sabato 30 gennaio 2016

SECONDA LETTERA TONINO

Bari, 30.8.2015

Esimio PRESIDENTE DELLA
REPUBBLICA
piazza del Quirinale
00187                           R O M A
Raccomandata a/r
Esimio MINISTRO DELLA
GIUSTIZIA
via     Arenula   n°  70
00186                           R O M A
Raccomandata a/r
Esimio PRESIDENTE
TRIBUNALE PENALE
via     Nazariantz
70100                           B A R I
Raccomandata a/r
Esimio   DIRETTORE  CARCERE
via     A.  De Gasperi   n°  307
70125                           B A R I
Raccomandata a/r
Esimio Avvocato
GREGORIO DE PALMA
viale     della  Repubblica   n°  82
70125                           B A R I
Raccomandata a/r
Esimio Direttore GIUSEPPE DE TOMASO
La Gazzetta del Mezzogiorno
Piazza Moro   n°  37
70122                           B A R I
Raccomandata a/r
Stimata Redazione del
CORRIERE DELLA SERA
via   Solferino   n°  26
20121                           MILANO
Raccomandata a/r
Stimata Redazione de
LA REPUBBLICA
via   C. Colombo   n°  90
00147                           R O M A
Raccomandata a/r
Stimata Redazione di
RAI 3 TGR PUGLIA
via   Dalmazia   n°  104
70121                           B A R I
Raccomandata a/r


