domenica 25 dicembre 2016

NOMI STORICI ED ECHI MODERNI

Da qualche settimana seguo con un certo interesse il dibattito sull’eventuale cambio di nome della Scuola Elementare “Balilla”. Quale ex scolaro dell’istituto vorrei aggiungere alcune considerazioni personali su quel nome impresso indelebile nella formazione di tantissime generazioni di alunni baresi. Ho condiviso pienamente la lettera sullo stesso argomento del dr. Nicola Roncone, con cui ho avuto il privilegio di frequentare non solo il quinquennio elementare, ma anche il triennio successivo in un altro prestigioso istituto dell’epoca, la Scuola Media “Amedeo d’Aosta” dell’arcigno preside Adamo Mastrorilli. Intanto chiarisco che a noi ragazzi del 1950, nonostante gli echi allora freschi del precedente ignobile regime che si appropriava di tutto quanto potesse servire a mascherare il nero della propria origine rivestendolo inutilmente di un necessario candore storico, a noi ragazzi dicevo, il nome “Balilla” ci riportava con immediatezza soltanto a quel ragazzino genovese undicenne che nel 1746 mise in fuga lo straniero con un sasso, divenendo il secolo successivo simbolo della lotta Risorgimentale. Ora, l’idea che la scuola in questione passi dal nome tricentenario di un apolitico undicenne, più consono al ciclo scolastico interessato, a quello di un contemporaneo appena deceduto, sia pur emerito docente ottantaquattrenne ma di dichiarata fede di parte per giunta, aggirando il requisito “dopo dieci anni dalla morte” per sfruttarne opportunamente la deroga, puzza lontanissimo di provvedimento politico “à la page”, sino a sfiorare la blasfemia peraltro, pretendendo, a soli due mesi dalla morte, il “santo subito”, invocato più giustamente per i grandi uomini del Sacro. Ma poi, può uno sparuto manipolo di insegnanti, di cui forse nessuno ha frequentato la scuola da ribattezzare, decidere le sorti di migliaia di vecchi e nuovi alunni, imponendo un nome che necessita ancora di un lunghissimo periodo di quarantena, prima che la lente della storia stabilisca quale ruolo gli spetterebbe in un secolo in cui tutti hanno fallito, viste le condizioni disastrose sotto ogni punto di vista in cui versa il Paese? In quanto al legame sentimentale mio e dei miei compagni d’allora con il nome “Balilla”, esso evoca il decennio più felice che Bari abbia vissuto nel secolo scorso. Inquinamento inesistente, delinquenza invisibile, consumismo sconosciuto. Ci bastava poco per essere soddisfatti. Episodi indelebili si susseguono al nome della nostra prima scuola. Il primo giorno di scuola, naturalmente, col trauma del distacco dalla mamma subito superato dall’accoglienza di insegnanti e nuovi compagni. Il biennio con la nostra maestra, la cara signora Mammella, che con le sue carezze sopperiva in quelle ore all’assenza della mamma; il triennio con l’inflessibile professor Di Terlizzi, quando le sue bacchettate ci hanno resi uomini. Le preghiere mattutine fatte davanti all’icona della Madonnella col Bambino, allora allogati in una nicchia alla base della torretta del vecchio edificio di fronte alla scuola, proprio all’inizio di via Vallona. E come dimenticare Bartolomeo col suo chiosco, prima sulla facciata rientrante a sinistra della scalinata d’accesso centrale, poi spostato più opportunamente sul prospetto scolastico di corso Sonnino alla confluenza con via Spalato; tutti passavamo da lui almeno un paio di volte al giorno per comprare pesciolini rossi e neri, castagnaccio, gianduiotti, giornalini usati, piccoli giocattoli di celluloide, le famigerate “fortune”. I giochi di gruppo che si facevano ogni mattina nel tardo autunno e per tutta la primavera  sulla via Positano, prima di accedere dal grande cancello di ferro nel cortile interno della scuola; ci si rincorreva “a staccio” o si saltava “a scaricabarile”. Quanto ho brigato per mangiare alla refezione scolastica, o per ottenere le scarpe che il Patronato Scolastico donava ai più poveri. Non avevo diritto a tali aiuti perché mio padre lavorando in Ferrovia aveva un reddito fisso. Ma sono riuscito più volte a falsificare  il tesserino d’accesso alla mensa, soprattutto il giovedì per una scodella di minestra col sughetto diluito che tanto mi piaceva. Pur di accontentarmi, mia madre riuscì a comprare le scarpe del Patronato da una famiglia povera, ma alla prima pioggia si infracidirono tutte perché di cartone dipinto. A questo punto faccio la mia proposta: finché campa l’ultimo alunno dell’istituto, si lasci il nome “Balilla”, dopo lo si potrà cambiare … (cioè mai!) …


Edito a Bari il 28.4.2016

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