venerdì 23 agosto 2013

E’ TEMPO DI ELEZIONI

Pasquale lavora in un ente pubblico da molti anni. Ha avuto il posto grazie a tanti soldoni versati, uno sull’altro, a un onorevole del suo paese che di quell’ente è “u’ patrun”, per dirla in gergo locale. Il motivo, ormai immutabile nel tempo, per intascare la somma “un modesto contributo al partito”, per dirla in gergo nazionale. Anche se al tirar delle somme quel “modesto contributo”, tangente in perfetto italiano, inspiegabilmente non lascia mai traccia nelle casse sociali, perché finisce immancabilmente nelle tasche superfoderate del ras politico. I soldi naturalmente non sono stati dati a lui direttamente, ma a uno dei suoi tanti “segretari particolari”, cioè particolarmente di mano lesta. La “pecugn” è stata versata in contanti e senza certezza alcuna per l’impiego né, tanto meno, il minimo straccio di prova che le mani del disonesto ras l’abbiano mai arraffata. Pasquale aveva avuto ottimi genitori e insegnanti che l’avevano educato ai migliori ideali della vita. Idealista, perciò, sin dalla prima adolescenza, amava il suo partito come aveva amato la sua prima ragazza, con purezza. Era disposto onestamente a tutto pur di vedere trionfare le sue idee che si rispecchiavano fedelmente in quelle del partito. Era sempre disponibile, totalmente, per il partito e per l’onorevole, il quale incarnava quegli ideali. Impegnandosi, quindi, in ogni campagna elettorale, gli concedeva quasi tutto il suo tempo, con una piccola, tenue speranza di ottenere il tanto sospirato posticino fisso, come suo padre, come il nonno; non chiedeva altro. D’altronde, col suo semplice diploma di ragioniere non aspirava nemmeno ad altro, dando in cambio nel frattempo i suoi anni più verdi. Ma il tempo scorreva; gli sforzi profusi non portavano a nulla. A volte sondaggi preelettorali, contrari al suo onorevole, gli facevano temere di perdere anche quel piccolo obolo raccolto ad elezione avvenuta. Per fortuna l’onorevole, uscendo indenne da ogni bufera, conservava saldamente la sua poltrona. In compenso Pasquale, frequentando gli ambienti politici, s’era fatta una discreta esperienza di intrallazzi, perdendo la sua purezza mano a mano che i suoi ideali cadevano rinsecchiti come foglie morte. Con l’esperienza accumulata e capito l’andazzo, concluse che tre erano i modi per sistemarsi. I primi due casi, essere parente diretto dell’onorevole e imparentato almeno con uno degli amici del giro più ristretto del clan, erano i soli che permettevano di ottenere il posticino fisso senza alcun esborso, anche per il più cretino degli imbecilli; motivo per cui gli enti pubblici funzioneranno sempre male. Terza possibilità, nonostante il sacrificarsi in estenuanti campagne elettorali, per l’onorevole in Parlamento e per i suoi insulsi seguaci nelle amministrazioni locali, comunque pagarlo in moneta sonante quel posticino. Non facendo parte dell’elite del clan, non avendo ottenuto nessun risultato con la sola collaborazione elettorale, Pasquale fu costretto, alla fine, a optare per il terzo sistema. Esso consisteva nell’accettare “la tariffa delle assunzioni raccomandate” non scritta ma nota a tutti: cinque milioni per un posto di operaio, quindici per impiegato e trenta per dirigente; somme pari a un anno di stipendi. Spinto anche dai molti “braccio destro” dell’onorevole “piovra”, interessati a concludere intrallazzi perché, portando soldi al capo, qualcosa anche nel tentacolo proprio rimaneva sempre, Pasquale si rivolse in famiglia per racimolare il minimo, necessario alla sua massima ambizione, riuscendo ad “acquistare” il posto che tuttora occupa. Con quei soldi Pasquale, oltre al posto, acquistò anche qualcosa di più utile, la scaltrezza, il disincanto, un pizzico di disonestà; in una parola, la maturità, perdendo però della sua giovinezza la parte più preziosa, la purezza. Era molto giovane allora e ancor più ingenuo; quell’esperienza lo segnò definitivamente. Nonostante i rischi iniziali, alla fine l’affare si concluse bene per tutti. Pasquale ottenne il posto, l’onorevole il contributo al “partito” personale, i “braccio