sabato 18 febbraio 2023

Pasquale Dentuto

A PASQUALE DENTUTO, MIO CAPITANO

Agosto 63 ultimo sabato, accetto l'invito di un mio cugino di andare al ballo serale al Cral dell'Acquedotto alla periferia di Ceglie. Qui incontro Vincenzo Monno, che non vedevo da tempo.

- Ciao Enzo, come stai.

- Bene e tu? So che giochi in una squadra di Milano.

- Giocavo. Ma dopo due anni e la delusione finale, sono tornato, lasciando perdere il calcio.

- Ehi, uno come te che abbandona il pallone? Non ci credo.

E gli raccontai della visita medica all'ospedale di Niguarda, che mi fermò.

- Senti, Vito, perché non vieni con me nella Pro Inter. Ti diverti senza impegno stressante e non molli quella che so essere la tua passione di sempre.

Fu facile convincermi e posi una sola condizione.

- Purché la domenica non vi siano trasferte troppo distanti.

- No Vito. Non si superano i confini provinciali.

E fu così che la sera del primo martedì di settembre conobbi Pasquale Dentuto. Trovai Enzo con tanti altri ragazzi che si allenavano sul piazzale dell'Orazio Flacco. Enzo fece le presentazioni e con Pasquale fummo subito in sintonia, una simpatia a pelle. Seppi che gli allenamenti si tenevano in spiazzi cittadini, come i piazzali intorno allo Stadio della Vittoria, oppure il terreno antistante la Chiesa di San Francesco a Japigia, o come quella sera davanti al Flacco, perché la Pro Inter non aveva un campo casalingo proprio. Alla fine dell'allenamento dell'immediato giovedì a Japigia, fui convocato per l'amichevole della domenica dopo ad Altamura, nell'accordo fra le due società per la cessione di Nicola Ancona ai biancorossi dell'Alta Murgia. In quell'allenamento conobbi tanti compagni e dirigenti, che mi furono accanto negli 11 anni passati alla Pro Inter. I portieri Tanzi, Aiuola, Rana, Petaroscia, Perilli, i terzini Loseto, Putortì, Costanza, i mediani Capriati, Spinelli, Micheletti, gli stopper Lapomarda e Cassano, gli attaccanti Sedicino, Colangiuli, Cianci, Paterno, Catalano, Novembre, Campana, Schirone, Monno che già conoscevo come ho detto, Ancona con cui giocai quell'unica amichevole con l'Altamura. I dirigenti erano Carlino Schirone, con incarico  di accompagnatore in panchina e rapporti con gli arbitri, di altri non ricordo il nome, come quello di tanti compagni che ora mi sfuggono. Molti altri li conobbi negli anni successivi. La domenica dell'amichevole alle 11 ci vedemmo nella sede della società. In verità nel retro di una lavanderia di via Dalmazia in cui, oltre a provvedere al lavaggio di tutte le divise, grazie alla signora Poldina che faceva da magazziniere si può dire, si custodivano indumenti e attrezzi di gioco. Palloni nuovi, ma scarpe usate e sformate di ogni numero e appunto forma. Io avevo la mia coppia di Pantofola D'oro che calzavo alla perfezione. Cosi scoprii che la società oltre a un campo proprio, non aveva nemmeno una sede sociale, e si andava avanti anche con qualcosa che Pasquale rimetteva di tasca propria. Giocammo per i primi due anni a Rutigliano, 1963 e 1964; il 65 a Valenzano; tornammo a Rutigliano nel 66 e nel 67; nel 68 e 69 al Campo degli Sport, nel 70 era pronto il campo del San Paolo, ma non ancora omologato, così continuammo a girovagare per le partite casalinghe fra Campo di Adelfia, Noicattaro quello a polvere di carbone della Divella, e ancora il Bellavista, dove giocai la mia ultima partita il 24 dicembre 73, vincendo 17 a 2 contro la Modugnese. Nella prima partita ad Altamura conobbi il presidente Lillino Milanesi, che quando si vinceva immancabilmente si presentava a fine gara per darci il premio partita di 5 mila lire a testa, e se per impegni improrogabili non veniva ad assistere alla partita, consegnava la somma dei premi a Pasquale. In quella gara amichevole ad Altamura Pasquale mi affidò la maglia numero 10, che indossai in tutti i miei undici anni alla Pro Inter Bari. Quella gara la vincemmo 3 a 2, i gol li fecero Colangiuli il terzo, Pasquale il secondo, e il primo Ancona, giustificando ampiamente il suo acquisto fatto dall'Altamura. Pasquale invece mi sorprese due volte, non sapevo che oltre a essere allenatore, giocava ed era pure il capitano, fortunatamente avevo già conosciuto il presidente, sennò avrei pensato che Pasquale avesse pure quel ruolo. Ma la meraviglia fu nel vederlo giocare. Incerottato, con fasce elastiche a entrambe le ginocchia e una alla coscia destra, non correva ma faceva correre il pallone quasi sempre verso il compagno libero; la sua pluriennale esperienza gli permetteva di piazzarsi nella fascia centrale del campo, ben sapendo dove il pallone manovrato dagli avversari sarebbe passato per impossessarsene senza affannarsi. Non in tutte le partite si inseriva in formazione, sapendo quando le sue condizioni fisiche, e accadeva spesso, non gli permettevano di giocare. Ho giocato con Pasquale sino alla fatidica partita di Palese contro la squadra locale, marzo 67, dove si ruppe tibia e perone della gamba destra, e fu la sua ultima gara, per la cronaca finita 0 a 0. Pasquale ha avuto molta importanza anche nella mia vita extracalcistica. Non so quando Pasquale divenne collaboratore del presidente Lillino Milanesi, so che per la firma del cartellino della Pro Inter mi invitò a settembre 1963 in via Amendola nella sede commerciale del predidente. Aprile 64. Tornavo con la mia Lambretta a casa per la pausa pranzo. Percorrevo il lungomare verso Japigia. Dalla strada di fianco alla Caserma dei Carabinieri mi tagliò la strada un'auto senza fermarsi allo stop. Ruzzolai con tutto il mezzo fin sotto il marciapiede davanti ai Carabinieri. Mi prestarono aiuto. La prima voce che sentii fu quella di Pasquale, che passava in quel momento di là.

- Petino, c t si fatt. Tutt a ppost, Vito?

E io pronto.

- Tutt a ppost, Pasquà. Dmench pozz scquà.

