei pochi sulla stragrande maggioranza dei cittadini, non può prescindere dall’attuazione di regole basilari per un vivere sociale sempre più civile che di volta in volta saranno pubblicate con succinti commenti. La definizione più appropriata di tale programma non può che essere “PROGETTO DI UOMO DEL TERZO MILLENNIO”. Programma che, se ben recepito, oltre che per l’Italia, diverrebbe sistema per tutti i popoli; le singole norme di attuazione saranno dettate nei prossimi proclami.
Italiani, avrebbe detto il Mazzini, svegliatevi e date avvio al Neorisorgimento. (continua)

redatto a bari il 24.9.2007

venerdì 21 settembre 2007

MANIFESTO BASTARDO
Non sono un giornalista, per fortuna, né uno scrittore! Perciò, di solito quando prendo la penna, da perfetto dilettante sto molto attento che sia collegata al cervello. Questa volta, invece, per esprimere il mio profondo disgusto su un titolo letto qualche giorno fa, voglio comportarmi da “serio” professionista della parola, scollegandola dal cervello. Permetterò, quindi, alla penna di scorrere sul foglio a ruota libera, senza freni né guida, in modo da rispondere a un quotidiano con le sue stesse scriteriate armi. Responsabile di quel che segue, dunque, è la penna e non chi scrive. “Passeggiavo per via Sparano quando ai miei piedi, trasportata dal vento, passava la prima pagina di un quotidiano politico (??????) che batteva il marciapiede. L’occhio captava a volo il titolo impresso a grandi lettere su di essa. Un titolo, in apparenza spiritoso, ma nella sostanza volutamente blasfemo nei confronti del nuovo Papa. Chissà quale mente eretica, in quel covo di atei o, quanto meno, di rinnegati della Cristianità, ha partorito un’idea tanto mostruosa. Purtroppo è la condizione in cui sono costretti a vivere i dannati che hanno reciso le proprie radici da quella che è la cultura in cui l’Europa Cristiana si è formata negli ultimi duemila anni. Pur negandola, non possono fare altro che prendere atto di questa realtà, anzi, Verità. In altri paesi di religione diversa, per molto meno, sarebbe successo il finimondo. In Italia, ormai, sparare sulla Chiesa è diventata comune abitudine di chi non ha Fede. Quel titolo voleva solo essere ironico? A me è parsa violenza pura. Comunque, ironia o violenza che sia, ecco la risposta mordace, sempre in tema canino, che meritano quei peccatori: Meglio essere PASTORE e TEDESCO che BASTARDO e MANIFESTO. Visto come è facile giocare con le parole?
redatto a bari il 15.5.2005

giovedì 20 settembre 2007

SESSUALITA’ IN PIAZZA

Presidente e iscritti dell’Associazione Cittadini d’Europa “Cristianesimo e Costituzioni”, riuniti in assemblea, abbiamo discusso alcune sere fa su quanto deciso da alcuni politici di far svolgere a Bari il prossimo raduno gay. Naturalmente, tutti d’accordo ci siamo detti contrari, non in particolare al suo svolgimento nella nostra città, ma proprio al suo svolgimento in generale. Non sono certo motivi discriminanti che ci hanno spinti a una tale presa di posizione; anzi le nostre idee sono riportate fedelmente nello statuto sociale che esclude qualsiasi forma di discriminazione fra gli esseri umani. Saremo sempre inorriditi per le sofferenze patite dagli omosessuali lungo il corso della storia, soprattutto per le ultime persecuzioni nazifasciste subite per colpa di ideologie stupide vomitate da menti malate. Il nostro parere è dettato dalla semplice constatazione che molte sono oggigiorno le occasioni che distolgono la gente da cose ben più serie. Senza contare feste civili e religiose, c’è la giornata del papà, della mamma, del soldato, dei lavoratori, dei diversi, dei santi, degli scrittori, dei vari mister e miss, dei global e non global, insomma di tutti. A pensarci bene, anzi, manca proprio la giornata degli eterosessuali, che vivono la loro natura in silenzio senza spiattellare in nessuna piazza le loro intimità. Come si vede, perciò, a questo punto gli unici a sentirsi discriminati dovremmo essere proprio noi normali. Ma non lo facciamo proprio per quell’alto senso di civiltà che ci contraddistingue e, in verità, che contraddistingue tanti altri fra le categorie citate. Quello che disgusta tutti è il modo becero, volgare, esibizionista di manifestare, che per fortuna solo in pochi mettono in mostra e contro i quali ci schieriamo, pregandoli di mostrarsi nell’occasione barese più maturi e civili che nelle precedenti o, almeno, di non sporcarci la città. A riprova che non siamo contro gli omosessuali, devo aggiungere che io personalmente ho avuto un carissimo amico d’infanzia di nome Guglielmo, che ora purtroppo non c’è più, conosciuto soprattutto come Willi, il quale viveva la sua diversità con garbo, con signorilità; lui odiava quegli isterismi ed esteriorità volgari che caratterizzano le manifestazioni degli omosessuali. Non avrebbe mai partecipato a simili raduni carnevaleschi fuori stagione. Addirittura il gruppo di amici, di cui anche Willi faceva parte, solo dopo anni ha saputo che fosse omosessuale, e nessuno s’è mai lasciato solo sfiorare dall’idea di allontanarlo. Era carissimo a tutti proprio per la sua nobiltà d’animo, per i suoi modi affabili, per la sua discrezione; mai siamo stati oggetto delle sue attenzioni particolari, che Willi riservava solo a chi fosse consenziente; ben sapendo quali fossero le nostre tendenze sessuali, non ha mai tentato di forzare la volontà di nessuno; viveva la sua sessualità con orgoglio, scegliendo liberamente e lasciandosi scegliere liberamente. Così facendo non si creava nemici, ma solo amici e tanti; sapeva bene che più allargava la cerchia delle amicizie più gli era possibile trovare qualcuno con cui condividere il suo sentimento. Eravamo un bellissimo e unito gruppo di amici; tutti lo amavamo e lui amava tutti noi, ma di quell’amore istintivo che nasce solo nell’infanzia e, al di là di ogni interesse, dura per sempre; di quell’amore che esclude in assoluto le implicazioni del corpo, sublimandosi solamente in quello spirito puro che travalica le rispettive vite terrene. Mai, noi amici, abbiamo sentito Willi contrariarci per il nostro desiderio di ragazze; diceva sempre “Se non ci fossero ragazzi come voi, noi omosessuali non esisteremmo, nessuno esisterebbe, perché alla fin fine siamo tutti concepiti da un uomo e una donna.” E noi aggiungevamo “Se fossimo tutti ricchioni l’umanità si estinguerebbe in una generazione.” Sì, usavamo e continueremo ad usare proprio quella parola, non certo in senso spregiativo né per non saperci aggiornare, ma solo perché gay ci sa troppo di effeminato. Con ricchione, invece, lasciamo loro ancora una parvenza di quella mascolinità perduta o mai avuta; non ce ne vogliano, pertanto, tutti i fratelli diversi. A questo punto, prima di chiudere, io presidente sento il dovere di difendere la mia discriminata categoria, sottolineando con ripicca che se gli omosessuali hanno un loro “orgoglio gay”, permettetemi di manifestare il nostro “doppio orgoglione”.
Fraterni saluti a bianchi e neri, biondi e bruni, alti e bassi, grassi e magri, belli e brutti, femmine e maschi; buona e civile manifestazione a tutti.

