lunedì 31 dicembre 2007

IL GRANDE MAMMUTH

PROLOGO
Accade di frequente, a chi è genitore, che la sera i figli più piccoli non riescano a trovare facilmente sonno. Ci si sforza utilizzando vecchi metodi, se ne sperimentano di nuovi per cercare di addormentarli. Seduti ai loro piedi, cogliamo con sollievo i primi segni premonitori del sonno imminente nell’altalenante movimento delle palpebre, ormai pesanti. Quando siamo certi che Morfeo sta per accudirli per qualche ora e cominciamo ad assaporare il piacere di calarci nell’atmosfera di pace, diventata l’ultima parte della sera senza la loro chiassosa presenza, ecco che inaspettata la loro vocina ci impietrisce. Gli occhietti tornano vispi, la temuta domanda “Papà, mi racconti una favola?” ci paralizza. A me è capitato più volte. Ricordo bene qualche sera fa; ero riuscito a far addormentare la mia bambina con un’arcaica nenia barese. Mi accingevo in punta di piedi a lasciare la cameretta, quando quella richiesta mi ha pugnalato alle spalle inchiodandomi al mio “dovere di padre”. Non che me ne volessi sottrarre, ma l’idea di ripeterle per l’ennesima volta una delle tante notissime storielle già mi procurava nausea. Il lieve sgomento mi ha causato un brivido lungo il filo dorsale e, vinto un passeggero capogiro, mi sono riseduto sul lettino controvoglia. Ho iniziato dapprima a passare in rassegna i libri di favole sul comodino. Il solo leggerne i titoli, che conosco da una vita, mi ha fatto proprio star male. Un atlante geografico spiccava per la sua diversità fra quei libri. Giusto per prender tempo e sperare in uno degli imperscrutabili misteri che regolano il sonno dei bambini, facendolo giungere quando meno ce lo aspettiamo, ho preso a sfogliarlo di malavoglia.
- “Che libro hai preso, papà?”
- “Non è un libro; è un atlante.”
- “Ma sembra un libro. E cos’è un atlante, papà?”
- “E’ un libro …. “
- “Avevi detto che non è un libro.”
- “Cioè, è un volume in cui sono disegnate le mappe di ogni nazione del nostro pianeta.”
- “E che cosa sono un volume, le mappe, ogni nazione, nostro pianeta?”
Perline di sudore hanno preso a scorrermi giù sino al fondo schiena. M’ero cacciato in trappola; il classico ruzzolone nella brace. Ero fermo a guardare angosciato la cartina dell’Europa quando la vecchia lampadina, a volte spenta anche per anni, è venuta in mio aiuto illuminandomi. Vedendo con attenzione i contorni del Mediterraneo, l’ispirazione appena nata mi ha suggerito una favola nuova, inventata lì per lì.