A luglio del 64 persi mio padre e Pasquale mi confortò. Più che un fratello maggiore, si comportò da padre. A luglio del 65 lavoravo sul cantiere della circonvallazione nel tratto relativo al ponte su corso Sicilia. Erano già state riempite le spalle dei due muri di sostegno del ponte con materiale pietroso a strati sempre più piccoli sino al tappeto in brecciolino, per dare al fondo stradale la pendenza giusta alla salita dalla quota più bassa all'impalcato del ponte. Toccava rifinirlo con la tufina prima degli strati d'asfalto. Il materiale di polvere di tufo veniva trasportato in loco e scaricato da camion col cassone ribaltabile. Mio compito era quello di controllare che il carico arrivasse sino alle sponde del cassone con la cima del carico a piramide. Per farlo dovevo arrampicarmi alla sponda e salire su una ruota per guardare all'interno. Uno dei camionisti era proprio Pasquale che, vedendomi fare quell'operazione con l'anello al dito, mi venne incontro dicendo di togliermi l'anello. Anni prima aveva perso l'anulare sinistro per colpa della fede che, rimasta impigliata alla sponda del camion, glielo tranciò di netto mentre saltava giù dalla ruota, con tutto il peso del corpo che fece da strappo. Perciò mi suggerì di non lavorare mai sui cantieri con la fede. Grazie Pasquale, per tutto quello che mi hai dato in quei momenti bui dei miei anni giovanili. Un solo rammarico, aver fatto i primi allenamenti sul nuovo campo del San Paolo, senza aver poi giocato nemmeno una partita ufficiale, quando fu rilasciata l'omologazione dalla Figc. E da quel momento la Pro Inter Bari cambiò nome in San Paolo Bari ❤🙏❤... 

sabato 28 gennaio 2023

MIO NONNO VITO

 Mentre mio nonno Vito (nato nel 1884 in via Venezia 17 e morto nel 1977) era impegnato al fronte nella Grande Guerra, mia nonna Elvira Traversa del 1883 (morta a ottobre del 1918 di spagnola) si disimpegnava a casa con i suoi quattro figli (nella foto manca Nicola del 1911 morto a 5 anni cadendo dai gradini di casa in via Giandomenico Petroni pochi mesi prima di questo scatto), tutti nati in via Venezia 21, zia Celestina nel 1906 (morta di tifo a Roncadelle a 20 anni), mio padre Francesco nel 1910 e morto nel 64, zia Tina nel 1914 morta nel 2001, che poi sposò Onofrio Vox, e zia Sandra nel 1915 morta nel 69, che sposò Peppino Vox. La foto è del 1916.

Robert Dinapoli, sì, mio nonno tornò incolume dalla Grande Guerra, visto che ci ha poi lasciati nel 77, lo stesso giorno della morte di Benedetto Petrone; erano in due stanzette attigue dell'obitorio del Policlinico. Di Benedetto sappiamo come; mio nonno invece si spense dopo una settimana di coma a seguito di caduta dalla comune scaletta da cucina a tre gradini per nascondere la bottiglia del vino alla sua terza moglie. Ha visto morire tutti i suoi figli, meno la penultima di nonna Elvira, zia Tina, il figlio avuto dalla seconda moglie milanese, zio Nando, e uno dei due figli, zio Vitino, avuti dalla terza, Isa, bresciana; è sopravissuto a mio padre per ben 13 anni. Mia nonna era barese come lui, le altre due le ha conosciute durante la Grande Guerra. A leggere le sue memorie, viene spontanea la domanda come abbia fatto a cavarsela. Aveva 93 anni portati benissimo, così lucido che poi mi ha lasciato il suo manoscritto di memorie da 300 pagine, che io ho in bella mostra nello studio, chiamandolo "Il Librone". Ecco la prima pagina. Tieni presente, Roberto, che aveva la terza elementare, e gli strafalcioni sono comprensibili ❤👍❤...

venerdì 27 gennaio 2023

MEMORIE JAPIGIANE

 A Japigia ci sono arrivato nel marzo 54 e il viale era a doppio senso perché, oltre i carri trainati da cavalli e qualche sporadica auto d'epoca, non vi erano molti veicoli. La stessa via Peucetia non esisteva, e il bus 2 istituito da poco era costretto a percorrere il viale nei due sensi per l'andata al capolinea in stazione e il ritorno al capolinea nello slargo della Quarta Traversa ad angolo col viale, proprio vicino le colonne col box del calzolaio sotto, oggi via Magna Grecia. Poi con lo sviluppo di massa delle auto non è stato più possibile circolare sul viale a doppio senso, come mostra la foto. I distributori sul viale erano 5. Al Mobil della foto si aggiunse a pochi metri uno dell'Agip, e andando verso sud, c'era quello di fronte al bar Messapia, ultimo a essere smantellato, nell'isolato dopo c'era quello di Bellini quasi davanti all'edicola di Ciccio e Marco Triggiani, e infine quello nello spiazzo del citato capolinea del 2. Il grande distributore Agip, tuttora sul viale ad angolo con via Medaglie d'oro, venne realizzato anni dopo, quando i Matarrese costruirono i loro palazzi in quell'angolo. Vanno ricordate anche altre attività. Il bar Japigia del papà dei fratelli De Giglio, che aveva anche una rivendita di tabacchi su corso Sonnino di fronte a via Matteotti; il signor De Giglio ci aiutò tanto nell'acquisto dei terreni di proprietà Iacobellis di fronte all'Intergarage, dove realizzammo le nostre prime abitazioni in cooperativa nel 75. Il panificio Japigia di Nicola Caricola di fronte all'edificio rosso della SGPE, e il panificio Mio quasi attaccato al vecchio passaggio a livello che dava su via Rovereto, poi via Di Vagno. Il mercato scoperto di via Pitagora iniziò l'attività quasi un anno dopo la nostra venuta a Japigia. E non posso dimenticare l'Arena Japigia quasi di fronte al mercato, dove in tante sere d'estate ne abbiamo fatto di risate con i film di Totò, invidiando Minguccino che abitava al 32, il palazzo attaccato all'Arena, dal cui terrazzo si vedevano i film gratis; il momento più brutto delle visioni era il fischio lontano del treno che si avvicinava disturbando l'ascolto, e la "iosa" in coro di noi ragazzini per protestare. C'era anche un altro momento in cui facevamo la iosa, facendo scappare dal cinema il tizio che molestava  i ragazzini al grido "auand u..." (oggi non si può dire su FB, ma per strada e al cinema sì). E infine ho avuto il privilegio di inaugurare insieme a tanti compagni il 1º ottobre 1956 l'Amedeo D'Aosta, la mia scuola media, frequentando la 1ª F. Beh, mo' avast. Alla prossma pundat (tratto dal gruppo LE MITICHE QUATTRO TRAVERSE DI JAPIGIA, la foto è del 56) ❤👍❤...