redatto a bari l’1.10.2002

sabato 15 settembre 2007

FALSO PACIFISMO

Quale presidente dell’Associazione Cittadini d’Europa “Cristianesimo e Costituzioni”, in armonia con le mie competenze sociali, informo che il nostro gruppo, per statuto e per disposizione naturale di ogni singolo iscritto, è contrario ad ogni tipo di guerra, persino a quella con le palle di neve. L’assemblea tenutasi qualche giorno fa si è dichiarata pacifista ad oltranza, ma non all’unanimità. Un numero piccolissimo di sette soci, fra i quali mi sono schierato anch’io sin dall’inizio, diventando poi undici al termine della discussione, ha ritenuto controproducente il pacifismo alla cieca, soprattutto nei casi estremi. Quando il nostro interlocutore, sordo di udito e tosto di comprendonio, è un dittatore dichiarato, uno sfrenato tiranno assetato di potere sino alla schizofrenia; un despota che nella sua mente distorta si crede superiore ad ogni essere umano, immune ad ogni principio morale, stupidamente immortale, diventa un dovere sacro dichiarargli guerra, anche per limitare il numero delle vittime che tentano di opporsi alla sua crudeltà. Come sta accadendo da qualche anno nel caso di Saddam Hussein. Per sostenere meglio questa tesi, ho dovuto esternare il cinismo più acuto con un drastico esempio. Avremmo oggi il Giappone ai primi posti fra le nazioni più progredite, se gli americani non avessero deciso di sganciare nel 1945 le due famigerate bombe? I nipponici hanno definitivamente messo da parte, salvo nei casi di puro folclore, ogni loro più atavico ideale bellicoso, dai samurai ai kamikaze, per divenire una nazione pacificamente civile e dedita solo al lavoro. Sì, c’è stata l’ennesima strage di innocenti, che tuttora inorridisce. Ma se la guerra non fosse finita così atrocemente, quante vittime ancora avrebbe mietuto; a quante altre atrocità avrebbe assistito inerme l’uomo pacifista. A volte è necessario stringere i denti, turarsi il naso, chiudere gli occhi se si vuole estirpare il male prima che sia inguaribile. L’ideale sarebbe di prenderli vivi i tipi come Saddam per processarli e rinchiuderli a meditare per sempre sulla loro caducità; ma diventa quasi impossibile, visto l’enorme apparato bellico di cui si circondano per proteggere la loro inutile vita. A sacrificare quella molto più utile degli altri, però, sono sempre pronti, pur di raggiungere i propri fini disumani; sino al punto di convincere con la falsità le menti più giovani, e o le più deboli, che colpire vilmente l’inerme suo simile, sacrificando la propria vita, dia gloria nell’altro mondo. Se ne sono tanto certi, perché questi emeriti fuorilegge non danno l’esempio col cominciare ad immolare la loro vita deleteria, facendosi saltare in pieno deserto. E no, non sono per niente eroici i nostri pavidi capi clan! Preferiscono imitare tanti loro predecessori, mandando uomini a inutili massacri per la loro vanagloria. Ma pagheranno le loro colpe come già pagano per l’eternità tutti i vari Alessandro, Cesare, Attila, Napoleone, Hitler, Mussolini, Stalin, Mao, re, imperatori, mafiosi e politici vari, i quali si sono arrogati il diritto di guidare i popoli con la violenza. La storia insegna che nessun sistema pacifista ha mai fermato quest’accozzaglia di assassini di masse, se non una violenza superiore alla loro. L’uomo pacifista deve convincersi una volta per tutte che prendere sempre e solo schiaffi senza mai reagire, istiga il violento per natura ad accrescere sempre più il suo istinto assassino, sino alla soluzione finale. Gli ebrei sono uomini pacifici per fede, per indole, per scelta di vita, ma dopo millenni di orribili persecuzioni hanno finalmente capito che devono almeno difendersi dai colpi nemici, se non vogliono estinguersi come popolo. Il pacifista che subisce soltanto diventa complice di tutte le scelleratezze commesse dai prepotenti. Certo, è sempre opportuno seguire la via della ragione, della diplomazia, ma se ogni tentativo risulta inutile, alla fine anche l’uomo non violento deve decidersi a mostrare i muscoli, se non altro per intimorire e far riflettere l’avversario che, se si è costretti, anche il più mite degli esseri è in grado di usare gli stessi suoi energici argomenti. E’ l’unica cosa che resta da fare, finchè l’uomo non riuscirà ad escogitare un sistema per rendere innocue le menti malate che, a cicli storici, tentano di sottomettere l’umanità. Limitare al minimo, per legge universale, la durata del potere di ogni capo di stato è la prima delle medicine da somministrare per tale guarigione. Al diavolo, sovranità dello stato, segreto di stato e fesserie varie, utili solo a mascherare i piani oscuri di quelle menti contorte. Al di sopra di tutto devono dominare i valori più alti che l’umanità dai suoi albori è riuscita a conquistarsi.

