venerdì 23 agosto 2013

Al Padrone della S.ES.I.T. PUGLIA spa e p.c. La Gazzetta del Mezzogiorno - Bari
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Cara Sesit, io sono tino da Bari; non mi conosci, ma io sì, ti conosco. E ho tanta paura di te: tutte le volte che ci scrivi ogni italiano diventa bianco per la paura, rosso per la rabbia e verde per la bile. Ma veniamo al sodo.  Mentre aspettavo le nuove cartelle per la tassa rifiuti al posto di quelle sbagliate, aprendo la nuova busta che mi hai spedito,
h o    t r o v a t o
sì altre cartelle, ma con una somma più alta invece che ridotta; a guardare meglio mi sono accorto che si trattava della tassa rifiuti di un appartamento di 80 metri quadrati in via Caldarola, dove io non c’entro proprio; e poi, che significa quello che hai scritto sotto sotto, grosso grosso e lungo lungo, che mi togli la macchina, mi togli la casa: io non ho la macchina intestata, io non ho la casa intestata, io non ho il telefonino intestato, io non ho manco gli occhi per piangere intestati; perciò [che ca…] che cosa mi levi se non ho niente (però una cosa ce l’ho, la più preziosa, ma non ti dico che cos’è, se no tu mi levi anche quella). Ehi, la Sesit, e che facciamo, a fregare! E’ normale e legale che poi il cittadino deve difendersi da chi si crede potente; e per proteggersi studia la notte per farsi un bello scudo di cemento armato e così pararsi [il cu..] il didietro dove tu ti schiggni i denti, perché il vero potente è proprio chi non ha niente, neanche i denti. Perciò, sbrigati a mandarmi veloce le cartelle ridotte per via Peucetia e via Favia, dove la tassa rifiuti era intestata a mia zia (che è morta per dare tutta la pensione a te) e ora l’avete intestata a me (la tassa rifiuti, non la pensione) che, comunque, pago lo stesso perché la zia mi voleva tanto bene, anche se non mi ha lasciato niente.
Ciao, e fai presto ché i soldi finiscono.