PER NUNZIA

 Massimiliano Ranieri, nel 63 conobbi zio Marcello; lavoravamo in via Abate Gimma in due negozi diversi a un isolato distanti, da Marconi io e dalla Kleber tuo zio, se ricordo bene. Avevo 19 anni. L'amicizia fra Marcello, mio fratello Lillino e me divenne più stretta. E un giorno mi portò a casa di tua nonna, quel palazzo sul viale Japigia, se non sbaglio al n. 32, ed è lì che ho conosciuto per la prima volta la vostra mamma, la cara Nunzia...

CONVIVIO 5ª C GEOM

 Sempre più piacevoli i convivi con i compagni di 5ª C geom del Pitagora 71 Bari, ieri sera riuniti allo Squarciolla di Torre a Mare. Cena gustosa ma scarsa, servizio ottimo, portate saporite al punto giusto; unico grave difetto il sale. Il di più è stato profuso a sacchi nella coda. Conto salatissimo dunque, nel rapporto qualità, buona, quantità, scarsissima, e prezzo, altissimo. Recensione: SQUARCIOLLA, UN RISTORANTE A TORRE A MARE, DA EVITARE AD OGNI COSTO 🤔👹🥶...

sabato 14 gennaio 2023

A MIO FRATELLO TONINO

 OGGI 14 GENNAIO IN RICORDO DI MIO FRATELLO TONINO ...


VIAGGIO A BOLOGNA CON I MIEI FRATELLI TONINO E ANGELO

Oggi son quattro anni che mio fratello Tonino non è più con noi. Fra i tanti ricordi di una vita ce n’è uno incancellabile.

 Eravamo appena usciti dall’autostrada io,  Tonino e Angelo, quando in un grande rondò con infinite diramazioni vedemmo ferma sulla destra un’auto che sprigionava fiamme dal cofano anteriore, dove un probabile corto aveva innescato un incendio nel vano motore. Le fiamme non erano alte, ma il fumo intenso preoccupava. Tanto che nessuno dei presenti si avvicinava per paura di rimanerne coinvolto. Tanti altri nelle proprie auto rallentavano giusto il tempo di ficcarci il naso, e poi proseguire la corsa indifferenti. Quando, Tonino per primo, capimmo dalla mimica degli attoniti astanti che in auto vi era qualcuno. Vedemmo il nostro gigante buono bloccare l’auto, schizzare fuori, rovistare con movimenti rapidi ma calmi nel cofano posteriore e, armato di estintore, fendere la folla attorno all’auto in panne ma a distanza di sicurezza. Senza pensarci due volte, si portò davanti al cofano in fiamme e spruzzò a piè fermo tutto il contenuto schiumoso in modo da indirizzare il forte getto alla base della colonna di fumo, facendola deviare in direzione opposta alla posizione del guidatore all’interno, che a occhi sbarrati per il panico vedeva tutto senza reagire d’un battito di ciglia. Tonino riuscì a spegnere le fiamme. Subito in tanti ci affaccendammo ad aprire la portiera, scoprendo solo allora che alla guida c’era una signora, che aiutammo a scendere ancora con gli occhi sbarrati.

- Signora, ringrazi quell’uomo che è riuscito a spegnare le fiamme.

- Bravo, giovanotto. Ha compiuto un atto di coraggio puro.

- Meno male che lei aveva l’estintore in auto.

Furono i commenti.

E nella gran confusione, vedemmo il nostro Tonino farci segno di raggiungerlo in macchina, dove aveva già deposto l’estintore scarico.

- Fusc, mttidv jind alla maghn. S no mò arrivn l cagacazz ca voln nom, cognom e tutt la razza lor.

- Tonì, ci iè sta fodd. Tin p ccas l’asscuraziona scadut? Vid d sci chian chiuttost.

E appena entrati, manco seduti, partì a razzo facendoci sobbalzare. Facemmo appena in tempo a sentire dal finestrino aperto la domanda che stavano rivolgendo i vigili appena arrivati.

- Chi è il signore che ha spento le fiamme?

Ma non sentimmo più niente. Eravamo già lontanissimi. Eravamo partiti da Bari alle quattro di notte per viaggiare con meno traffico. Tonino aveva voluto prendere la sua Renault 30 per permettermi, io più anziano, di fare qualche ora di sonno in più sull’ampio sedile posteriore, mentre lui guidava discorrendo con Angelo al suo fianco. Avevo invitato i miei fratelli ad accompagnarmi e trascorrere con me una settimana alla Fiera dell’Edilizia di Bologna dell’ottobre 1981. A parte l’episodio appena narrato, fu una settimana che non trascorrevo con loro in modo così piacevole sin dai tempi in cui si viveva tutti assieme a casa dei miei, io fratello maggiore, Tonino il quarto dei miei fratelli, e Angelo il più piccolo. Di quel viaggio ricordo nitidamente un altro episodio poco piacevole accaduto al ritorno a Ortona a Mare, dove ci fermammo a pranzo presso un ottimo ristorante sul mare. Ma questo voglio raccontarvelo in vernacolo barese …


ORTON A MMAR, QUANN FUMM SCANGIAT P GIARGIANIS

Lassamm u’albergh d Bologn all’ott d matin. Ngi’avemm alzat cchiù ttard prcè la ser apprim, l’uldma dì d la Fir, dop la chiusur, scemm a mangià da Gin, la solta Trattorì sott nu lengh porticat a iarch, addò jì scev a mangià ogni iann da quann m prtò la prima vold o millnovcindsettandatrè Lilli Macchij, u patrun addò jì fadgav a Bbar. Po’ u millnovcindsettandase’ m mttibb p cund mì e condinuabb a sci alla Fir d Bologn ogni iann. La matin ca partemm da Bologn p vnì a Bbar acchiamm nu sol ca iev nu prisc. Appen trasut sop all’autostrad, ng frmamm all’autogrill p nu cafè. La colazion l’avemm giè fatt o u’albergh. Tonin guidav ca iev nu piacer. Addò s ptev s flav quas a ducind all’or, ma non z s’ndev mangh nu fil d vind. Ngi'affrmamm arret sott ad Angon, ma cchiù p sgranghirg l gamm ca pu cafè. Dop Pescar la fam s facì s’ndì.