redatto a bari l’1.10.2002

MILLENNIO

Caro professor Zichichi,

ora che gli scienziati londinesi l’hanno sancito ufficialmente, tutti sono d’accordo, finalmente, sull’inizio del terzo millennio, ad eccezione di pochi ostinati che, avessero ricordato solo la più semplice regola aritmetica studiata nel primo anno di scuola elementare, avrebbero evitato l’errore: le decine, le centinaia (secolo), le migliaia (millennio), eccetera, terminano e si completano tutte con zero. D’altronde, se fosse esatta la tesi degli erranti, il 2001 sarebbe il secondo anno del nuovo millennio, e un numero uno che sia secondo cozza contro ogni logica razionale: ce l’ha insegnato lei. Io personalmente la stimo moltissimo e molto la seguo nella sua rubrica domenicale, per me diventata, dopo quella Cristiana dello Spirito, seconda fonte cristallina dove immergere la mia ragione. Sono certo, quindi, che la sua tesi nel sostenere il 1999 quale ultimo anno del secolo, sia stato un modo per uscire dal coro, cosa di cui lei non ha bisogno, perché già fuori da ogni coro, perchè al vertice. La sua boutade sull’inesistente anno zero, poi, è stata la migliore invenzione sull’argomento: lei ha fatto scattare un ipotetico cronometro, facendolo girare per ben 31.536.000 secondi, pari a 365 giorni, quindi un anno, per poi imbambolarci sostenendo che “sono trascorsi zero anni”, cioè nulla. In conclusione, lasciando perdere se Dionigi il Piccolo abbia calcolato più o meno giusto il tempo trascorso dalla Natività, lasciando stare anche tutti gli errori e gli aggiustamenti che la sostituzione dei vari calendari ha apportato a tale data, l’unica certezza che tutti abbiamo è la convenzione, ormai universale, di datare il nostro tempo col sistema attuale, che conclude il ventesimo secolo il prossimo 31 dicembre. Perciò, or che il 2000 volge al termine e, coincidenza rara, con esso si completano giorno, settimana, mese, anno, secolo e millennio, spero che nella sua rubrica televisiva voglia dare anche a noi precisini la gioia di festeggiare, allo scoccare della mezzanotte e del primo gennaio duemilauno, l’inizio del terzo millennio, dopo averlo dato ai nostri amici zichichini (doveroso omaggio al suo schierarsi con le minoranze) che, per distrazione, precipitazione o invenzioni matematiche – il trittico al completo in molti casi – si son lasciati scappare il tappo di champagne un anno prima. Nel frattempo mi son divertito a censire l’errore sul tema, quantificandolo: sullo scranno più alto, con molta poca lode in verità, si sono classificati i giornalisti RAI fra cui, con particolare distinzione, le telegiornaliste, ma sappiamo tutti come le donne abbiano poca dimestichezza con i numeri, basta vedere come si contano gli anni; al secondo posto, ma ad una sola incollatura, quelli di MEDIASET assegnando la palma del migliore a Gerry Scotti ex equo con il Fede; infine, sulla terza pedana le penne poco aritmetiche dei giornalisti della CARTA, comprese firme prestigiose. E’ il termometro della cattiva informazione. Non le dico, inoltre, quante e.mail ho ricevuto contrarie alla mia tesi; una in particolare mi è stata inviata da un professore universitario di Palermo che con un’ingarbugliatissima e interminabile formula ha tentato, senza riuscirci, di dimostrare che il terzo millennio è già cominciato; ora mi è chiaro il perché della crisi dell’insegnamento in Italia, a tutti i livelli scolastici, sentito il ragionamento di cotali maestri. Un ultimo favore vorrei che lei, così ascoltato, chiedesse a molti giornali: che ripubblichino gli stessi tabloids dell’anno scorso completati, però, da tutti quegli avvenimenti che hanno caratterizzato quest’ultimo anno del secolo che completa il secondo millennio; siamo certi che molti giudizi, espressi nell’incompletezza temporale, possano essere modificati se non, addirittura, ribaltati; ad esempio, l’ultima Olimpiade ha espresso nuovi records mondiali che pongono i detentori in una posizione unica: essere per sempre i primi di questo millennio. Sembra niente questa differenza spostando sventatamente l’inizio del millennio? Basta chiedere ad ogni ragazzo che ha raggiunto, a costo di enormi sacrifici, quel sublime traguardo sportivo, se è meglio essere i primi di questo millennio o gli ultimi del prossimo. Grazie e auguroni.