destro” le briciole. Appena assunto, cominciò a presentarsi in ufficio con molti minuti di anticipo, ma facendo ben poco per il resto della giornata. Passati i primi mesi si adeguò, ormai del tutto maturo, all’andazzo dei raccomandati, pensando bene che, avendolo acquistato il posto, non avrebbe dovuto dare altro all’ente per cui lavorava. Continuò a presentarsi puntuale, con la sola variante, firmato il foglio delle presenze, di non andare più direttamente nella sua stanza. Usciva per un caffè, approfittandone per tornare a casa e accompagnare i bambini a scuola; acquistato un giornale o un settimanale, se ne tornava tranquillamente in ufficio. Seduto alla scrivania passava una buona parte del tempo a leggere; era informatissimo, infatti, su tutto quanto accadeva nel mondo; molto, molto meno su quello che gli accadeva intorno. A metà mattinata una pausa per un altro caffè insieme ai suoi colleghi di tutto ma non di lavoro. Ritornato in ufficio, si impegnava, quindi, nella parte più piacevole della giornata. Gironzolando nelle stanze delle colleghe più disponibili, riusciva a coglierne i tanti frutti esposti. Stanco per la mattinata molto “dura”, Pasquale finalmente terminava di “lavorare” un’ora prima, firmando il foglio delle presenze con il regolare orario d’uscita. Andava a riprendere i bambini, tornandosene a casa. Il suo dovere di padre lo svolgeva sino in fondo, non altrettanto quello di marito e lavoratore. Quanto gli era servita l’esperienza politica! Per la verità, Pasquale qualche pratica d’ufficio la sbrigava pure; in quelle occasioni diventava il più attivo, preciso,  e rapido dei lavoratori; in un lampo di tempo burocratico riusciva a concludere ogni tipo di pratica e consegnarla direttamente al “fortunato cittadino” che gli si era rivolto, avendone ricevuto già al secondo incontro la “bustarella” concordata inizialmente; d’altronde con questo sistema correva pochi rischi; al secondo incontro il “fortunato cittadino” pensava esclusivamente ai suoi interessi, l’idea di denunciarlo non lo sfiorava per niente. Il monotono ritmo lavorativo veniva interrotto un paio di volte a settimana dalla “giornata di mercato” che un collega con mansioni di usciere, noto soprattutto alle forze dell’ordine, aveva istituito in ufficio, passando stanza per stanza con la sua mercanzia da ambulante che tutti sapevano di provenienza illegale. Abito scuro di qualità e fattura pregiate, mocassini in capretto, camicia di seta bianca sempre aperta sul petto a far risplendere la costosa collana e l’inseparabile pesante crocifisso d’oro, come l’orologio al polso, otto anelli preziosi alle dita e telefonino al cinto completavano in maniera vistosa l’aspetto di questo singolare personaggio, raro esemplare di traffichino presente in ogni ente pubblico, dove ha trovato stabile dimora dopo aver minacciato il capo del personale estraendo dalle tasche la sua mercanzia, tra cui una pistola, per indurlo ad assumerlo. Si era creato un deposito per la piccola mercanzia nello spogliatoio aziendale, requisendo gli armadietti personali ad altri colleghi con la prepotenza degli impuniti. Era di là che partiva in giro per gli uffici con le tasche ricolme di oggetti minuti. Portava sempre nella sinistra a copertura un faldone d’ufficio da cui tirava fuori con destrezza gli ultimi arrivi. Riusciva a vendere oggetti d’ogni genere, anche voluminosi che, naturalmente conservava in depositi esterni adeguati. Vendeva tutto a prezzi stracciati perché di provenienza furtiva il più delle volte, e di notissime marche, originali o taroccate. Montblanc classiche, pellicce di visone, rolex d’oro, auto di piccola e grossa cilindrata, telefonini, preziosi, accendini, attrezzi da lavoro, capi d’abbigliamento, elettrodomestici, armi, alimentari;  trattava, insomma, ogni genere di refurtiva di origine garantita, bastava chiedere e lui procurava. L’omertà dei colleghi gli era dovuta perché, oltre all’interesse personale, essi si avvalevano dei suoi agganci malavitosi per sentirsi protetti; i superiori erano riusciti addirittura a farsi il gorilla gratis; infatti, per tenere a bada qualche