IL GRANDE MAMMUTH

Moltissimo tempo fa Panthalassa, l’unico oceano allora esistente, abbracciava felicemente Pandea, la terra emersa, unica anch’essa. Su quell’immensa isola vivevano, non altrettanto felici, donne e uomini. Non era quella l’intenzione del buon Dio al momento della Creazione. Solo dopo la disobbedienza di Eva e per punire gli uomini, Egli si costrinse a trasformare quell’unico enorme continente da Paradiso Terrestre a Valle di Lacrime, nella quale cominciarono a vivere gli esseri umani, condannati per sempre alle terrene sofferenze. La popolazione, intanto, cominciò a crescere sempre di più; iniziarono a sorgere paesi sia sulla costa che all’interno della terra emersa, ma in tutte le località gli abitanti continuavano a essere infelici. L’infelicità di quelli che vivevano lungo le coste dell’immensa isola era causata dalla paura che l’infinita distesa delle acque incuteva nei loro animi ancora semplici. Molti avevano tentato d’avventurarsi in mare aperto, vinti più dalla sete del sapere che dal reale bisogno di solcare quelle acque che si sperdevano nell’ignoto. La maggior parte di loro tornava immediatamente a riva salvandosi; la paura era stata più forte della voglia di conoscere. Chi sceglieva di inoltrarsi in quel mare senza fine, per disgrazia non faceva più ritorno; la morte era più forte di tutto. La morte è sempre la più forte, paziente ma invincibile. Peggiore era la sorte degli abitanti dell’interno, il “retro”, come i marinai dell’epoca chiamavano i paesi che non si affacciavano direttamente sul mare. Furono proprio loro a coniare i termini “retrivo”, “retrogrado”, riferendoli agli abitanti delle zone interne, cavernicoli, valligiani, montanari o altro che fossero; gente ancora più involuta di quella costiera per gli ostacoli naturali che riducevano di molto il loro orizzonte, limitato com’era da caverne, boschi, montagne, colline. I motivi erano più che sufficienti per rendere tutti infelici; lo sgomento dell’immenso frenava l’impellente bisogno di progredire dei marittimi; i retrogradi, inconsciamente impediti a vedere oltre la punta del proprio naso, accettavano con fatalità la loro misera condizione. I dubbi e le paure del mondo primordiale limitavano molto l’evolversi di quegli animi primitivi. Quella situazione non andava a genio nemmeno al Signore che, perciò, decise di risistemare geograficamente Panthalassa e Pangea, rompendo soprattutto la monotonia della biblica spartizione fra Terra e Acqua. Senza più indugiare, a passo spedito superò l’Archivio Universale delle Anime dove era sistemata la Prima Divisione, nella quale erano raccolte un numero grandissimo di cartelline con il solo foglio del Giudizio Irrevocabile di ogni anima defunta. Attraversata la grande Sala del Giudizio Irrevocabile, si fermò nella Seconda Divisione, il Laboratorio delle Opere Umane, dov’erano sistemati i fascicoli, più o meno grandi a seconda del caso, degli esseri viventi che al momento popolavano la Terra. Le due Divisioni erano dilatabili a dismisura; al principio la seconda era molto più ampia della prima per il semplice fatto che il mondo dei più era quello terreno; Anime Maestre affollavano il cammino, tenendo per una mano l’ultimo arrivato e nell’altra il suo fascicolo. Ritirata la cartellina col foglio del Giudizio Irrevocabile, che stabiliva in quale dei Sette Cieli l’anima appena giudicata sarebbe finita, il fascicolo veniva portato al macero per così riutilizzare la sua energia a Insindacabile Parere Divino. C’era infine una Terza Divisione, grande senza limiti, Dimensione delle Anime Assegnate, in cui erano stipati a perdita d’occhio un numero infinito di Registri. In quei capaci volumi erano elencati solo nomi e date dei futuri esseri umani in ordine strettamente cronologico. Ad ogni nuovo concepimento, nella Seconda Divisione veniva creato il fascicolo del relativo passaggio terreno. Da quell’istante i singoli fascicoli cominciavano a crescere più o meno voluminosamente in rapporto alla durata del passaggio e delle opere compiute. [Dopo la cacciata dal Paradiso, il Signore decise di disinteressarsi delle faccende umane nella loro parabola terrena e, per aggravarne la pena, di concedere agli uomini il libero arbitrio regolato dalle Sue Leggi eterne, infallibili e note a tutti, stabilendo la riconquista del Paradiso perduto per chi le rispetta. Ogni individuo ha la libera facoltà di conquistarsi il Settimo Cielo o di condannarsi al Cielo più infimo; nascendo si ha l’obbligo di sviluppare al massimo la propria coscienza, sempre seguendo la Legge del Signore. Non riuscendoci, una volta davanti a Lui, il Giudice Supremo ci restituisce quella parte di coscienza di cui ci si è privati sulla Terra, in modo che ogni individuo riesca a capire perfettamente