redatto a bari il 13.12.2000

martedì 11 settembre 2007

IN MEMORIA DI PAPA WOJTYLA

La strada della Cristianità è lastricata da innumerevoli Papi che hanno avuto appellativi indiscutibili come Martire, Santo, Grande, Giusto, Buono. Papa Giovanni Paolo II, oltre che meritarli tutti, si è conquistato il titolo più ambito, il più bello, il più vero: quello di Papa “Uomo”.
Proprio come il Fondatore della Cristianità, Wojtyla è stato Papa Uomo, propositivo nel “fare”, e non il tradizionale Papa prete che tutto vieta, cristallizzandosi nel “non fare”.

redatto a bari il 2.4.2005

A MIA MOGLIE NEL GIORNO DEL SUO MASSIMO FULGORE


Notte d’estate. Notte d’amore. Avvinti in un voglioso abbraccio, i nostri corpi nudi guizzano felici, ricoperti solo dai luminosi raggi lunari. Baci, carezze, intimo connubio ci librano in volo, sempre più leggeri. Ma ho voglia d’inebriarmi ancor più. Voglio che la tua stupenda immagine, d’un attimo indimenticabile, si fissi eterna nelle mie pupille, dilatate dal piacere che tu sola sai darmi, insuperabile allieva del maestro che ti sono stato sin dal primo istante del nostro felice incontro. Poi, con evidente riluttanza mi stacco da te, mi allontano di quel tanto ad ammirare lo splendore dell’età tua più bella. Il ventaglio di neri capelli t’incornicia il volto, dolcemente scolpito dai sensi piacevolmente all’erta. Brillano i grandi occhi neri e t’illumina il bel sorriso candido, ammaliante. Lo splendido corpo, d’ebano dal sole dipinto, risalta fulgido sul lenzuolo candido. Le labbra di frescura perenne, le braccia snelle, le flessili mani mi cercano senza trovarmi: le dita artigliano la bianca coltre, ansiose. I seni prorompenti ondeggiano nell’aria notturna innalzando al cielo due fresche more tumide. Il vellutato piatto ventre danza sinuoso e roteando mostra, ora a destra indi a manca, due tondi, sodi e glabri, glutei invadenti. Le gambe flessuose s’incrociano altalenanti, scoprendo a tratti il nero vello. E’ un attimo: i piedi si fermano; supina, le ginocchia pieghi unite e pian piano le scosti; dischiudi, poi, le lunghe cosce tornite, pronta a mostrare, civettuola, il limpido nettare della mia fonte pura di vita. E’ un attimo, ma dura in eterno. Ritorni a danzare richiamandomi irresistibilmente a te per donarmi ancora momenti felici. Guardo gli occhi, ancor più luminosi: due tizzoni che m’abbagliano. Riesco appena a percepire il movimento delle turgide labbra che m’invocano. Vorrei fermare per sempre la tua soave visione, ma non resisto oltre. I forti muscoli guizzanti, le membra tese dal desiderio, ti raggiungo rapito, avvolgendo impetuoso il corpo snello che mi doni con vigore. Uniti e umidi di corporea rugiada, sentiamo il dolce mordersi e dilatarsi dei nostri sessi, pronti a raggiungere armoniosamente la Sublimazione dell’Amore. Continuiamo così per l’eternità; almeno ci pare, tanto infinita è la voglia d’amarci. L’esplosione finalmente giunta ci avvolge, ci travolge, ci stravolge, ci dà pace. Rilassati nella celestiale quiete, ci ritroviamo distesi, le teste vicine e opposte i piedi lontani, mentre i primi raggi del nuovo sole ci accarezzano.
- Mio Uomo! – mi sussurri.
- Mia Donna! – ti rispondo.
Sono le sole parole che riusciamo a scambiarci, specchiandoci negli occhi capovolti, spossati, felici, pronti a ricominciare.

redatto a bari il 31.8.1981

domenica 9 settembre 2007

VIE STRETTE E VIE LARGHE

Il Comune di Roma ha deciso di intitolare una strada della Capitale agli omosessuali. Unico disappunto l'utopia degli amministratori capitolini: invece che toponomasticarla all'inglese "GAY STREET", con un po' di buon senso avrebbero dovuto farlo alla francese "GAY ROUTE". E' più realistico e appropriato allo stato dei luoghi.

