venerdì 25 marzo 2022

SUDDEST

 Il mio Babbo ha lavorato in Suddest (come a casa l'abbiamo sempre chiamata) dal settembre 1943 a luglio del '64, quando era ancora in servizio. Gli avevano promesso il posto a uno di noi, ma fu promessa di marinaio e non da onesti ferrovieri. Abitavamo in via Carulli e al mio Babbo bastavano un paio di isolati per essere a Bari-garage ogni mattina alle 5 sotto il suo capo, Pasquale Marzano. A volte andava in trasferta lungo la linea Bari Taranto, nei due tratti Bari Putignano via Casamassima, oppure Bari Putignano via Adelfia. Nel tratto leccese non è mai stato. Tornava a casa ogni sera alle 5. Non ricordo se nel suo periodo in Suddest il sabato facessero festa o mezza giornata (mi piacerebbe saperlo, se qualcuno ne fosse a conoscenza, giusto per far quadrare alcuni ricordi che sto mettendo giù,  per completare il lungo capitolo dedicato alla ferrovia che ha permesso al Babbo di mantenere la sua famiglia con moglie e sei figli, e inserire quei ricordi con più esattezza nel mio libro Prendere la vita a calci). Il suo compito era ridipingere i segnali ferroviari usurati, oppure pareti, soffitti e infissi di stazioni dei tanti paesi sempre nello stesso tratto. Una volta sono stato in Direzione a portargli la colazione; Babbo e altri colleghi in un mese ridipinsero tutta quella sede, muri, porte e ringhiere della bella e ampia scalinata in marmo di quell'edificio in piazza Roma, che occupava tutta l'ala sinistra del vecchio palazzo della Gazzetta. Molte altre  volte, invece, quando non andava in trasferta, sono stato a Bari-garage a portargli il gamellino a doppio fondo con primo e secondo, che mia madre gli preparava a mezzogiorno, permettendogli di fare un pasto caldo, mentre in viaggio, portandoselo dietro dal mattino presto, lo trovava freddo. La domenica era sempre a casa. Ma non lasciava il pennello. Si dilettava a dipingere quadri il più delle volte per regalarli ai superiori. Preparava cavalletto, colori e tavolozza davanti al finestrone della stanza da letto, che dava sulla via principale, e da una cartolina ne copiava la veduta. Un sabato di Pasqua,  appena terminato un quadro con piazza San Marco di Venezia vista dal mare, mi portò con lui a casa dell'ing. don Ettore Ruggero, al piano rialzato di via De Amicis 2, nel grande edificio dei ferrovieri, per donargli il quadro promesso. Questa invece la lettera della promessa mai mantenuta al mio Babbo. Ah, mio Babbo era Francesco. Morì a 54 anni, l'8 luglio del 64, col fegato duro come pietra per le esalazioni delle vernici al piombo usate nel suo lavoro e respirate in oltre 20 anni. Nessuno di noi all'epoca sapeva di cause di servizio, o dell'obbligo di assunzione di un figlio dell'agente morto in servizio. Io vent'anni ero il più grande, avrei preferito cederlo a mio fratello di un anno meno. Ma la sorte ha voluto diversamente. Dopo qualche anno, geometra io e imprenditore mio fratello, abbiamo costruito molte case, anche in paesi dove il Babbo ha lavorato ❤👍❤...

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