- Tonì, appen vit la scritt Orton, jiss ca sciam a mmangià a nu bell ristorand sop a mmar. So stat n’anda vold e s mang alla grann. Probrij accom all ristorand atturn o Purt a Bbar.

- Si scur, Vitì. Non n’è ca po’ ng ven u scitt.

- Chiamì, Tonì, appen arrvabb l’alda vold mangh jì sapev accom iev la chccin d cuss ristorand. Ma accom vdibb tanda cammion, m’affrmabb scur. Addò stonn camionist, statt tranguill, che s mang accom m’paradis.

Assemm a Ortona e all’un e mmenz stavam assdut tutt’e tre a nu tauw a quatt, cu mar drmbett. U ristorand stev appen appen sollevat dalla strata prngpal, e la vist ca s vdev facev aprì d cchiù u stommch. Ordnamm tutt do menù ca ng prtò u cammarir, sgnann ogni piatt cu disct. E senza cchiù aprì vocch, ng facemm appdun n’andipast d crud d mar, fettuccin all frutt d mar, nu bell dendc in umd ch l’auuì, frutt e mmir gnor, cudd biangh no mm’ha ma’ piaciut, pur sop o pesc. E prim du dolg e u cafè, rpgghiamm a parlà. Quann s sta a venda chien, l carvun sott a la cenr s’appiccn arret, sobrattutt c sop ngi’ammin nu picch d cudd bbun e gnor, probrij accom a ccudd che avemm bvut nu’, e subbt tanda fatt vicchij d famigghij sbttrrorn daffor.

- Sì, Vitin, però tu t sta scurd d chedda vold ca p cinguandamla lir t cacast la facc a discm d no.

- Tonì, angor ch stu fatt ve’ nnanz. Accom tu ià rchrdà che iev sabbt, l bbangh stevn achius e tnev appen descmla lir p fa la spes. T dcibb vin a ccas ca m l fazz da’ da mgghierm. E tu non d facist vdè cchiù cudd pomerigg. Ma uè mett tutt ciò che so fatt jì p vu’ dop la mort d Babb. V so fatt d’attan a tutt. A tutt v so acchiat fatich. Che cazz’ald vliv.

- Oh, ma stadv citt tutt’e du’, che v sit semb approfittat d me ca iev u chiù pccnunn.

- E cudd’ald ca sim lassat a Bbar che ha pgghiat l distanz p pavur angor ngi'aijtav. Non zim parlann po’ d chedd, ca ngià ddat da grattarg la cap a tutt.

- Povra Mamm, quanda uà ng sim fatt passà. Angor iosc ng ven u prisc quann stam tutt nzim a iedd, ch mgghijr e nput.

E na parol tira l’ald, l vosc s ievn caldssciut e cchiù che parlà, senz’avvrtirg, ngi’acchiamm a grdà.

- Ma tu che cazz t crid d’ess dvndat.

- Famm u piacer d start citt.

- Ma frnidl ca facit chiang l gattud.

E mendr tutt stu gbller scev nnanz, vdibb Angelo cangià facc, faccennc nzgnal d chiamndarg dret. Ci avev arrmanut ch la ch’cchiar alzat, ci ch la frcina mmocch, ci a vocch apert e ci ch l’ecchij spalangat. All’ald tauw nsciun cchiù stev a mangià. Tutt che stevn a chiamndà un tiadr che avemm fatt. Ngi’alzamm citt citt, mangh cchiù dolg e cafè pgghiamm. Pagabb u cund e p scarcà la fattur, o patrun du ristorand ng dibb u bgliett da vist cu codc fscal.

- Ah, siete di Bari. E noi che ci siamo mangiati il cervello per capire di quale stato arabo eravate!

Appen assut ng mttemm jind alla magghn e ng n scemm. Chmnzamm a rit chian chian, e po’ sc-cattam dall rsat, sin a cchiang.

- Sit s’ndut. Ngi’avevn pgghiat p giargianis e no p baris.

- Megghij acchsì. Almen non hann capit tutt l chillemmurt che sim ditt…

sabato 5 novembre 2022

Maurucc

BARI ANNI 50, MAURUCC CU CAMBANIDD
(traduzione alla lettera in calce)

Do cinguand o cinguandatrè, Mamm ng prtav a piazza Ferrares a ffa u nzit, a fin settembr p scì alla scol e alla fin dlla scol p sci alla cologn estiv. O spund du mrcat du pesc, do cuest p la salit dlla Mragghij, stev u prton d l'Uffigg Igien du Comun. Iè dà a piano terr ca s scev a ffa u nzit. La dì apprim passav p l quartir d Bbar Maurucc cu cambanid e, snann snann mmenz all palazzin, scev dcenn.

- Uè l femmn, assit a sndì. Da doman a matin all'ott, all'Uffigg Igien du Comun alla chiazz du Ferrares, tutt l pccninn da se' iann a desc ann a ffa u nzit p scì alla scol.

A chidd timb no ng stevn strmind com a chidd d iosc p dà l notizzij velosc all crstian. U Comun d Bbar s srvev angor d nu bandtor alla ppet accom o uettcind p’avvsà l cttadin. Stu bandtor g-rav quartir p quartir ch nu cambanidd, ca schduav fort ch la man, apprim d grdà a ialda vosc la notizzij. U canscevn tutt cu nom d Maurucc cu cambanidd. Maurucc iev u nom ver du prim bandtor bares, e l baris p’abtudn da tand u uhann passat a tutt chidd che so vnut dop a ffa cudd mstir.