redatto a bari il 4.8.2007

BIN LADEN

Siamo all’ennesima farsa all’americana. L’ultimo video pubblicizzato e divulgato dalle TV statunitensi ritrae il Bin ringiovanito almeno di trent’anni. E’ anche vero che con i soldi si può tutto, ma non sino al punto di resuscitare le persone morte. Sì, Bin Laden è morto almeno da cinque anni in Afghanistan; se non sotto le bombe americane, è deceduto sicuramente su quelle montagne dove si nascondeva per evitare di essere catturato. I continui spostamenti gli hanno impedito di seguire regolarmente la terapia per i suoi tanti acciacchi; soprattutto l’impossibilità di sottoporsi a dialisi quasi giornaliera, e per l’esaurimento dei medicinali necessari e per l’avaria degli apparecchi utili a tale trattamento, lo hanno portato a morte sicura nel giro di ore. A chi giova, pertanto, menare per il mondo un personaggio virtuale, come si usa fare con i fantasmi negli antichi castelli in modo da attirarvi i turisti, se non agli stessi americani per giustificare l’esercito di occupazione in quei luoghi, ai terroristi per non perdere il lavoro e ai maledetti fabbricanti di armi che, pur di raggiungere i loro sporchi fini economici, non rispettano nessuno, nemmeno una persona intenta a farsi perdonare dal suo Dio; l’unico Dio, il Dio di tutti, comunque gli uomini vogliano nominarlo.

redatto a bari il 9.9.2007

giovedì 6 settembre 2007

LUCIANO PAVAROTTI

Grande Luciano, caro Luciano, finalmente sei riuscito a librarti in volo sulle tue meravigliose note. Con te perdiamo uno dei nostri fratelli migliori ma, in questo caso, il solito vuoto incolmabile rimane pregno della tua immensa personalità. Sarai, quindi, sempre con noi, in noi. Il tuo canto echeggerà perenne nella Storia. Con la tua melodiosa voce hai estasiato, accomunandoli, gli animi di popoli dalle diverse religioni, dalle diverse etnie, dalle culture diverse. Incantandoli, i più Grandi ti hanno apprezzato, amato, osannato. Hai usato solo la tua Arte, il tuo Canto, quale mezzo persuasivo nei cimenti civili, contro le ingiustizie del mondo. Ci mancherai. Unica nota stonata, nella tua vita come in quelle di tutti i cittadini, è l’assurda sottomissione economica esercitata dai politici: anche i Geni dipendono dalle loro scriteriate distribuzioni finanziarie. Incredibile paradosso, fra i tanti, nella brutta favola di un Paese dal triste fine.

redatto a bari il 6.9.2007

martedì 4 settembre 2007

ITALIANI UNO

Italiani, avrebbe detto il Mazzini nel lanciare un proclama ai suoi connazionali, son passati quasi duecento anni dalle lotte che miravano ad un’Italia repubblicana e libera dagli austro-ungarici e loro simili; ma tutto è stato vano, visto il modo di governare negli ultimi 60 anni della nostra classe politica che, pur vestendo abiti diversi, sotto sotto continua ad indossare l’odiata uniforme asburgica, imponendo angherie e disuguaglianze al pari dei tiranni austriaci d’allora. Infatti, a parte la loro inutilità come re e imperatori, le altre caratteristiche che hanno contraddistinto gli Asburgo e i loro accoliti sono state le imposizioni di tasse, balzelli e gabelle sui malcapitati cittadini. Proprio come avviene oggi sotto gli attuali governanti italici, con l’aggravante dei privilegi che giornalmente si vanno accaparrando tutti i politici, dal parlamento alla più piccola circoscrizione cittadina. Alcune considerazioni su quella che è diventata la vergogna d’Italia: gli immorali, illegittimi compensi e benefici che i politici e la loro corte si stabiliscono da sé, facendo man bassa del PIL nazionale per circa il 60%. Questa cifra fa ribollire tutti quei lavoratori che con fatica partecipano direttamente alla formazione del PIL annuo. Un paio di esempi fra migliaia di ingiustizie politiche. Primo, i parlamentari decidono di aumentarsi lo stipendio? in un bih lo fanno; devono decidere l’aumento salariale ai lavoratori? per pochi spiccioli di euro si susseguono anni di dure lotte contro, si fa per dire, l’ectoplasma sindacale, che ormai fa parte a pieno titolo della corte. Secondo, c’è chi sa la differenza fra un usciere parlamentare, altro cortigiano, e un usciere di altro ente, pubblico o privato che sia? 110.000 euro annui è la differenza. Non capirò mai il motivo di questa assurda, illogica sperequazione. Tutti i cittadini che producono per rimpinguare ogni anno la cassa pubblica, se la vedono poi svuotare dalle sole spese politiche, che hanno portato il debito pubblico a cifre spaventose. A tal proposito, ogni volta che leggerò o sentirò dire che ogni italiano ha un debito pro capite di tot euro, denuncerò per diffamazione chi lo scriverà o lo dirà. I soli responsabili sono i politici, tanto incapaci da far crescere ad ogni legislatura il deficit pubblico; uno dei motivi che contribuisce negativamente a tale crescita è il loro numero spropositato che aumenta di continuo (vedere le ultime istituzioni di nuove province, enti del tutto inutili e anacronistici, virtualmente vivi se non per il contentino da dare ai capetti locali). E’ logico, morale, legittimo che il proprietario di un grande palazzo, per meglio amministrarlo, assunto un maggiordomo che diriga al meglio la servitù, si veda poi imporre da tutti loro l’esoso compenso? In Italia succede. Le più grandi aziende nazionali corrispondono ai propri rappresentanti un compenso che varia dal 3 al 7 % del prodotto; se, invece, fossero stati i rappresentanti ad imporre alle aziende una percentuale pari a 60, e per tanti anni, oggi una nazione chiamata Italia non esisterebbe più. La situazione che si è creata ha ribaltato il ruolo delle parti, il popolo sovrano è stato sottomesso da chi non può avere nulla di sovrano per norma costituzionale, sino al punto da non avere più il diritto di eleggere in parlamento i propri rappresentanti; compito ormai usurpato dai partiti e non previsto dalla costituzione. In Italia è successo. E’ impensabile la rabbia che mi pervade quando ripenso a tutti i martiri che si sono immolati inutilmente sugli altari del Risorgimento, della Grande Guerra, della Resistenza, della Repubblica. Visto che la loro Italia frammentata è stata addirittura trita, direbbero: “Ridateci le nostre Vite rubate”.
Nei prossimi proclami tutti i punti riassunti in questo saranno sviluppati analiticamente. (continua)