(tinodabari)
Edito a Bari il 27.6.2003
E’ TEMPO DI ELEZIONI

Pasquale lavora in un ente pubblico da molti anni. Ha avuto il posto grazie a tanti soldoni versati, uno sull’altro, a un onorevole del suo paese che di quell’ente è “u’ patrun”, per dirla in gergo locale. Il motivo, ormai immutabile nel tempo, per intascare la somma “un modesto contributo al partito”, per dirla in gergo nazionale. Anche se al tirar delle somme quel “modesto contributo”, tangente in perfetto italiano, inspiegabilmente non lascia mai traccia nelle casse sociali, perché finisce immancabilmente nelle tasche superfoderate del ras politico. I soldi naturalmente non sono stati dati a lui direttamente, ma a uno dei suoi tanti “segretari particolari”, cioè particolarmente di mano lesta. La “pecugn” è stata versata in contanti e senza certezza alcuna per l’impiego né, tanto meno, il minimo straccio di prova che le mani del disonesto ras l’abbiano mai arraffata. Pasquale aveva avuto ottimi genitori e insegnanti che l’avevano educato ai migliori ideali della vita. Idealista, perciò, sin dalla prima adolescenza, amava il suo partito come aveva amato la sua prima ragazza, con purezza. Era disposto onestamente a tutto pur di vedere trionfare le sue idee che si rispecchiavano fedelmente in quelle del partito. Era sempre disponibile, totalmente, per il partito e per l’onorevole, il quale incarnava quegli ideali. Impegnandosi, quindi, in ogni campagna elettorale, gli concedeva quasi tutto il suo tempo, con una piccola, tenue speranza di ottenere il tanto sospirato posticino fisso, come suo padre, come il nonno; non chiedeva altro. D’altronde, col suo semplice diploma di ragioniere non aspirava nemmeno ad altro, dando in cambio nel frattempo i suoi anni più verdi. Ma il tempo scorreva; gli sforzi profusi non portavano a nulla. A volte sondaggi preelettorali, contrari al suo onorevole, gli facevano temere di perdere anche quel piccolo obolo raccolto ad elezione avvenuta. Per fortuna l’onorevole, uscendo indenne da ogni bufera, conservava saldamente la sua poltrona. In compenso Pasquale, frequentando gli ambienti politici, s’era fatta una discreta esperienza di intrallazzi, perdendo la sua purezza mano a mano che i suoi ideali cadevano rinsecchiti come foglie morte. Con l’esperienza accumulata e capito l’andazzo, concluse che tre erano i modi per sistemarsi. I primi due casi, essere parente diretto dell’onorevole e imparentato almeno con uno degli amici del giro più ristretto del clan, erano i soli che permettevano di ottenere il posticino fisso senza alcun esborso, anche per il più cretino degli imbecilli; motivo per cui gli enti pubblici funzioneranno sempre male. Terza possibilità, nonostante il sacrificarsi in estenuanti campagne elettorali, per l’onorevole in Parlamento e per i suoi insulsi seguaci nelle amministrazioni locali, comunque pagarlo in moneta sonante quel posticino. Non facendo parte dell’elite del clan, non avendo ottenuto nessun risultato con la sola collaborazione elettorale, Pasquale fu costretto, alla fine, a optare per il terzo sistema. Esso consisteva nell’accettare “la tariffa delle assunzioni raccomandate” non scritta ma nota a tutti: cinque milioni per un posto di operaio, quindici per impiegato e trenta per dirigente; somme pari a un anno di stipendi. Spinto anche dai molti “braccio destro” dell’onorevole “piovra”, interessati a concludere intrallazzi perché, portando soldi al capo, qualcosa anche nel tentacolo proprio rimaneva sempre, Pasquale si rivolse in famiglia per racimolare il minimo, necessario alla sua massima ambizione, riuscendo ad “acquistare” il posto che tuttora occupa. Con quei soldi Pasquale, oltre al posto, acquistò anche qualcosa di più utile, la scaltrezza, il disincanto, un pizzico di disonestà; in una parola, la maturità, perdendo però della sua giovinezza la parte più preziosa, la purezza. Era molto giovane allora e ancor più ingenuo; quell’esperienza lo segnò definitivamente. Nonostante i rischi iniziali, alla fine l’affare si concluse bene per tutti. Pasquale ottenne il posto, l’onorevole il contributo al “partito” personale, i “braccio destro” le briciole. Appena assunto, cominciò a presentarsi in ufficio con molti minuti di anticipo, ma facendo ben poco per il resto della giornata. Passati i primi mesi si adeguò, ormai del tutto maturo, all’andazzo dei raccomandati, pensando bene che, avendolo acquistato il posto, non avrebbe dovuto dare altro all’ente per cui lavorava. Continuò a presentarsi puntuale, con la sola variante, firmato il foglio delle presenze, di non andare più direttamente nella sua stanza. Usciva per un caffè, approfittandone per tornare a casa e accompagnare i bambini a scuola; acquistato un giornale o un settimanale, se ne tornava tranquillamente in ufficio. Seduto alla scrivania passava una buona parte del tempo a leggere; era informatissimo, infatti, su tutto quanto accadeva nel mondo; molto, molto meno su quello che gli accadeva intorno. A metà mattinata una pausa per un altro caffè insieme ai suoi colleghi di tutto ma non di lavoro. Ritornato in ufficio, si impegnava, quindi, nella parte più piacevole della giornata. Gironzolando nelle stanze delle colleghe più disponibili, riusciva a coglierne i tanti frutti esposti. Stanco per la mattinata molto “dura”, Pasquale finalmente terminava di “lavorare” un’ora prima, firmando il foglio delle presenze con il regolare orario d’uscita. Andava a riprendere i bambini, tornandosene a casa. Il suo dovere di padre lo svolgeva sino in fondo, non altrettanto quello di marito e lavoratore. Quanto gli era servita l’esperienza politica! Per la verità, Pasquale qualche pratica d’ufficio la sbrigava pure; in quelle occasioni diventava il più attivo, preciso,  e rapido dei lavoratori; in un lampo di tempo burocratico riusciva a concludere ogni tipo di pratica e consegnarla direttamente al “fortunato cittadino” che gli si era rivolto, avendone ricevuto già al secondo incontro la “bustarella” concordata inizialmente; d’altronde con questo sistema correva pochi rischi; al secondo incontro il “fortunato cittadino” pensava esclusivamente ai suoi interessi, l’idea di denunciarlo non lo sfiorava per niente. Il monotono ritmo lavorativo veniva interrotto un paio di volte a settimana dalla “giornata di mercato” che un collega con mansioni di usciere, noto soprattutto alle forze dell’ordine, aveva istituito in ufficio, passando stanza per stanza con la sua mercanzia da ambulante che tutti sapevano di provenienza illegale. Abito scuro di qualità e fattura pregiate, mocassini in capretto, camicia di seta bianca sempre aperta sul petto a far risplendere la costosa collana e l’inseparabile pesante crocifisso d’oro, come l’orologio al polso, otto anelli preziosi alle dita e telefonino al cinto completavano in maniera vistosa l’aspetto di questo singolare personaggio, raro esemplare di traffichino presente in ogni ente pubblico, dove ha trovato stabile dimora dopo aver minacciato il capo del personale estraendo dalle tasche la sua mercanzia, tra cui una pistola, per indurlo ad assumerlo. Si era creato un deposito per la piccola mercanzia nello spogliatoio aziendale, requisendo gli armadietti personali ad altri colleghi con la prepotenza degli impuniti. Era di là che partiva in giro per gli uffici con le tasche ricolme di oggetti minuti. Portava sempre nella sinistra a copertura un faldone d’ufficio da cui tirava fuori con destrezza gli ultimi arrivi. Riusciva a vendere oggetti d’ogni genere, anche voluminosi che, naturalmente conservava in depositi esterni adeguati. Vendeva tutto a prezzi stracciati perché di provenienza furtiva il più delle volte, e di notissime marche, originali o taroccate. Montblanc classiche, pellicce di visone, rolex d’oro, auto di piccola e grossa cilindrata, telefonini, preziosi, accendini, attrezzi da lavoro, capi d’abbigliamento, elettrodomestici, armi, alimentari;  trattava, insomma, ogni genere di refurtiva di origine garantita, bastava chiedere e lui procurava. L’omertà dei colleghi gli era dovuta perché, oltre all’interesse personale, essi si avvalevano dei suoi agganci malavitosi per sentirsi protetti; i superiori erano riusciti addirittura a farsi il