E la matin appriss alla passat d Maurucc tutt l mamm s mttevn in fil p'aspttà u turn loro ch l pccninn chiù pccnunn a man a man, e l uagnungidd chiù grann a fusc, ci da dà e ci da dò, tutt a ffa l diauw mmenz alla chiazz. C gbller iev p l mamm a spartl, c s’appzzcavn iun cu uald. E ch tutt chedda chiazz a sposizion, c uascezz iev p llor. Ma a desc mnut alla vold pccninn e uagnungidd passavn do prisc o dlor. Appen jind all’ambulatorij, la nvrmer, aijtat dalla mamm du pccninn, u pgghiavn sott, ng schmgghiavn u vrazz, mendr u dottor, tnenn n’asticciola mman, scaldav u pennin sop alla fiammell d na sprter. Qualche pccninn, a vdè cudd pstrigghij p la prima vold, chmnzav a cchiang. Ma non facev a ttimb mangh a disc ah!, che u dottor, baggnat u pennin dsnvttat sop alla fiammell jind a na spegg di calamar cu vaccin, ng facev nu rasc-ch sop o vrazz, e u nzit iev fatt. Iev stat chiù la pavur ca u dlor. E mamm e pccninn assevn chiù chndend. L chiù uappcidd nvesc assevn do prton dcenn “No ma fatt nudd”, ch nu sorrsidd strat sop alla vocch. La ser tutt ch qualche lign d frev ammusciat jind o litt, e la mattina dop tutt quann a fa arret l diauw, ch chedda paciacch sop o vrazz p tutt la vit, accom na mdagghij p la prima battaglij vngiut.

(sop all ftografì la chiazz du Ferrares e l nzit mi dop 78 ann)...

Traduzione
BARI 50, MAURUCCIO COL CAMPANELLO (banditore comunale)

Dal 50 al 53 Mamma ci portava a piazza Ferrarese a fare la vaccinazione, a fine settembre per andare alla scuola, e alla fine della scuola per andare alla colonia estiva. All'angolo del mercato del pesce, dal lato della salita per la Muraglia, stava il portone dell'Ufficio Igiene del Comune. È là al piano terra che si andava a fare la vaccinazione. Il giorno prima passava per i quartieri di Bari Mauruccio col campanello e, suonando suonando in mezzo alle palazzine, andava dicendo.

- Ehi le donne, uscite a sentire. Da domani in mattinata alle 8, all'Ufficio Igiene del Comune a piazza del Ferrarese, tutti i bambini da 6 anni a 10 anni a fare la vaccinazione per andare a scuola.

A quei tempi non ci stavano strumenti come quelli di oggi per dare le notizie veloci alle persone. Il Comune di Bari si serviva ancora di un banditore a piedi come all’800 per avvisare i cittadini. ‘Sto banditore girava quartiere per quartiere con un campanello, che scuoteva forte con la mano, prima di gridare ad alta voce la notizia. Lo conoscevano tutti col nome di Mauruccio col campanello. Mauruccio era il nome vero del primo banditore barese, e i baresi per abitudine da allora lo hanno passato a tutti quelli che sono venuti dopo a fare quel mestiere.

E la mattina appresso alla passata di Mauruccio tutte le mamme si mettevano in fila per aspettare il turno loro con i bambini più piccoli a mano a mano, e i ragazzini più grandi a correre, chi di là chi di qua, tutti a fare i diavoli in mezzo alla piazza. Che giostra era per le mamme a dividerli, se si appiccicavano uno con l’altro. E con tutta quella piazza a disposizione, che contentezza era per loro. Ma dieci minuti per volta bambini e ragazzini passavano dalla gioia al dolore. Appena dentro all’ambulatorio, l’infermiera, aiutata dalla mamma del bambino, lo prendevano sotto, gli scoprivano il braccio, mentre il dottore, tenendo un’asticciola in mano, scaldava il pennino sulla fiammella di una spiritiera. Qualche bambino, a vedere quel pasticcio per la prima volta, cominciava a piangere. Ma non faceva a tempo manco a dire ah!, che il dottore, bagnato il pennino disinfettato sopra la fiammella dentro a una specie di calamaio col vaccino, gli faceva un raschio sopra al braccio, e la vaccinazione era fatta. Era stata più la paura che il dolore. E mamma e bambino uscivano più contenti. I più guappicelli invece uscivano dal portone dicendo “Non mi ha fatto niente”, con un sorrisetto stirato sopra alla bocca. La sera tutti con qualche linea di febbre ammosciati dentro al letto, e la mattina dopo tutti quanti a fare di nuovo i diavoli, con quella patacca sopra al braccio per tutta la vita, come una medaglia per la prima battaglia vinta.

(sulle foto la piazza del Ferrarese e le vaccinazioni mie dopo 78 anni)...

venerdì 25 marzo 2022

SUDDEST

 Il mio Babbo ha lavorato in Suddest (come a casa l'abbiamo sempre chiamata) dal settembre 1943 a luglio del '64, quando era ancora in servizio. Gli avevano promesso il posto a uno di noi, ma fu promessa di marinaio e non da onesti ferrovieri. Abitavamo in via Carulli e al mio Babbo bastavano un paio di isolati per essere a Bari-garage ogni mattina alle 5 sotto il suo capo, Pasquale Marzano. A volte andava in trasferta lungo la linea Bari Taranto, nei due tratti Bari Putignano via Casamassima, oppure Bari Putignano via Adelfia. Nel tratto leccese non è mai stato. Tornava a casa ogni sera alle 5. Non ricordo se nel suo periodo in Suddest il sabato facessero festa o mezza giornata (mi piacerebbe saperlo, se qualcuno ne fosse a conoscenza, giusto per far quadrare alcuni ricordi che sto mettendo giù,  per completare il lungo capitolo dedicato alla ferrovia che ha permesso al Babbo di mantenere la sua famiglia con moglie e sei figli, e inserire quei ricordi con più esattezza nel mio libro Prendere la vita a calci). Il suo compito era ridipingere i segnali ferroviari usurati, oppure pareti, soffitti e infissi di stazioni dei tanti paesi sempre nello stesso tratto. Una volta sono stato in Direzione a portargli la colazione; Babbo e altri colleghi in un mese ridipinsero tutta quella sede, muri, porte e ringhiere della bella e ampia scalinata in marmo di quell'edificio in piazza Roma, che occupava tutta l'ala sinistra del vecchio palazzo della Gazzetta. Molte altre  volte, invece, quando non andava in trasferta, sono stato a Bari-garage a portargli il gamellino a doppio fondo con primo e secondo, che mia madre gli preparava a mezzogiorno, permettendogli di fare un pasto caldo, mentre in viaggio, portandoselo dietro dal mattino presto, lo trovava freddo. La domenica era sempre a casa. Ma non lasciava il pennello. Si dilettava a dipingere quadri il più delle volte per regalarli ai superiori. Preparava cavalletto, colori e tavolozza davanti al finestrone della stanza da letto, che dava sulla via principale, e da una cartolina ne copiava la veduta. Un sabato di Pasqua,  appena terminato un quadro con piazza San Marco di Venezia vista dal mare, mi portò con lui a casa dell'ing. don Ettore Ruggero, al piano rialzato di via De Amicis 2, nel grande edificio dei ferrovieri, per donargli il quadro promesso. Questa invece la lettera della promessa mai mantenuta al mio Babbo. Ah, mio Babbo era Francesco. Morì a 54 anni, l'8 luglio del 64, col fegato duro come pietra per le esalazioni delle vernici al piombo usate nel suo lavoro e respirate in oltre 20 anni. Nessuno di noi all'epoca sapeva di cause di servizio, o dell'obbligo di assunzione di un figlio dell'agente morto in servizio. Io vent'anni ero il più grande, avrei preferito cederlo a mio fratello di un anno meno. Ma la sorte ha voluto diversamente. Dopo qualche anno, geometra io e imprenditore mio fratello, abbiamo costruito molte case, anche in paesi dove il Babbo ha lavorato ❤👍❤...