gli errori commessi e, di conseguenza, il Cielo a cui si è destinati; più coscienza si è persa per strada, più è basso il Cielo d’appartenenza. Infatti, gli autori dei delitti più disumani vengono volgarmente definiti “Uomini senza coscienza”. E nel Cielo Infimo, reintegrati della piena coscienza, essi sono condannati a soffrire pene atroci nel rivedere, in presenza di tutti e senza più falsi alibi, i crimini commessi, provando in eterno le stesse sofferenze patite dalle loro vittime. Altro che Inferno; le sofferenze fisiche, alla fin fine, sono lenibili in qualche modo; quelle dell’animo, invece, sono insopportabili. La differenza noi mortali la conosciamo molto bene, supportati come siamo dalla struttura fisica; figurarsi nel mondo dello Spirito puro, in cui tutto il peso dei nostri peccati deve essere sopportato dalla sola anima.] Dunque, Nostro Signore, mentre controllava l’andamento del proprio Creato e ricercava nel Laboratorio delle Opere Umane quel che Gli interessava, non tralasciava mai il Suo ruolo principale di giudicare ogni anima che si presentava al Suo cospetto. Egli è sempre stato Trino, anche se a noi uomini ha manifestato questa Sua Virtù tanto tempo dopo. Preso l’elenco dei fascicoli della Seconda Divisione, quindi, cominciò a scartabellarlo per ricercarvi un nome. Naturalmente non aveva bisogno di consultare alcunché, conoscendo bene vita, opere e morte di ogni essere terrestre; solo che Gli piaceva, di tanto in tanto, assumere atteggiamenti a immagine e somiglianza di quell’essere che Lui stesso aveva creato da un pugno di polvere e uno schizzo di saliva. L’Indice Divino scorse veloce lungo l’elenco sino a fermarsi sul nome cercato. Italo il nomade. Pangea centrale, pastore di mammuth, corporatura e altezza eccezionali per i tempi, trentatreenne; un numero evidentemente caro al Signore. Per fare quel mestiere Italo doveva avere un carattere molto mite, perché quei bestioni erano facilmente irascibili e solo una persona dall’animo buono li teneva facilmente a bada. Dalla voce di un uomo i mammuth riuscivano a percepire quella della sua coscienza, molte volte così fievole da essere captata solo grazie ai loro enormi orecchi. Il Signore lesse le note caratteristiche di Italo, avendo conferma di quel che già sapeva. Lo chiamò. Grande fu la sorpresa del mite pastore, mentre era in santa pace intento alle quotidiane fatiche nella tranquilla e verde valle natia, nell’udire quella Voce soprannaturale. Non aveva mai udito prima una voce tanto potente, ma non ebbe timore, tranquillizzandosi nel vedere con quale calma i mammuth guardavano il cielo con le sventole tese ad accogliere serenamente la medesima Voce. Perciò, anch’egli si predispose ad ascoltare.
- “Italo …. AscoltaMi. Sarai parte di un progetto che permetterà a tutti gli uomini di essere meno infelici; per questo ho bisogno della tua vita e di quella del tuo mammuth più grande. Il vostro sacrificio Mi servirà a creare un popolo migliore. Dopo esserti protetto con copricapo, busto e stivaloni lunghi sino all’inguine, forgiati col cuoio più duro, monta l’animale prescelto e conducilo al centro della Grande Vallata. Là attendi ch’Io completi l’opera. Il vostro premio sarà il Settimo Cielo, e sulla Terra nessuno dimenticherà più il tuo nome e il tuo mammuth.”
Il placido Italo non aveva mai detto di no nella sua vita. A nessuno. Era, come già detto, il più buono degli uomini. Sempre pronto a soccorrere ogni essere in difficoltà: aveva un fratello gemello; l’altruismo e il senso del giusto erano tanto innati in lui che da piccolo, nutrendosi del latte della madre, sentiva istintivamente quando smettere per lasciarne la giusta metà al fratello. E dal momento che fu in grado di reggersi non smise mai di offrire il suo aiuto a chiunque. Nel momento più importante della sua vita, quindi, non ebbe nessuna esitazione di donarla al Signore e di rispettarne la volontà anche per la sorte del suo animale. Mentre il Supremo si apprestava a realizzare quel progetto rivoluzionario Italo, come gli era stato suggerito, protetto dalla corazza di cuoio e in sella a Medi, il capobranco, il più grande dei mammuth, si portò al centro della vallata e attese. Era intento ad ammirare per l’ultima volta, serenamente, i luoghi che l’avevano visto diventare uomo, quando notò improvvisamente il paesaggio a lui tanto familiare cambiare aspetto. Le montagne divenivano sempre più piccole, la vallata sempre più stretta. Capì subito, guardando in giù, che non erano montagne e vallata a ridursi, ma lui e Medi che s’allontavano. Stavano volando. Ciò che gli sfuggiva fu il particolare che, salendo, crescevano. Si ingigantivano, diventando sempre più enormi, immensi. Le loro proporzioni, però, restavano inalterate, impedendo a