gorilla gratis; infatti, per tenere a bada qualche violento bastava farne soltanto il nome per vivere tranquilli. Anche Pasquale, naturalmente, approfittava di quel mercato, soprattutto in occasione di feste familiari, battesimi, matrimoni, comunioni. D’altronde, l’esempio negativo è sempre quello più umanamente seguito. Pasquale non aveva fatto altro che adeguarsi a colleghi e superiori che avevano la sua stessa matrice, la raccomandazione politica, il proprio santo onorevole protettore. Con quel genere di protezione, in verità vergognosa, mai nessuno si permetteva di riprendere Pasquale per il suo disonesto comportamento sul lavoro. Anzi, a tutela di quei “diritti speciali” non scritti ma codificati segretamente con l’arroganza dei prepotenti, si formava fra i raccomandati quella consorteria tacita che permetteva ai più di tramandarne i privilegi per via ereditaria, con l’assunzione dei propri figli nell’ente, o in altro simile con lo scambio reciproco dei favori: io do mio figlio al tuo ente, tu dai il tuo al mio. E’ così che negli enti più grandi si sono formate intere dinastie, passandosi il testimone da padre a figlio, a nipote, o consanguinei vari di raccomandati, a discapito di tanti altri figli, più capaci ma di anonimi cittadini. Intanto Pasquale, con la protervia acquisita, ritenendosi rapinato della somma versata per il posto, non riusciva a mandar giù l’ingiustizia. Negli ultimi tempi veniva preso sempre più dall’amarezza di certi sistemi e la rabbia di vendicarsi montava di continuo. Rimuginava un sistema simile a quello politico che gli permettesse di rifarsi del maltolto. Non poteva certo farlo denunciando il concorso farsa organizzato per sistemare lui e altri colleghi quando, invece, tutti lavoravano già nell’ente da oltre sei mesi. No, non era con mezzi legali che si sarebbe potuto vendicare, senza nemmeno la più esile delle prove. Una mattina, a sei anni dall’assunzione, Pasquale ricevette in ufficio una lettera di convocazione, spedita anche a tutti gli altri raccomandati come lui,  per l’imminente campagna elettorale del proprio onorevole protettore. Di qualsiasi colore politico fossero le lettere, sinistra, destra o centro, il tenore era identico per tutti. Pasquale pensò bene di scherzarci su sventolandola in ogni stanza dei colleghi nella sua stessa situazione. “Schiavi, il padrone vi chiama” disse. Fu allora che l’idea gli venne improvvisa. “Perché non fare il politicante come loro, utilizzando la stessa sporca morale fatta di tante promesse senza mai mantenerle? Perché, dunque, non offrire collaborazione a tutti i candidati di ogni partito, sfruttandoli come loro hanno sempre fatto con gli elettori? Ingannarli come loro ingannano ogni cittadino, e arraffare a piene mani, buoni di benzina, inviti a pranzi e cene, derrate alimentari, capi di vestiario. Solo così il cittadino che si fa furbo, con tutte le occasioni che si presentano fra europee, politiche e amministrative, può veramente arricchirsi.” Da quel giorno la monotonia del vivere quotidiano di Pasquale e dei suoi pari ad ogni elezione viene interrotta con gioia. In quel periodo il loro essere subisce una metamorfosi totale. Una telefonata dell’onorevole ai rispettivi capi ufficio, anche loro della cricca, permette ai galoppini di beneficiare di un congedo straordinario regolarmente retribuito per tutto il periodo elettorale. Pasquale e soci, sempre spalleggiati ognuno dal proprio clan politico, riescono a prolungare oltre ogni immaginazione l’assenza dal lavoro, dandosi ammalati subito dopo le elezioni per almeno quattro settimane; quindi, sfruttando il loro “precario stato di salute”, ottengono di trascorrere un mese in strutture termali; e per concludere si godono le loro “sacrosante” ferie estive. Logicamente, il tutto con lo stipendio che continua sempre a correre nelle loro tasche a ogni mesata. Logicamente? Sì, se si parla di logica politica. Insomma, cadendo abitualmente il giorno del voto nel mese di giugno, Pasquale lascia l’ufficio a fine Aprile per tornarvi nella seconda metà di settembre. Completamente riposato, rilassato