Lido Marzulli

    PRECISAZIONI SUL LIDO MARZULLI

Rispondo contemporaneamente ad alcune richieste espresse da 

Nicola Ruggieri del gruppo Bari in foto e cartolina e di Nilde Lepore del gruppo Sei di Japigia se, in relazione al post “Il mio Lido Marzulli”.

Il lido chiuse ufficialmente l'attività nel 1955, ma in pratica dal settembre precedente fu abbandonato perché venduto a costruttori speculatori, che all'epoca compravano terreni dove capitava e poi con gli agganci politici li lottizzavano. Un gruppo molto fervido era quello che aveva costruito il nucleo originario di Japigia, le mitiche quattro traverse. E pensarono bene di anticipare i tempi per costruire sul mare. Anche la Galasso era di là da venire. Quel gruppo è poi lo stesso che aveva messo mani su Punta Perotti. Acquistato il Lido, non era comunque possibile costruire sulla striscia di mare. Si brigò per la costruzione della doppia carreggiata, con la scusante che la via Traiano, allora via Vecchia di Mola, era insufficiente a smaltire il traffico che andava in aumento giorno dopo giorno. Una doppia carreggiata avrebbe inoltre evitato lo zig zag fra lungomare, via Di Vagno (allora via Rovereto), via Traiano, Canalone. E che a loro interessasse solo quel tratto è dimostrato dall'aumentata asfitticità stradale dal Canalone in poi, senza che i problemi di traffico per uscire a sud della città fossero stati risolti. Successivamente fra acquisto del Lido e terreni limitrofi, costruzione della doppia carreggiata che allontanava la costa per soddisfare la sopravvenuta legge Galasso, passarono anni. Quando tutto pareva risolto per il meglio secondo le loro finanze vidi, un giorno che passavo di là, i primi escavatori che avevano iniziato a realizzare il piano di fondazione. Devo premettere che nell’80, grazie ad alcuni amici d’infanzia, come Licio Calabrese e Onofrio Introna, e alcuni colleghi di diploma, come Rocco Stefanelli, che erano parte attiva del partito social democratico barese, conobbi l’on. Michele Di Giesi. Fu Licio Calabrese che mi portò nella sede del partito, a quel tempo in corso Sonnino prima dell’ex cinema Impero. Professionalmente mi interessavo a realizzazioni residenziali con diverse cooperative edilizie. I miei amici, tramite l’onorevole, sapendo della mia esperienza, mi proposero la costituzione di una cooperativa di lavoro. Ne avevo già una di servizi, la Self Service srl, ma lo statuto sociale non andava bene per quella attività che mi proposero. Così ne costituii una nuova, Arte e Lavoro srl, il 21 aprile dell’81, dal notaio Giovanni Tatarano di Bari, con una voce, fra le altre dello scopo sociale, che recitava espressamente “la società potrà gestire anche l’amministrazione con relativa manutenzione di porticcioli turistici”. Nel giugno successivo fui eletto consigliere dc della circoscrizione Japigia Torre a Mare. Intanto negli uffici tecnici comunali la lottizzazione di Punta Perotti procedeva spedita. L’on Di Giesi, in accordo con tutti i partiti, fece inserire nella rada di fronte a Punta Perotti la realizzazione di un porticciolo turistico, alla stregua di altre città marinare del nord. Fra Circolo della Vela e Barion, aggiungendovi pure i porticcioli di Torre a Mare, Palese e Santo Spirito, lo spazio per le barche non era più sufficiente, considerando anche inadeguato il fondale marino per barche d’un certo pescaggio. Nel frattempo l’on. Di Giesi era riuscito a far stanziare per quella realizzazione nautica dal governo centrale la somma di 3 miliardi di lire. Intanto io politicamente mi ero avvicinato alla corrente dc dell’on. Antonio Matarrese e sul suo studio, all’ultimo piano di viale (non capisco perché viale per una via cortissima e occlusa dal muro della ferrovia, comunque) dicevo viale Caduti di Tutte le Guerre se ricordo bene civico 7, ho conosciuto il compianto dr Michele Giura, il dr Massimo Vitone, Gianni Pennisi, e altri, a parte un altro amico d’infanzia prematuramente scomparso, il dr Pasquale Abrescia, che in tempi di delegazioni di quartiere tutti nel rione chiamavamo il Sindaco di Japigia. Purtroppo abbiamo perduto a fine 83 pure il caro on. Di Giesi. E da quel progetto del porticciolo turistico fui escluso. Ma nella lottizzazione originaria rimase. Grande fu quindi la mia sorpresa nel vedere le ruspe all’opera per realizzare gli edifici residenziali. Voci sempre più pubbliche già parlavano di illeciti alla Galasso, che prevedeva una distanza dalla battigia di almeno 300 metri. Qualche mese prima avevo incontrato il dr Giura in compagnia di un geometra dei Matarrese, e giorni dopo il caro geom. Salvatore Cotena, tecnico di fiducia di don Ciccio Quistelli, uno degli imprenditori di Punta Perotti, nonché costruttore di diverse palazzine delle nostre cooperative. Avendo studiato nei minimi particolari la realizzazione del porticciolo nella rada di fronte, offrii il mio parere per rimanere nella regolarità edilizia. Suggerii loro “Vi conviene prima metter mani alla costruzione del porticciolo, che fra banchine e moli allontana la battigia di almeno 5, 600 metri. E con la Galasso siete a posto”. Dai Matarrese non trapelò nulla per quel mio suggerimento, ma da Salvatore seppi che ne aveva parlato, ricevendo come risposta che alle imprese conveniva iniziare i lavori di fondazione per cominciare a vendere appartamenti sulla carta. “La stessa cosa potreste fare, cominciando la costruzione del porticciolo, e vendendo sulla carta i posti barca, che andrebbero a ruba”, replicai. Ma visto il procedere dei lavori, capii che era stato fiato sprecato il mio. La parte che più mi addolora di quest’ultimo episodio è la tragica scomparsa, avvenuta qualche anno dopo, del caro Salvatore Cotena, che ci rimise la pelle in un tamponamento con il Fiorino, stracolmo di materiale, dell’impresa per cui ancora lavorava. I fatti successivi hanno invece addolorato tutti i cittadini baresi che, incolpevoli e invertendo i termini, dopo essere sati beffati, stanno pure subendo il pagamento dalle proprie tasche degli ingenti danni provocati per una stupida fisima politica. E colpendo alla cieca hanno colpito tutti. E non è ancora finita. Da tecnico devo purtroppo ammettere il dispiacere del tanto bene buttato per lo scempio compiuto da stupidi politici che, pur di cantare vittoria come lo storico Pirro, non si sono accorti delle sconfitte social-economiche subite, ma mai a loro addebitate. Edifici che oggi, recuperati e abitati, fra negozi e case private, avrebbero dato lavoro a tutti. Senza considerare il porticciolo turistico. Come al solito i veri colpevoli non pagano mai scelte, anche politicamente personali, totalmente sballatissime.