redatto a bari il 4.9.2007

sabato 1 settembre 2007

IL RE

Le più grandi sciagure per il genere umano sono cominciate quando un uomo si è fatto re ed altri l’hanno seguito. Che cosa è in fin dei conti un re, se non una persona immatura, un essere che non è più cresciuto per essere rimasto legato per sempre ai suoi trastulli infantili: giochi bellici mutuati di sana pianta dalla sua tenera età per applicarli direttamente sulla pelle dei propri simili; leggi sempre più ingiuste imposte ai propri sudditi, esentando se stesso dall’osservarle; conquista di territori altrui e sottomissione di popoli per sola mania di collezionismo. Altro che diritto divino, essi sono l’antitesi dell’Uomo che il Signore ha creato. L’umanità sarebbe avanti di tre millenni se fossero stati eliminati immediatamente i primi che si sono nominati re. Almeno, si fosse dato ascolto ad un Mazzini: quante sofferenze, quanti lutti avremmo evitato, istituendo cent’anni prima la nostra Repubblica. Non so proprio come possano sopportare ancora oggi un simile anacronismo nazioni che si definiscono civili, come la Gran Bretagna ad esempio. La verità è che ogni essere umano nasce re, ma poi diventa Uomo. Infatti, chi è più re del neonato in seno alla propria famiglia? Cominciando a crescere, però, egli diventa sempre più maturo, quindi Uomo. Chi non cresce rimane, purtroppo, re.

RIFLESSIONI
. La gente è sempre stata la mia culla, in essa sono nate le mie idee. (1958)
. La sconfitta non mi abbatte, la vittoria non mi esalta. (1960)
. Le mie idee sono tanto radicate nel tempo che per sradicarle è necessario sradicarmi la vita. (1962)
. Non piangetemi addosso. Sono morti uomini migliori prima di me, il mondo non si è fermato. Moriranno uomini migliori dopo di me, il mondo non si fermerà mai. (1964)
. Il Potere è una mala pianta a cui impedire di mettere radici. (1964)
. Basta con l’arcaico sistema piramidale, dove tutto il peso grava ingiustamente sui più deboli; introduzione e assorbimento del più naturale sistema planetario: tutti sullo stesso piano. Sembra che Copernico non abbia insegnato nulla, abbarbicati come siamo ancora ai vecchi sistemi. (1966)
. Non tutti siamo capaci di essere imprenditori; c’è chi è felice di vivere tutta la vita al primo gradino sociale. (1968)
. Il comunismo un’utopia contro natura: illude gli asini a essere purosangue. (1968)
. Dio è sempre geometra (Platone 344 a.c.). In piccolo, ma molto molto in piccolo, la nostra opera è opera di Dio. (Petino 1971)
. La semplicità delle cose giuste: esse sono le più semplici, perché è giusto quel che è vero e la verità è la più semplice delle realtà. (1972)
. Basta con i sepolcri imbiancati; deponiamo definitivamente vecchi partiti e vecchie cariatidi, vecchi personaggi del cinema e della TV. (1980)
. Volevate il nuovo. Ora non potete più accampare scuse: il nuovo c’è ed è a portata di mano. Prendetelo. (1981)
. Non offro effimere mercanzie, ma solidi valori morali e sociali. (1981)
. L’unico titolo a cui tengo “Osservatore di cose Umane”. (1981)
. Condanno i lavoratori delle fabbriche di armi perché in piena e libera coscienza sanno di costruire strumenti di morte, utili solo ad annientare vite umane. Non hanno nessuna attenuante. (1981)
. Meno male che il socialcomunismo è fallito, altrimenti dopo gli uomini sarebbe passato a pianificare animali e piante, tutti rigorosamente uguali, al contrario di quanto stabilito dall’Ordine Divino. (2002)
. Il più comune degli uomini contemporanei occidentali vive meglio di qualsiasi re del passato. (2002)
. Un allievo contemporaneo ne sa molto di più di tutti i maestri dal Rinascimento in sù. (2002)
. Nulla è più comune all’uomo del suo luogo d’origine, in assoluto il più comune dei luoghi: il grembo materno. (2002)
. Al potente, al violento, è necessario mostrare una violenza almeno pari alla sua per neutralizzarlo. (2002)
. Non ho mai fatto coincidere residenza e dimora per non farmi mai sorprendere dalla Morte dove lei sa di trovarmi.” (2002)
. Noi, comuni mortali, aspettiamo che gli immortali muoiano. (2002)
. A ricordare il passato ho trascurato il presente, perdendo il futuro che, intanto, è divenuto passato. E così continuo a ricordare, trascurare e perdere la vita. (1970)
. Vorrei essere l’ultimo degli uomini. Per vedere come va a finire. (1964)