e pronto a dedicarsi al lavoro? Macchè! E’ da quel momento che comincia il vero riposo retribuito dei lacchè degli onorevoli. Intanto, nel periodo elettorale Pasquale, deciso a mascherarsi da politico, approfitta della sua poco nota figuretta per passare inosservato negli studi degli onorevoli da sfruttare a suo vantaggio. Rispolverati i migliori vestiti, lo smoking per le serate di gala, tirata fuori tutta la sua scaltrezza affinata in mille battaglie elettorali, Pasquale affila l’arte di defilarsi e comincia a bazzicare segreterie particolari e uffici privati di ogni candidato in lizza. Insomma esercita il mestiere che tanto bene ha imparato dai maestri politicanti. Un’esaltante esperienza perfettamente temprata nelle loro fucine. Promette appoggio incondizionato ai candidati di ogni schieramento. Ritira materiale elettorale che regolarmente e con il massimo ordine getta nel loro sito naturale, il bidone della spazzatura. Il posto adatto per quei ghigni truffaldini impressi sulla carta. Giusto per fare un po’ di fumo e crearsi un alibi, Pasquale mette in movimento un gruppo di ragazzini, pagati dai politici; anche se non è assolutamente necessario alcuno schermo fumoso poiché, pur di arraffare voti elargendo la solita valanga di vane promesse, sono talmente pieni di sé da credere loro stessi in quelle false parole, sino a sentirsi dei veri angeli che a spada tratta risolveranno i problemi del mondo. Presi come sono dal loro serafico ruolo con i piedi sollevati e la testa ancora più nelle nuvole, è facilissimo, quindi, far loro ingoiare esca, amo, lenza e canna compresa senza che se ne accorgano, lasciandoli ripagati alla fine con la stessa falsa moneta da loro stessi battuta. Così, fra buoni di benzina, rimborso spese gonfiate, cene e spettacoli, regalie d’ogni genere, derrate alimentari che gli riempiono la dispensa per mesi, Pasquale ha recuperato tutta la tangente, riportando i suoi conti in attivo con ciò che è riuscito a rastrellare. Inoltre, è riuscito a ottenere un considerevole vantaggio prestandosi a tutti; ha conquistato l’amicizia di tutti gli eletti dell’intero arco costituzionale: se un favore non gli viene concesso dalla sinistra, si rivolge subito a destra. Un redivivo Talleirand della politica moderna. Quel che più gli importa, comunque, è l’essere riuscito a far sborsare a quei “drittoni” il peculio che per altre e più tortuose vie gli era stato rapinato. Il giorno delle elezioni, come fa ormai da tempo, Pasquale va in vacanza con tutta la famiglia, lontano dai clamori elettorali, verso mete dove regna trasparente la legge della natura. In posti incontaminati, privi di quelle cartacce su cui per oltre un mese hanno campeggiato espressioni vacue a celare la destrezza della vecchia volpe in attesa della preda; espressioni sottolineate da slogans vuoti come gli stessi volti su cui sono state astutamente ritoccate. Pasquale nasconde quella stessa destrezza, purificandosi negli sguardi puliti della moglie e dei ragazzi che ignorano; in quel momento pensa ai suoi “amici” politici mentre si specchiano vanitosamente negli occhi dei propri cari che, al contrario, non ignorano, togliendo loro, quindi, ogni possibilità di purificazione. Pasquale sorride passando davanti a un seggio elettorale dove cittadini in fila aspettano di votare, commentando con solite frasi d’occasione, sbraitate al vento, le eterne illusioni della povera gente. A un tale che elogia gli ideali della Democrazia Cristiana, un vecchio e inguaribile staliniano difende con nostalgia l’innaturale idea del comunismo sovietico; si intromette un anziano impettito per sostenere la drammatica utopia fascista. Si perdono nell’aria le immutabili e inutili frasi: - “La Democrazia Cristiana dà da mangiare a tutti” – “Ava vnì Baffon!” – “Ma volete mettere quando c’era Lui?” Poveracci. Non capiranno mai che, sotto qualsiasi bandiera, il lamento per la propria vita grama si leverà in eterno, mentre i loro “rappresentanti” continueranno a godersela uniti. I cittadini, invece, costretti di proposito a scannarsi fra loro, resteranno eternamente disuniti.