E ora vi illustro le foto allegate fra stato dei luoghi originari e situazioni attuali, per dare risposte soddisfacenti anche alla signora Nilde Lepore sull'attuale panepomodoro, che all'epoca, come già descritto, era molto più a sud, e fino al Canalone. Il lungomare finiva dove oggi c'è il semaforo. Si era costretti a girare a destra, per poi, in fondo a via Di Vagno (allora via Rovereto), girare a sinistra in via Traiano che finiva sul Canalone e riprendeva la costa della via Vecchia di Mola, com'è oggi, Trullo, Camping, continuando dritto ci si immetteva sulla SS 16 a due sole corsie una a sud e l'altra verso nord, oggi circonvallazione, allora inesistente. Oppure sempre in fondo a via Di Vagno, si superava il passaggio a livello per entrare a Japigia, nuovissimo rione di Bari. Nei grafici i limiti sono orientativi, non di precisione, giusto per dare un’idea fra passato e presente; lo stesso per le date...


Grafico 1 presumibilmente del 1955 – La linea rossa in evidenza è, più o meno, dov’è oggi la battigia; 1 Punto in cui nel 1948 finiva il lungomare; 2-2 Via Rovereto (oggi Di Vagno); 3 Istituto Marconi; 4 Dov’era ubicato il passaggio a livello di Japigia prima della costruzione del ponte; 5 Ruderi del vecchio Macello Comunale; 6 Fiat sede Bari; 7 Via Oberdan; 8 Viale Japigia; 9-9 Via Imperatore Traiano; 10 Sede binari FS; 11 Casello FS abbandonato; 12 Terreno agricolo di G-lorm poi deventato il “nostro Panepomodoro”; 13 Zona dei Capannoni e campetto di calcio Morcavallo; 14-14 Ruderi ex Lido Marzulli con ingresso da via Traiano; 15-15 Tratto del lungomare costruito dal 48 al 55; 16-20 Limite della colmata del mare; 21 Ponte sul Canalone; 22 Canalone Valenzano; 23 Ristorante Transatlantico; 24 Ruderi dell’ex Stazioncina FS Parco Sud, con molti vagoni merci abbandonati, forse residui bellici; 25-28 Le mitiche 4 traverse di Japigia, nucleo originario ai primordi del nuovo Rione; 29 Campo sportivo Japigia, dove dall’autunno 54 al 60 circa la UISP sezione di Bari, diretta allora dal bravo signor Vincenzo Lanza, organizzò tornei di calcio cittadini ad alto livello, vi hanno giocato anche ex giocatori di A e B, e qualcuno in attività nella C; 30 Mitico Panificio Japigia di Nicola Caricola;


Grafico 2 situazione attuale – In marrone il limite del lottizzato porticciolo turistico, mai realizzato; in rosso il limite della vecchia battigia ai tempi del Lido Marzulli;


Foto 1- Lungomare Nazario Sauro 1955. In primo piano il lungomare sino a via Rovereto, poi Di Vagno. Ben visibili la Caserma Bergia della Legione dei CC, il Palazzo dell’Agricoltura dietro cui è visibile l’area su cui nel 59 sarà poi costruito il Palazzo RAI, e ancora il Marconi, e in secondo piano a sinistra il passaggio a livello e parte del rione Japigia, appena dietro di esso i capannoni della Fibronit e sulla stessa linea a destra il deposito di legname della Feltrinelli; sullo sfondo il lungo tratto dei binari FSE, e dietro parte dei nuovi edifici residenziali di Carrassi e, al limite, del Picone; Poggiofranco era solo campagna;


Foto 2 – 1954/55 via Imperatore Traiano e viale Japigia con l’ex passaggio a livello FS in primo piano;


Foto 3 – Muro sberciato delle ex officine Morcavallo presso cui alcuni cocchieri posteggiavano i loro carri con cavallo nel 1948, stesso periodo in cui nostra madre e le sue amiche ci portavano a fare il bagno nella caletta sabbiosa accanto a quel gruppo di persone, dov’erano ubicate le baracche balneari in legno; sul fondo la Caserma dei CC, il palazzo dell’Agricoltura e lo spiazzo vuoto senza la RAI;


Foto 4 – L’ala nord del muro di recinzione del Lido Marzulli;


Foto 5 – Edifici ricreativi del Lido Marzulli, oltre i quali c’era il muro di recinzione a sud e subito dopo la campagna di G-lorm u chzzal, quello che ci dava i pomodori per companatico, e noi di riflesso abbiamo dato il nome dei suoi frutti e del nostro panino a tutto il terreno sabbioso, che andava dal Lido al Canalone;


Foto 6 – Muro ancora esistente nel 55 del Morcavallo, dove fu poi realizzata la seconda zona dei giardini Gramsci;


Foto 7 – Ristorante Transatlantico, in attività sino ai primi anni 60;