Avi dei Petino

· La Famiglia ha origini dalla gens Fulvia, i cui rami principali sono quelli dei Massimi Centimali (o Centumali), dei Petini (in latino i cognomi erano declinati come aggettivi, quindi, Petino, Petina, Petini, Petine), dei Nobiliori e dei Flacchi; nobile gens romana di origine plebea, che ha dato all’antica repubblica romana un gran numero di consoli e magistrati (confronta Enciclopedia Rizzoli Larousse);
· 330 a.c. Lucio Fulvio Petino, padre del console della repubblica romana Marco Curvo (Wikipedia);
· 325 a.c. Gneo Fulvio Petino, padre del console della repubblica romana Marco (Wikipedia);
· 305 a.c. Marco Fulvio Curvo Petino, console della repubblica romana: guerre Sannitiche, battaglia di Boviano (Wikipedia);
· 299 a.c. Marco Fulvio Petino, console della repubblica romana (Wikipedia);
· 255 a.c., Servio Fulvio Petino Nobiliore, console della repubblica romana distintosi nella prima guerra punica con 350 navi in una famosa battaglia nella zona costiera compresa tra i golfi di Hammarmet e Gabes, nei pressi di capo Ermeo vicino ad Aspide (cfr. Polibio, libro I, 36);
· 195 a.c. Marco Fulvio Petino Nobiliore, nipote di Servio, edile curule della repubblica romana, nel 193 a.c. cuerra contro i Galli Celtiberi in Spagna, nel 189 a.c. eletto console della repubblica romana, nel 179 a.c. ricoprì la carica di censore (Wikipedia);
· 159 a.c. Marco Fulvio Petino Nobiliore, figlio del console Marco del 189 a.c., console egli stesso (Wikipedia);
· 153 a.c. Quinto Fulvio Petino Nobiliore, figlio del console Marco del 189 a.c., console egli stesso (Wikipedia);
· 4, Elia Petina, della famiglia dei Tuberoni, figlia del console Sesto Elio Catone, divorziata dal quarto imperatore romano, Claudio (Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico), da cui ha avuto la figlia Antonia, alla morte di Messalina è riproposta in moglie allo stesso imperatore che invece sceglie Agrippina (cfr. Tacito, Annali, libro XII, 1 e 2);
· 30, Claudia Antonia Petina, figlia di Claudio ed Elia Petina, sposò in prime nozze Gneo Pompeo Magno, e in seconde Fausto Cornelio Silla Felice, fratellastro di Agrippina, rimasta di nuovo vedova fu chiesta in moglie da Nerone che, al suo rifiuto la fece giustiziare per cospirazione nel 66 (Wikipedia);
· 123, Quinto Articuleio Petino, console dell’impero romano che, nell’anno a lui dedicato, pone la sua bolla nelle fondazioni del Pantheon di Roma per lavori di ristrutturazione (cfr. Il Fedele – Grande Dizionario Enciclopedico UTET).

Le informazioni che seguono sono tratte da fonti araldiche:
· 750/800 circa, Petino, signori del feudo di Novana, l’attuale Civitanova Marche;
· 1188, Homobonus de Petino da Cremona, citato nell’atto di pacificazione fra cremonesi, parmensi e piacentini;
· 30.4.1205, Gentile e Grimaldo de Petino, atto di acquisto del feudo di Tolentino;
· 5.5.1225, Marcogualdo Petino, figlio di Gentile, riceve in eredità il Castello di Tolentino;
· 1232, Matheo de Petino da Fermo;
· 1239, Federico II s’impadronisce con la forza del Castello dei Petino a Tolentino;
· 3.6.1243, Papa Innocenzo IV riconquista il Castello dei Petino consegnandolo al Comune di Tolentino;
· 3.6.1244, il Comune di Tolentino stipula atto di convenzione con i Comuni di Camerino e di Montecchio per la difesa del medesimo Castello riconsegnandolo a Jacopo de Petino; la stessa convenzione, ratificata sempre da Papa Innocenzo IV, delimita il Castrum Petini che comprende, oltre al Castello, anche Monte Petini; in seguito il comprensorio diviene Castrum e Curiam Petini a favore Hominibus Petini;
· 1249 circa, Silvester Nicolaj Bucij de Petino, signore in Firenze, rione della Pigna con sepolcri nella Chiesa dei Santi Quaranta;
· 1254, Marcubaldi de Petino da Tolentino;
· 1256, atto notarile di Papa Alessandro IV a favore di Jacopo de Petino da Senigaglia;
· 1308, Malpelo de Petino da Civitanova, capitano sotto lo stendardo dello Stato della Chiesa;
· 1334, Rainalduzio de Petino, podestà di Matelica;
· 1356, alcuni eredi Petino con atto notarile vendono un terreno in San Severino Marche per pagare debiti;
· 1401, Paolo Petino;
· 1445, Giovanni Andrea Petino, figlio di Paolo;
· 1462, Antonio Petino, figlio di Paolo;
· 1500, Lorenzo Petino, aromatario;
· 1502, Angelo Petino, figlio di Antonio;
· 1513, Battista Petino, figlio di Antonio;
· 1550 circa, fratelli Luca, Tullio, Antonio Petino, nobili;
· 1572, Giulio Petino, notaio in Aversa;
· 1575 circa, Antonio Petino, conte, la cui famiglia trae le seguenti origini: da Verzuolo, e via via, a Villafranca, Carmagnola, Montanaro, Chivasso, Saluzzo e Cherasco;
· 1600 circa, Stefano Petino da Cherasco, figlio di Antonio, conte;
· 1619, Lelio Antonio Petino, figlio di Stefano, capitano e gentiluomo dell’esercito di Tomaso di Savoia;
· 1619, Domenico Petino, fattore in Castellaneta;
· 1650 circa, Filippo Petino, figlio di Lelio Antonio, capitano dell’esercito piemontese e tenente colonnello nelle milizie di Cherasco;
· 1668, Giovanni Petino, pio canonico in Aversa;
· 1691/92, Francesco Petino, consigliere comunale in Castellaneta;
· 1696, Tommaso e Giuseppe Petino, capimastri in Castellaneta;
· 1709/10, Antonio Oronzo Petino, consigliere in Castellaneta (rieletto nel 1734/35);
· 1714, Antonio Petino, figlio di Filippo, prefetto referendario di Vercelli, prefetto di Pinerolo, intendente generale del Monferrato, della Savoia e dell’Alessandrino, nel 1733 consigliere generale delle Finanze, il 26.11.1735 infeudato di Roretto, il 16.12.1735 investito col titolo comitale, sposa Lucia Maria Blanchetti;
· 8.9.1717, Nicola Domenico Petino, dottore in legge, canonico e teologo, nasce a Castellaneta, nel 1774 pubblica a Napoli “L’ordinato cammino delle leggi”, ristampato nel 1808, sempre a Napoli nel 1796 pubblica “Il Nobile creduto contadino da’ suoi compatriotti per la continuata dimora in campagna, illuminato dal filosofo, opera del Dottor dell’una e l’altra legge, Teologo di questa capitale e Canonico della Cattedrale di Castellaneta D. Nicola Petino”;
· 15.8.1766, Michele Petino, eletto Rappresentante del Popolo nel Consiglio Comunale della città di Castellaneta;
· 1770 circa, Giuseppe Antonio Petino, figlio di Antonio e Lucia Maria Blanchetti, ufficiale, capo del consiglio di Commercio, controllore generale, primo presidente, sposa Innocenza del conte Luigi Ferrero Ponsiglione di Borgo d’Ales;
· 1800 circa, Ilarione Petino, figlio di Giuseppe Antonio e Innocenza del conte Luigi Ferrero Ponsiglione di Borgo d’Ales, vice intendente generale, intendente d’Asti, intendente generale di Cuneo, consigliere di Stato, economista e scrittore;
· 1820, Niccolò Petino da Castellaneta, Terra d’Otranto;
· In Italia i Petino si stabiliscono dalla Lombardia alla Sicilia; e tanti sono anche i membri che espatriano in ogni angolo della Terra.