Italo di accorgersi della stupefacente metamorfosi che stavano subendo. Ebbe soltanto la certezza che quel volo impossibile era opera del Sommo. Ne fu felice. A un certo punto, raggiunsero un’altezza tale che Italo poté vedere, primo uomo dalla Creazione, che Panthalassa e Pangea formavano insieme un corpo perfettamente sferico. In quel momento l’ascesa si arrestò. I loro corpi, intanto, avevano raggiunto le dimensioni progettate dal Divin Architetto. Fermi per pochi attimi in quell’inerzia solenne, fecero a ritroso il percorso che li aveva condotti a quell’altezza. La caduta diveniva sempre più veloce; tanto vertiginosa da indurre Italo a credere di essere fermi, e che fosse la palla di terra e acqua a correre loro incontro, sempre più grande. La discesa raggiunse una velocità tale da strappare le loro anime che, libere dei corpi, ripresero a salire, ora dolcemente, verso il Signore, accolte, infine, amorevolmente fra le Sue capaci braccia. Intanto i corpi, abbandonati al loro destino, ma da Lui guidati con esperta mano, continuarono la folle caduta verso il centro esatto della Pangea. Alla distanza voluta, Egli impresse alle due figure una lieve rotazione, costringendole ad atterrare di fianco con gli occhi volti verso il tramonto. L’impatto fu di una violenza terrificante, riproducendo un “bang” che Gli ricordò l’altro simile udito alla Creazione dell’Universo. Aspettò con calma proverbiale il dissolversi del nuvolone che avvolgeva il pianeta. Tornata nitida la visibilità, il Padreterno si soffermò ad ammirare la grandiosa opera, compiacendosene. La tremenda scossa aveva prodotto un enorme cratere in cui masse inarrestabili di acqua si riversavano da una spaccatura a occidente. La Pangea non esisteva più; dov’era la grande vallata, ora dominava quel cratere a forma di mammuth in volo. L’acqua lo riempì, riportando a galla il lungo stivale sinistro di Italo che si saldò a nord con la terraferma, proprio al limitare delle alte montagne che circondavano la vallata, e al di sotto col fondo marino che s’innalzò per sostenerlo. Dei corpi non v’era più traccia, come se non fossero mai esistiti. Ma quel cratere a forma di mammuth con lo stivale in groppa dimostrava concretamente il loro passaggio terreno. L’impatto, inoltre, aveva creato delle abissali fratture lungo i punti più deboli della Pangea, staccandone una massa enorme che andò alla deriva verso occidente; una miriade di terre piccolissime si estese a oriente, mentre grandi isole si spostarono più a sud. Frammenti infiniti si sparsero per tutta la Panthalassa. Rimirata a lungo la nuova sistemazione, il Signore dette nuovi nomi ai luoghi appena creati. Chiamò Mare Medi, dal nome del grande mammuth, il cratere riempito dall’acqua. Seguendo la costa modellata dalla sua sagoma, il punto in cui l’acqua aveva invaso il cratere fu chiamato Stretto del Naso Lungo; risalendo verso nord, i due Golfi ebbero i nomi di Lobo Destro e Lobo Sinistro; i frammenti di terra circondati dal mare si chiamarono Isole degli Occhi, Isole del Padiglione, Isole del Cuore, Isole di Coda. In onore di Italo il Signore chiamò Italia lo stivalone al centro del nuovo bacino. Le città che poi sorsero attorno ad esso costituirono lo Stato del Grande Mammuth e i suoi abitanti si chiamarono Fratelli del Grande Mammuth. Non più limitati dalle montagne, non più angosciati dall’oceano infinito, essi trovarono il giusto equilibrio nei precisi punti di riferimento dei nuovi orizzonti per raggiungere la felicità perduta. Intanto, invidiosi per tanta bellezza e ricchezza, dal nord cominciavano a calare i barbari……

EPILOGO
La mia bambina era ancora sveglia e continuò a tempestarmi di domande. Naturalmente, non fu così semplice, come sembra, terminare la bella favola. A ogni nuovo vocabolo venivo interrotto e mi era impossibile riprendere se prima non le spiegavo alla meno peggio il significato. Ancora più difficile mi riusciva spiegarle interi concetti che, sorprendentemente, lei afferrava al volo. Senza dubbio per “colpa” di quel retaggio mediterraneo che ancora oggi ci contraddistingue. Pur se estenuato dalle domande e dall’ora tarda, mi riuscì alla fine di portare a termine la storia, ma non di raggiungere lo scopo che il racconto fantasioso doveva cogliere. La bimba era più sveglia di prima; l’unica consolazione, se non altro, era quella di averle insegnato a sollecitare la fantasia. Insomma, per riuscire a farle prender sonno, sono tornato al vecchio sistema della ninnananna. E questa volta finalmente, mi lasciò alla pace delle ultime ore serali. Andato a letto, sfinito com’ero, mi addormentai all’istante, sognando lo stesso sogno della mia bambina. Il Grande Mammuth.

redatto a bari il 30.4.1987

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