violento bastava farne soltanto il nome per vivere tranquilli. Anche Pasquale, naturalmente, approfittava di quel mercato, soprattutto in occasione di feste familiari, battesimi, matrimoni, comunioni. D’altronde, l’esempio negativo è sempre quello più umanamente seguito. Pasquale non aveva fatto altro che adeguarsi a colleghi e superiori che avevano la sua stessa matrice, la raccomandazione politica, il proprio santo onorevole protettore. Con quel genere di protezione, in verità vergognosa, mai nessuno si permetteva di riprendere Pasquale per il suo disonesto comportamento sul lavoro. Anzi, a tutela di quei “diritti speciali” non scritti ma codificati segretamente con l’arroganza dei prepotenti, si formava fra i raccomandati quella consorteria tacita che permetteva ai più di tramandarne i privilegi per via ereditaria, con l’assunzione dei propri figli nell’ente, o in altro simile con lo scambio reciproco dei favori: io do mio figlio al tuo ente, tu dai il tuo al mio. E’ così che negli enti più grandi si sono formate intere dinastie, passandosi il testimone da padre a figlio, a nipote, o consanguinei vari di raccomandati, a discapito di tanti altri figli, più capaci ma di anonimi cittadini. Intanto Pasquale, con la protervia acquisita, ritenendosi rapinato della somma versata per il posto, non riusciva a mandar giù l’ingiustizia. Negli ultimi tempi veniva preso sempre più dall’amarezza di certi sistemi e la rabbia di vendicarsi montava di continuo. Rimuginava un sistema simile a quello politico che gli permettesse di rifarsi del maltolto. Non poteva certo farlo denunciando il concorso farsa organizzato per sistemare lui e altri colleghi quando, invece, tutti lavoravano già nell’ente da oltre sei mesi. No, non era con mezzi legali che si sarebbe potuto vendicare, senza nemmeno la più esile delle prove. Una mattina, a sei anni dall’assunzione, Pasquale ricevette in ufficio una lettera di convocazione, spedita anche a tutti gli altri raccomandati come lui,  per l’imminente campagna elettorale del proprio onorevole protettore. Di qualsiasi colore politico fossero le lettere, sinistra, destra o centro, il tenore era identico per tutti. Pasquale pensò bene di scherzarci su sventolandola in ogni stanza dei colleghi nella sua stessa situazione. “Schiavi, il padrone vi chiama” disse. Fu allora che l’idea gli venne improvvisa. “Perché non fare il politicante come loro, utilizzando la stessa sporca morale fatta di tante promesse senza mai mantenerle? Perché, dunque, non offrire collaborazione a tutti i candidati di ogni partito, sfruttandoli come loro hanno sempre fatto con gli elettori? Ingannarli come loro ingannano ogni cittadino, e arraffare a piene mani, buoni di benzina, inviti a pranzi e cene, derrate alimentari, capi di vestiario. Solo così il cittadino che si fa furbo, con tutte le occasioni che si presentano fra europee, politiche e amministrative, può veramente arricchirsi.” Da quel giorno la monotonia del vivere quotidiano di Pasquale e dei suoi pari ad ogni elezione viene interrotta con gioia. In quel periodo il loro essere subisce una metamorfosi totale. Una telefonata dell’onorevole ai rispettivi capi ufficio, anche loro della cricca, permette ai galoppini di beneficiare di un congedo straordinario regolarmente retribuito per tutto il periodo elettorale. Pasquale e soci, sempre spalleggiati ognuno dal proprio clan politico, riescono a prolungare oltre ogni immaginazione l’assenza dal lavoro, dandosi ammalati subito dopo le elezioni per almeno quattro settimane; quindi, sfruttando il loro “precario stato di salute”, ottengono di trascorrere un mese in strutture termali; e per concludere si godono le loro “sacrosante” ferie estive. Logicamente, il tutto con lo stipendio che continua sempre a correre nelle loro tasche a ogni mesata. Logicamente? Sì, se si parla di logica politica. Insomma, cadendo abitualmente il giorno del voto nel mese di giugno, Pasquale lascia l’ufficio a fine Aprile per tornarvi nella seconda metà di settembre. Completamente riposato, rilassato e pronto a dedicarsi al lavoro? Macchè! E’ da quel momento che