redatto a bari il 8.7.1964

martedì 20 agosto 2013

DALL’UOMO AUSTRALE ALL’UOMO UNIVERSALE
 
Quanta strada deve percorrere l’uomo per giungere ad essere l’individuo universale scevro da ogni tipo di conflitto con i propri simili. Molti sono i pitecantropi ancora in mezzo a noi. E non mi riferisco affatto all’aspetto fisico dei tanti. A tutt’oggi ci costringono a vivere nella stessa gabbia assieme ad autentici animali feroci con sembianze umane. E’ pur vero che l’essere contemporaneo è alla fine della sua fase primitiva. Ma l’Uomo Universale si realizzerà solo quando il suo processo mentale avrà totalmente metabolizzato le diversità che lo circondano sino ad annullarle. Il tratto terminale del ciclo evolutivo poggia su pochi pilastri ma molto solidi, rappresentati da quegli esseri superiori che da sempre costituiscono il mezzo trainante per tutta l’umanità. Dio ha creato l’uomo dal nulla; l’uomo deve scoprire Dio dal tutto. Quel tutto che è contenuto nel Grande Libro della Natura che ci sta sotto gli occhi e che giorno dopo giorno ne sfogliamo le pagine. Intanto, è indispensabile stabilire norme che cambino radicalmente la vita dell’intera umanità. La governabilità di un solo stato sino ad oggi ha dato risultati conflittuali che hanno sempre posto un popolo contro l’altro. Ecco il grandioso compito affidato ai pochi esseri superiori che con la sola forza dell’amore hanno sempre svolto e continueranno a svolgere a favore di tutti i propri simili. Il lavoro da fare è immenso ma l’obiettivo è infinito. Dobbiamo subito sciogliere le catene con cui lo sviluppo industriale da quasi duecento anni tiene legata l’umanità al maledetto petrolio, fonte continua nello stesso periodo di tanti sanguinosi conflitti (petrolio che tutt’al più dovrebbe essere utilizzato soltanto per le future e immediate iniziative interplanetarie più avanti descritte, in attesa di propellenti alternativi, più ecologici e potenti); produrre, inoltre, nuove fonti di energia rinnovabile a costo zero che la natura ci offre pacificamente a piene mani, e fare in modo di distribuire questa ricchezza più equamente fra i tanti. L’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi è stato uno dei mali evidentissimi dell’uomo contemporaneo: quando il denaro ristagna, quando l’acqua ristagna imputridisce, ed è crisi fonda per tutti, anche per gli stessi pochi, costretti ad isolarsi, a nascondersi per non essere depredati. Uno dei primissimi insegnamenti, da introdurre in ogni ordine di scuola per cambiare radicalmente la corrente mentalità sul denaro, deve essere il senso di vergogna che il possederne tanto susciterà in ogni cittadino (vedi stipendi e pensioni d’oro che non hanno alcuna giustificazione morale, utili solo al ristagno della moneta): è facile, perciò indegno, affrontare la vita con le casseforti piene; molto più difficile invece, perciò eroico, campare con mesate di poche centinaia di euro per nucleo familiare. Provassero i ricchi a farlo; è certo che fallirebbero dopo i primi tre giorni. Le banche oggi sono piene di soldi fino a scoppiare; ma se il flusso di denaro liquido continua a comprimersi, se le banche non trovano più a chi vendere la loro unica merce, il sistema rischia l’implosione. Se improvvisamente i ricchi dovessero richiedere tutto il loro denaro in un colpo le banche, ora come ora, non sarebbero in grado di restituirlo, avendo dovuto intaccare i capitali loro affidati per coprire, fra le tante, anche le ingenti spese giornaliere necessarie al loro funzionamento. Per giungere al pareggio le banche sarebbero costrette a far immediatamente rientrare tutte le vendite di denaro effettuate con quei capitali depositati; un'operazione del genere è praticamente impossibile, perché tanti debitori non saprebbero proprio come restituire le somme avute. L’immobilità bancaria, perciò, frena la vendita di moneta impedendo così di ricavare quei frutti che tale attività deve giustamente produrre, almeno per la copertura di quelle stesse spese. Controproducente al massimo livello, poi, che le banche inseguano scioccamente come unico obiettivo quello di ampliare sempre più il divario fra i pochi ricchi ed i tantissimi poveri. E’ più intelligente, invece, ridurre tale divario perché, se i poveri non sono più poveri, li si mette in condizione di acquistare quello che i più ricchi producono. Il denaro è un treno sempre in movimento su cui tutti hanno il diritto di salire; se invece vi viaggiano solo i ricchi, i biglietti venduti sono pochissimi e di conseguenza misero l’incasso per la comunità. Il discorso è volutamente elementare proprio per essere capito da tutti. Ciò che invece è incomprensibile sono i discorsi che da tempo vanno facendo i politici, speculando su una crisi di cui proprio loro governanti sono causa con il proprio cronico immobilismo, e in tanti casi pure per innata incapacità. Non si è in grado di frenare la dilagante disoccupazione? Allora si ricorre a sistemi temporanei e immediati per tamponare l’emorragia di posti, come quello, ad esempio, di dimezzare gli orari di lavoro per raddoppiare il numero degli occupati sia nel pubblico che nel privato; una pur