Ma i veri Petino sono della classe sociale più popolare, nei quali riconosco le mie reali origini
· 1832, nasce a Bari Vecchia Petino Vito, marinaio, m. nel 1865, trisnonno;
· 1853, nasce a Bari Vecchia Petino Francesco, marinaio, m. nel 1886, bisnonno;
· 13.12.1884, nasce a Bari Vecchia Petino Vito, pittore-decoratore che sposa prima Traversa Elvira e poi Bortolozzi Adele, m. il 28.11.1977, nonno;
· 1900, alcuni cugini di Petino Vito classe 1884 si trasferiscono a Locorotondo;
· 1906, nasce Petino Celeste di Vito e Traversa Elvira;
· 2.4.1910, sabato nasce a Bari in via Venezia 19 (sulla muraglia) Petino Francesco, operaio nelle Ferrovie della Sud-Est (F.S.E.), m. l’8.7.1964, mio padre;
. 1912, nasce Petino Nicola di Vito e Traversa Elvira, m. 1916;
· 1914, nasce Petino Immacolata di Vito e Traversa Elvira;
· 1915, nasce Petino Alessandra di Vito e Traversa Elvira;
· 1920, nasce Petino Ferdinando di Vito e Bortolozzi Adele;
· 5.3.1920, venerdì nasce a Bari in via Putignani Schena Rosa, figlia di un operaio del vecchio Macello Comunale di corso Sonnino, m. l'8.5.1982, mia madre;
· 19.10.1944, nasce a Bari Petino Vito di Francesco e Schena Rosa, nel 1981 eletto consigliere circoscrizionale a Bari Japigia-Torre a Mare, nel 2001 candidato al Senato della Repubblica collegio della Puglia-Bari Centro;
· 24.12.1945, nasce a Bari Petino Michele di Francesco e Schena Rosa;
· 15.8.1949, nasce a Bari Petino Elvira di Francesco e Schena Rosa;
. 31.3.1952, nasce a Bari Petino Nicola di Francesco e Schena Rosa, m. 12.6.1953;
· 23.12.1953, nasce a Bari Petino Antonio di Francesco e Schena Rosa;
· 24.10.1956, nasce a Bari Petino Angelo di Francesco e Schena Rosa;
· 27.11.1965, nasce a Bari Petino Rosa di Vito classe 1944;
· 29.4.1968, nasce a Bari Petino Lucia di Vito classe 1944;
. 21.1.1970, nasce a Bari Petino Francesca di Vito classe 1944, m. 18.2.1970;
· 10.11.1970, nasce a Bari Petino Gabriella di Vito classe 1944;
· 30.1.1972, nasce a Bari Petino Francesco di Vito classe 1944;
· 7.2.1977, nasce a Bari Petino Giuseppe di Vito classe 1944;
· 30.4.1987, nasce a Bari Petino Maria Antonella di Vito classe 1944
· 30.4.2009, nasce a Bari Petino Daniele di Giuseppe classe 1977.

redatto a bari il 24.7.2000; aggiornato il 30.4.2009