Foto 8 – Quella che doveva essere Punta Perotti edificata; la rada in primo piano sarebbe stata colmata per realizzare il porticciolo Turistico.

domenica 27 febbraio 2022

COMMERCIAND BARIS

           L COMMERCIAND BARIS D VIA SPARAN E LA POLITCH

(traduzione in calce)


Giuann e Colin ievn chmbagn d Barvecchij da pccnunn. Chiù uagnungidd, frnut la quind elemendar, furn pgghiat a fadgà jind a du' ngozzij d via Sparan a ffa l pulizij, a mett a ppost l'artighl jind all sc-caduw, a sci a cattà l sigarett all patrun, o a sci alla post, o vccir, oppur alla farmacì. Nzomm, tutt fatich cchiù for ca jind all ngozzij. Giuann fadgav a nu ngozzij d'abbigliamend, Colin a iun d scarp. A digiannov'ann Giuann, e a digiott Colin, dop avè fatt tutt la trafil, dvndorn prim commess. Sop a llor stevn asslut u patrun e u cap commess. Ievn svegglij, brav e velosc. Dop quindci'ann, tutt'e du’ dcdern d metts p cund lor. Acchiorn nu local grann, ch do' vtrin, a cors Cavurr; u pgghiorn in fitt, u dvdern a metà, e Giuann a na vann condinuò a venn abbigliamend e Colin, appriss a jidd, l scarp. Ogni matin Giuann vnev dalla chiazz du Ferrares, Colin dalla vann d chiazza Chiurlì. E s ngondravn ognun vcin o ngozzij sù.

- Bongiorn Giuann!

- Cià Colin! Mocch, accom pes ad alzall sta serrand.

- A cciù disc. Ogni matin m dol la sc-chen.

- Sciamg a pgghià u cafè p'acchmnzà bbon la scrnat.

- Aspitt che avvis-ch la uagnedd. Teresa, vit ca stoggh a sci o bbar ch don Giuann, uè quaccheccos pur tu?

- Sì, don Nicola, un caffè.

- E da mangià no uè nudd, nu cornett, na briosc?

- Grazie don Nicola, solo il caffè.

- Aaahh, iè p Vnginz. Angor t'allass c t ngrass.

Na vold assut do ngozij, Ncol dcì.

- Sciam alla Mott, che u fascn megghij u cafè.

Arrvat jind o bbar, ordnorn du cafè allungat e na pastaredd appdun, e Giuann racchmannò a Nicol.

- Non zi mtten tanda zzucchr, che non zim cchiù giuvn.

- Dopdoman stonn l votazzion. Mu fasc nu piacer, Giuà. Put da' u vot o figghij d na chmmar d sorm? 

- E jidd po' c m fasc. M ven ad alzà ogni matin la serrand. Sta tutt la dì all'mbit a rcev clijnd. M fasc uadagnà u ppan senza fadgà. Camin, vattinn tu e chidd mbrusun. C no m ialzch jì la matina subbt, u ppan a cas non u portch, né a mme e mang p llor. Aquann no ng stev la politch, senz tutt chidd legg e regolamend, ca ng fascn perd timb e trris, ch tanda mbiegat mangia mang ca stonn in gir, l cos scevn megghij p ttutt. La politch serv asslut a llor p rbbang trris s-dat, pu rest no n'zerv a nu cazz!

- So capit. Sciam a fadgà! Cià Giuann.

- Cià Colin ...


I COMMERCIANTI BARESI DI VIA SPARANO E LA POLITICA

Giovanni e Nicolino erano compagni da bambini. Più ragazzini, finita la quinta elementare, furono presi a lavorare dentro a due negozi di via Sparano a fare le pulizie, a mettere a posto gli articoli dentro le scatole, ad andare a comprare le sigarette ai padroni, o ad andare alla posta, al macellaio, oppure alla farmacia. Insomma, tutti lavori più fuori che dentro ai negozi. Giovanni lavorava a un negozio di abbigliamento, Nicolino a uno di scarpe. A diciannove anni Giovanni, e a diciotto Nicolino, dopo aver fatto tutta la trafila, diventarono primi commessi. Su di loro stavano soltanto il padrone e il capo commesso. Erano svegli, bravi e veloci. Dopo quindici anni, tutt’e due decisero di mettersi per conto loro. Trovarono un locale grande, con due vetrine, a corso Cavour; lo presero in fitto, lo divisero a metà, e Giovanni a una parte continuò a vendere abbigliamento e Nicolino, appresso a lui, le scarpe. Ogni mattina Giovanni veniva da piazza del Ferrarese, Nicolino dalla parte di piazza Chiurlia. E si incontravano ognuno vicino al negozio suo.

- Buongiorno Giovanni!

- Ciao Nicolino! Mamma, come pesa alzare la serranda.

- A chi lo dici. Ogni mattina mi duole la schiena.

- Andiamoci a prendere il caffè per cominciare bene la giornata.

- Aspetta che avviso la ragazza. Teresa, vedi che sto andando al bar con don Giovanni, vuoi qualcosa pure tu?

- Sì don Nicola, un caffè.

- E da mangiare non vuoi niente, un cornetto, una briosce?

- Grazie don Nicola, solo il caffè.

- Aaahh, è per Vicenzo. Ancora ti lascia se ti ingrassi.

Una volta usciti dal negozio Nicola disse.

- Andiamo alla Motta che lo fanno meglio il caffè.

Arrivati nel bar, ordinarono due caffè allungati e una pastarella ciascuno, e Giovanni raccomandò a Nicola.

- Non ci mettere tanto zucchero, ché non siamo più giovani.

- Dopodomani stanno le votazioni. Mi fai un piacere, Giovà. Puoi dare il voto al figlio di una commara di mia sorella?

- E lui poi che mi fa. Mi viene ad alzare ogni mattina la serranda. Sta tutto il giorno in piedi a ricevere clienti. Mi fa guadagnare il pane senza lavorare. Cammina, vattene tu e quegli imbroglioni. Se non mi alzo io la mattina presto, il pane a casa non lo porto, né a me e manco per loro. Quando non ci stava la politica, senza tutte quelle leggi e regolamenti, che ci fanno perdere tempo e soldi, con tanti burocrati mangioni in giro, le cose andavano meglio per tutti. La politica serve solo a loro per rubarci soldi sudati, per il resto non serve a un cavolo!

- Ho capito. Andiamo a lavorare! Ciao Giovanni.

- Ciao Nicolino…