minima fonte salariale è necessaria per continuare almeno a sperare. E’ inconcepibile anche per le menti più limitate poter vivere senza un reddito. Il diritto al salario minimo per chiunque è legge da promuovere subito. Altro che crisi; vi dimostro con i fatti che la crisi, voluta da pochi furbi e causata da molti stupidi è facilmente superabile, con tutte le iniziative da promuovere. Quanto lavoro per tutti c’è, invece; e per il benessere di tutti bisogna immediatamente attivarsi. Basta poco. Intanto sono da riconvertire per prime proprio le banche; da depositi di moneta contante anonima esse devono trasformarsi in istituti per l’amministrazione della moneta virtuale nominativa. Una legge ad hoc deve abrogare subito la circolazione e l’uso dell’attuale moneta, sostituendola con quella nominativa (le attuali card) su cui ogni transazione, motivata da apposita codifica, regolerà la vita finanziaria di ogni cittadino. Nel giro della sua entrata in vigore ogni reato patrimoniale scomparirebbe dai codici. Chi potrebbe opporsi a tale provvedimento se non evasori, usurai, ladri, spacciatori, ricettatori; giornalisti e artisti, politici e giudici, manager e professionisti corrotti. La persona onesta non ha nulla da temere da un tale provvedimento, mentre ha il diritto di sapere chi e perché prende denaro dalle casse pubbliche, in cui vanno a finire i propri sacrifici tradotti in tasse. Quanto alla privacy, essa è più garantita da una card nominativa, che per svelare i propri segreti necessita di un terminale inattaccabile, piuttosto che da un metaforico portafoglio in qualsiasi momento e luogo vulnerabile. Il sistema della card nominativa snellirebbe totalmente la purulenta burocrazia che, grazie ai suoi secolari lacci, costringe il cittadino a dover foraggiare il burocrate di turno, che verrà impedito nella sua losca attività proprio dal dover codificare la transazione monetaria virtuale dalla card del cittadino alla propria. Immaginate quanto lavoro c’è per tutti sino a che il denaro, anche quello nominativo, sarà estinto definitivamente perché inutile, avendo nel frattempo l’essere umano realizzato il principio del tutto a tutti per solo diritto di nascita da cui scaturiscono altri diritti inscindibili per ogni essere umano: Abitazione, Alimentazione, Ambiente, Assistenza, Lavoro, Libertà. Si può inoltre attivare un’altra fonte di lavoro, procedendo subito alla riconversione degli istituti di case popolari per cancellare definitivamente dai piani urbanistici gli incivili quartieri popolari e le invivibili favelas che allignano alle estreme periferie delle più grandi città. Tali istituti vanno trasformati in Agenzie Immobiliari di Stato che provvederanno solamente ad amministrare, dopo averle assegnate agli aventi diritto, case situate in edifici già realizzati in proprio da imprese private; assegnazione per ogni edificio non superiore al 20% degli alloggi totali, occupati naturalmente ognuno da un solo nucleo familiare, diluendo così le famiglie a rischio ed evitando la piaga dell’associazione a delinquere. Il diretto contatto con famiglie più civili influenzerà positivamente i nuclei più retrivi, con l’ulteriore beneficio che i più abbienti darebbero lavoro ai bisognosi. Altro vantaggio l’abolizione delle gare d’appalto che l’attuale situazione trasforma in focolai di corruzione per l’inveterata abitudine di richiedere bustarelle; malevolo andazzo che di conseguenza spinge le imprese ad eseguire opere scadenti che necessitano già di manutenzione a soli pochi mesi dalla loro ultimazione. C’è poi da incentivare il turismo con l’introduzione della legge per il Turismo di Stato, con cui tutte le famiglie a basso reddito potranno fare le proprie vacanze periodiche, provvedendovi direttamente lo stesso Stato; inviando quelle famiglie in luoghi di villeggiatura, anche fra i più rinomati; distribuendole indiscriminatamente fra i più abbienti con apposito sorteggio. Ed eccoci al punto più importante dell’evoluzione lavorativa umana: riconvertire senza più alcun indugio tutte le fabbriche di armi nel mondo, riavviandole alla produzione di mezzi più potenti atti allo sfruttamento di ogni risorsa che terra, mare e cielo possano dare all’uomo. I beni che la natura ci offre dalle cime più impervie alle profondità oceaniche sono alla nostra portata. Ma la miniera più ricca e vasta da sfruttare è quella interplanetaria. C’è da esportare ossigeno sui pianeti a noi più vicini; da trasformare in acqua i granitici ghiacci di quelli più lontani. Intorno ai pianeti più freddi si possono sistemare satelliti orbitali, forniti di giganteschi specchi, per trasformare con precisi calcoli progettuali la loro atmosfera così da renderla identica a quella terrestre, riflettendovi i raggi del sole così imbrigliati, e permettere all’uomo di colonizzare pacificamente quegli stessi pianeti. E quando il sole starà per spegnersi, l’Uomo Universale potrà tranquillamente esportare il suo sistema vitale su altre galassie. Sino a crearne una propria artificiale, autonoma e ripetibile, realizzando così il moto lavorativo perpetuo. Senza nulla togliere a Dio che ci ha indicato la strada.
 