Io sottoscritto, PETINO VITO, fratello di ANTONIO in attesa di giudizio e detenuto presso il carcere di Bari in via A. De Gasperi 307 sin dal lontano 1 marzo 2014, dopo la mia denuncia del 13 luglio scorso, non avendo essa sortito l’effetto desiderato per una diversa sistemazione del nostro congiunto che non fosse il regime carcerario, poiché un medico, incaricato dopo la mia predetta di accertare le sue gravissime condizioni di salute, soprattutto sotto l’aspetto psicologico, sembra aver espresso parere contrario,
r e i t e r o
la denuncia per aver costatato direttamente nella mia ultima visita in carcere il 21 agosto, le sue peggiorate condizioni fisiche. Non è normale che un uomo alto un metro e novanta e con un peso di ben oltre 100 chili si sia ridotto a quella larva umana con cui ho avuto il dispiacere di parlare nell’ultimo colloquio. Spalle ristrette all’osso, arti simili a manici di scopa, indumenti cascanti, insomma un misero attaccapanni umano. Ma ciò che mi ha maggiormente impressionato è stata la sua voce fievolissima, al limite dell’inedia, sino a farmi temere che la costrizione cui è sottoposto lo stia sospingendo, ogni giorno che passa, a spegnergli ogni voglia di vivere. Aveva i suoi primi disturbi legati all’età quando è accaduta la lite con la moglie il primo marzo del 2014. Ma un lieve rialzo del diabete a 60 anni non giustifica minimamente il precipitare delle sue condizioni fisiche sino all’attuale pietoso stato in cui il regime carcerario, per lui insopportabile in modo tanto lampante, l’ha ridotto. Ma gli stanno prestando le cure di cui necessita? Da un paio di mesi, a me ed agli altri miei fratelli, ci hanno vietato di portargli ogni tipo di alimento. Ma lo stanno nutrendo? A vederlo sembrerebbe proprio di no. Ed è proprio necessario vederlo con i propri occhi per credere a quale livello disumano è giunto il suo deperimento. Una storia da propria e vera inquisizione calata anacronisticamente nel nostro tempo. Abbiamo atteso sinora un intervento dall’interno della struttura stessa ma, vana l’attesa, mi son deciso a portare il caso all’attenzione di chi, più in alto, possa vedere direttamente in quale mucchietto di pelle ed ossa si sia potuto ridurre un normale uomo di 61 anni. Poco più d’un mese dopo l’arresto, è stato ricoverato per molto tempo nella stessa infermeria del carcere. Ritornato nel suo reparto per poco tempo, è stato rispedito ancora in infermeria. Fra aprile e maggio di quest’anno, è stato ricoverato d’urgenza al Policlinico di Bari, dove è rimasto per tre settimane. Dopo le dimissioni, ha fatto ritorno nell’infermeria del carcere, dove si trova tuttora. Non si regge letteralmente in piedi, è denutrito a livello terzomondista. Ripeto, io e gli altri miei fratelli ci chiediamo spesso se gli danno da mangiare, se gli fanno le terapie di cui necessita. Intanto, di condizioni più umane per mio fratello non se ne parla ancora. Abbiamo contattato in Bari-Torre a Mare una struttura onlus, “NUOVI ORIZZONTI”; una casa-famiglia attrezzata per ospitare anche detenuti; don Dante Leonardi, che la dirige, è in attesa di avere un colloquio con mio fratello, per istruirlo su norme e comportamenti, in modo da dargli quell’aiuto necessario a togliergli le catene della insopportabile detenzione. Ma che cosa ha fatto in pratica mio fratello, se non un reato contro le cose, grave sì, ma in fin dei conti non ha ammazzato nessuno. Non voglio entrare nel merito del processo, influenzato purtroppo dal coinvolgente clima emotivo di femminicidio. Indubbiamente ha sbagliato, e va punito di conseguenza, ma non sino a condannarlo a morte, pena che in Italia, pare, sia stata abolita da molti decenni. E’ necessario, però, almeno riferire quello che nostro fratello ci ha raccontato direttamente, ma più spesso per telefono, dei rapporti con la moglie negli ultimi anni. Se non altro per verificare se, per quello che ha fatto, abbia diritto o meno a valide attenuanti. Per motivi caratteriali non frequentavamo per niente casa sua, tant’è che dei suoi due figli e della moglie attuale abbiamo una conoscenza molto sporadica e totalmente superficiale; insomma in 25 anni non ci siamo mai frequentati. PETINO ANTONIO, mio fratello, che noi prima del secondo matrimonio chiamavamo il gigante buono della famiglia, incensurato, stimato odontotecnico, facoltoso e felice per oltre 25 anni con moglie e figli (viaggi all’estero, auto di grossa cilindrata, residenza in paese ed al mare di un centro urbano della Calabria); sino ad un lustro fa. Ma la crisi e l’età lo hanno ridotto in pochi anni al lumicino economico. Calato il vento favorevole, moglie e figli hanno pensato bene di trovare rimedi alternativi. La povera moglie, costretta a 45 anni a mettersi a lavorare, ha cominciato ad offenderlo ogni giorno sempre più pesantemente, sino a privarlo completamente, oltre che della personale dignità di uomo, anche dei doveri coniugali. Negli ultimi mesi, avendo bisogno mio fratello di terapia per, come detto, un lieve principio di diabete, la moglie si è rifiutata categoricamente di dargli la minima assistenza a cui ogni brava consorte mai si sottrae. Quel disgraziato pomeriggio del 1 marzo mio fratello, non avendo più un laboratorio di odontotecnico, stava collegando un cavo elettrico in casa per utilizzare alcuni attrezzi professionali nella rifinitura di una protesi, giusto per mettere insieme un po’ di soldini ormai più che necessari al magro reddito familiare; nel mentre, la moglie ha continuato senza tregua ad offenderlo nella sua dignità di uomo, di marito, di padre, di lavoratore, apostrofandolo con gli epiteti più volgari. Mio fratello, che nel frattempo stava diluendo una vernice da passare sul cavo elettrico