comincia il vero riposo retribuito dei lacchè degli onorevoli. Intanto, nel periodo elettorale Pasquale, deciso a mascherarsi da politico, approfitta della sua poco nota figuretta per passare inosservato negli studi degli onorevoli da sfruttare a suo vantaggio. Rispolverati i migliori vestiti, lo smoking per le serate di gala, tirata fuori tutta la sua scaltrezza affinata in mille battaglie elettorali, Pasquale affila l’arte di defilarsi e comincia a bazzicare segreterie particolari e uffici privati di ogni candidato in lizza. Insomma esercita il mestiere che tanto bene ha imparato dai maestri politicanti. Un’esaltante esperienza perfettamente temprata nelle loro fucine. Promette appoggio incondizionato ai candidati di ogni schieramento. Ritira materiale elettorale che regolarmente e con il massimo ordine getta nel loro sito naturale, il bidone della spazzatura. Il posto adatto per quei ghigni truffaldini impressi sulla carta. Giusto per fare un po’ di fumo e crearsi un alibi, Pasquale mette in movimento un gruppo di ragazzini, pagati dai politici; anche se non è assolutamente necessario alcuno schermo fumoso poiché, pur di arraffare voti elargendo la solita valanga di vane promesse, sono talmente pieni di sé da credere loro stessi in quelle false parole, sino a sentirsi dei veri angeli che a spada tratta risolveranno i problemi del mondo. Presi come sono dal loro serafico ruolo con i piedi sollevati e la testa ancora più nelle nuvole, è facilissimo, quindi, far loro ingoiare esca, amo, lenza e canna compresa senza che se ne accorgano, lasciandoli ripagati alla fine con la stessa falsa moneta da loro stessi battuta. Così, fra buoni di benzina, rimborso spese gonfiate, cene e spettacoli, regalie d’ogni genere, derrate alimentari che gli riempiono la dispensa per mesi, Pasquale ha recuperato tutta la tangente, riportando i suoi conti in attivo con ciò che è riuscito a rastrellare. Inoltre, è riuscito a ottenere un considerevole vantaggio prestandosi a tutti; ha conquistato l’amicizia di tutti gli eletti dell’intero arco costituzionale: se un favore non gli viene concesso dalla sinistra, si rivolge subito a destra. Un redivivo Talleirand della politica moderna. Quel che più gli importa, comunque, è l’essere riuscito a far sborsare a quei “drittoni” il peculio che per altre e più tortuose vie gli era stato rapinato. Il giorno delle elezioni, come fa ormai da tempo, Pasquale va in vacanza con tutta la famiglia, lontano dai clamori elettorali, verso mete dove regna trasparente la legge della natura. In posti incontaminati, privi di quelle cartacce su cui per oltre un mese hanno campeggiato espressioni vacue a celare la destrezza della vecchia volpe in attesa della preda; espressioni sottolineate da slogans vuoti come gli stessi volti su cui sono state astutamente ritoccate. Pasquale nasconde quella stessa destrezza, purificandosi negli sguardi puliti della moglie e dei ragazzi che ignorano; in quel momento pensa ai suoi “amici” politici mentre si specchiano vanitosamente negli occhi dei propri cari che, al contrario, non ignorano, togliendo loro, quindi, ogni possibilità di purificazione. Pasquale sorride passando davanti a un seggio elettorale dove cittadini in fila aspettano di votare, commentando con solite frasi d’occasione, sbraitate al vento, le eterne illusioni della povera gente. A un tale che elogia gli ideali della Democrazia Cristiana, un vecchio e inguaribile staliniano difende con nostalgia l’innaturale idea del comunismo sovietico; si intromette un anziano impettito per sostenere la drammatica utopia fascista. Si perdono nell’aria le immutabili e inutili frasi: - “La Democrazia Cristiana dà da mangiare a tutti” – “Ava vnì Baffon!” – “Ma volete mettere quando c’era Lui?” Poveracci. Non capiranno mai che, sotto qualsiasi bandiera, il lamento per la propria vita grama si leverà in eterno, mentre i loro “rappresentanti” continueranno a godersela uniti. I cittadini, invece, costretti di proposito a scannarsi fra loro, resteranno eternamente disuniti.

redatto a bari il 8.7.1964

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