Edito a Bari il 20.8.2013

giovedì 15 agosto 2013

LETTERA AI FORCAIOLI BOIA

E smettetela di essere forcaioli. Un Gran Signore ci ha insegnato che chi è senza peccato alzi la prima mano. Ve ne rimarrebbero ben poche alzate. Chi, almeno per una volta non ha fatto del male agli altri per proprio esclusivo interesse, o per assoluto disinteresse; chi ha sempre ritirato ogni scontrino delle sue spese; chi ha sempre pagato sino all'ultimo cent delle proprie tasse o multe. Con questo metro tutti gli italiani sarebbero condannabili, dalle più alte cariche politiche a giudici che cercano comunque un colpevole e mai la Verità; dai più alti gradi militari e di pubbliche amministrazioni sino al più comune dei cittadini. Pochi si salverebbero; ed è proprio a quei pochi che si arrecherebbe il danno più gravoso, perché inciderebbe solo sulle loro spalle il mantenere in carcere un intero popolo. Mi son sempre dichiarato contrario a tale pena; meglio impiegare il reo in servizi utili alla comunità con uno stipendio minimo, dopo aver applicato nei suoi confronti la legge dell'esproprio espiativo. Solo con questo sistema personaggi altezzosi capirebbero il reale valore della moneta; di quella moneta che i comuni lavoratori si guadagnano con sudore e sangue. Quanto a quelli che vorrebbero vedere letteralmente sbranato l'avversario politico, non essendovi riusciti a sconfiggerlo democraticamente, civilmente, son certo che si tratti di figli senza un padre e di conseguenza senza un nonno; altrimenti non odierebbero con bestiale e cieco rancore uomini di età tanto veneranda. Se non ci si sente forti e sicuri del sistema democratico in uso, è meglio ritirarsi dalla politica e tornare a fare vecchi mestieri; sempre che se ne avesse uno prima. Una pacifica stretta di mano, vitopetino.

Edito a Bari il 15.8.2013

venerdì 2 agosto 2013


L’AMARO IN BOCCA

 

Le politiche dello scorso febbraio mi hanno regalato quel dolce sapore che solo una vittoria sul campo può dare, e chi è stato atleta come me può ben capirlo. Vedere escluso dagli eletti uno come Fini con l’unico mezzo civile in mano al Popolo Sovrano, il consenso elettorale, è stato un momento davvero inebriante. Senza alcuna violenza, ci siamo liberati di un abusivo parlamentare (oltre i due mandati), e di uno dei maggiori artefici del disastro italiano, fatti salvi i suoi interessi personali. Mi sarebbe piaciuto sconfiggere allo stesso modo tutti gli altri che illegalmente occupano poltrone in parlamento (oltre i due mandati, unico mezzo altamente igienico per una immediata disinfestazione delle istituzioni vitali di uno stato moderno); sconfiggere allo stesso modo soprattutto il signor Berlusconi. La prima sensazione euforica dopo la condanna, però, è stata ben presto travolta dal modo in cui tale vittoria è venuta. Vista l’impossibilità di sconfiggerlo democraticamente, si è dovuto ricorrere ad ogni più piccolo sotterfugio, ad ogni più grande accanimento, pur di ottenere a tavolino quella vittoria che non si è stati capaci di ottenere in campo. E sono proprio queste le vittorie che lasciano l’amaro in bocca e un profondo disgusto nell’animo di un vero atleta, amante del confronto leale, imparziale, giusto, rispettoso in primis delle età venerande. Altrimenti non vi sarebbe più rispetto né per amici e né per avversari; né per vecchi e né per giovani; per nessuno. Lo si è dipinto il Berlusconi come il Male Supremo delle cose italiane, dimenticando di essercelo ritrovato dopo un cinquantennio disastroso, sfociato poi in Tangentopoli. Se fosse quel mafioso descritto da certa stampa cartotelevisiva, come mai, dopo aver subito sino all’incredibile, non ha utilizzato uno di quei sistemi da veri mafiosi che in passato ha visto più volte nella polvere (e non metaforica) giornalisti, politici, giudici? Questo io mi son sempre chiesto. Indicibile, poi, i commenti dei più giovani; si sa che le cattiverie più cruente sono quelle dei bambini, ma in alcuni casi si è oltrepassato ogni limite dell’indecenza. Volere morto un vecchio signore supera ogni delinquenza comune. Non avere rispetto di un 77enne agli sgoccioli fa pensare a tanti figli di enne enne. Noi Popolo Sovrano lo volevamo soltanto fuori dal Parlamento dopo un civile agone elettorale.

 

Edito a Bari il 2.8.2013