fissato alla parete per renderlo meno visibile, all’ennesima ingiuria, non potendone più per aver sopportato oltre ogni limite, stressato anche dai farmaci che prendeva da qualche settimana, colpito da momentaneo raptus, le ha versato addosso il diluente che aveva in mano, minacciandola di darle fuoco. Imperterrita, la moglie ha continuato a provocarlo gravemente “Vediamo se sei capace di farlo; non ne hai il coraggio; fallo se sei un uomo!” A quel punto mio fratello riuscì a riprendere la sua abituale lucidità, sedendosi sul letto. La moglie si allontanò tranquillamente andandosene in bagno e, dopo essersi cambiata, si preparava ad uscire di casa. Tutto sarebbe finito lì. Ma mio fratello ha commesso l’unico errore, poi rivelatosi decisivo, di sbattere in terra l’accendino che aveva in mano; l’impatto col pavimento ha fatto scaturire una scintilla che ha dato fuoco al liquido infiammabile, rischiando di prendere fuoco lui soltanto, quando le fiamme si sono estese ai mobili della stanza da letto. In pratica è stato un involontario errore non valutato con la massima lucidità. Immediatamente, spinto da istinto di conservazione, s’è precipitato fuori di casa, non accorgendosi che dietro di lui anche la moglie stava uscendo dall’appartamento. In vestaglia da camera e con le pantofole ai piedi, così com’era, mio fratello si è recato in stato chiaramente confusionale alla più vicina stazione dei Carabinieri per autodenunciarsi “Ho incendiato casa e dentro c’era mia moglie”, cadendo in quel precipizio da cui va assolutamente salvato. Ora gli sarà chiaro a mio fratello il perché delle distanze da noi prese 25 anni fa da lui e da quella donna che lo ha portato in questa situazione; traditi da entrambi, negli affetti familiari dall’uno e nella sacralità della vera amicizia dall’altra. Avevamo subito intuito della sua velenosa cattiveria e che lo circuiva soltanto per i soldi che ogni giorno le passavano sotto gli occhi nel suo laboratorio, sino al punto da avere un figlio con lui ed affibbiarlo a suo marito, e senza entrare in tante altre angherie messe in atto per costringerlo ad abbandonare la moglie e i suoi tre figli, i quali hanno dimostrato proprio in questi frangenti di essere i soli che lo amano ancora. Perché non hanno mai voluto fare il DNA del ragazzo che porta ancora il cognome dell’ex marito di quella donna per dargli il nostro di cognome; perché far vivere quel povero bambino, oggi uomo fatto, nell’eterna incertezza di chi sia veramente figlio, col rischio che prima o poi abbia una crisi d’identità da esserne travolto irreparabilmente? E infine, noi fratelli abbiamo il diritto di sapere se è nostro nipote o meno. Guarda quanti disastri ha combinato quella donna per la sua leggerezza morale e culturale. A mio fratello doveva bastare per starle alla larga il solo fatto che, pur di averlo, e non per amore come ho spiegato prima, è stata capace di rigirarsi nel manico ben sei uomini: l’incolpevole marito, il padre “arcigno”, tre fratelli (uno carabiniere e due finanzieri – per amore di Giustizia, spero tanto che non siano loro, pur di perpetrare una misera vendetta, gli artefici del suo stato detentivo tanto disumano; non sarebbero per niente quei paladini della Giustizia che le loro divise dovrebbero certificare; dovrebbero prendersela esclusivamente con la loro sorella che è andata per il mondo a combinar pasticci), e per ultimo il nostro stupido fratello che ha creduto ciecamente alla sue lusinghe d’affetto, senza che abbia voluto ascoltare i nostri disinteressati consigli, veri avvertimenti di chi, dopo la morte del nostro babbo, gli ha fatto da padre. Chiedo scusa a mio fratello, ma erano anni che ci tenevamo dentro queste verità e dovevamo pur dirle per un più esatto quadro delle sue responsabilità; spero soprattutto che mio fratello possa riprendersi al più presto, altrimenti non finisce certo qui con quella donna e con “i loro” due figli ingrati. Giustissima la legge contro il “femminicidio”; ma la Giustizia non va per nulla a fondo in casi come il suo, scambiando la vera vittima per carnefice, sino al rischio di provocare un “omicidio”, nel senso di veder morire un uomo; ed è ciò che quella donna, soprattutto negli ultimi 5 anni, sta facendo con la sua dose giornaliera di “veleno” che gli inietta con le liti pretestuose, le ingiurie, il volgare dissacramento dell’uomo, di cui tante volte mio fratello ci ha parlato, e da cui scaturiscono tutte le predette considerazioni. Mio fratello non è un delinquente abituale; non è un simulatore, quindi. Nel nostro DNA sono totalmente assenti istinti del tipo incendio doloso e omicidio. Mio fratello va punito, ma ha già pagato abbastanza in quest’anno e mezzo, e per l’educazione ricevuta dai nostri genitori e per gli alti valori morali con cui abbiamo sempre impostato le nostre vite. Non gli si può chiedere di più, quando in giro vagano liberi autentici e pericolosi delinquenti. Scontasse la pena in una struttura meno ossessiva, ma che gli consenta di vivere. Sono drammaticamente preoccupato per la sua vita; nell’insieme è stato abbastanza fortunato, meno quell’ultimo episodio con la consorte. Non suicidatelo. Che gli si dia la possibilità di redimersi in quella casa-famiglia, permettendogli anche di rendersi utile con la sua professione di odontotecnico nei confronti degli stessi ospiti della struttura. Non sia la Giustizia così accanita contro i poveri, ingenui malcapitati; riservasse tutto il potenziale del suo accanimento contro prepotenti autori di grandi e atroci delitti. Chiedo, imploro con tutta l’anima: SALVATELO!
Distinti saluti.
CON OSSERVANZA
      (Petino Vito)

 Edito a Bari il 30.8.2015

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