NOMI STORICI ED ECHI MODERNI
Da qualche settimana seguo con un
certo interesse il dibattito sull’eventuale cambio di nome della Scuola Elementare
“Balilla”. Quale ex scolaro dell’istituto vorrei aggiungere alcune
considerazioni personali su quel nome impresso indelebile nella formazione di tantissime
generazioni di alunni baresi. Ho condiviso pienamente la lettera sullo stesso
argomento del dr. Nicola Roncone, con cui ho avuto il privilegio di frequentare
non solo il quinquennio elementare, ma anche il triennio successivo in un altro
prestigioso istituto dell’epoca, la Scuola Media “Amedeo d’Aosta” dell’arcigno
preside Adamo Mastrorilli. Intanto chiarisco che a noi ragazzi del 1950,
nonostante gli echi allora freschi del precedente ignobile regime che si
appropriava di tutto quanto potesse servire a mascherare il nero della propria
origine rivestendolo inutilmente di un necessario candore storico, a noi
ragazzi dicevo, il nome “Balilla” ci riportava con immediatezza soltanto a quel
ragazzino genovese undicenne che nel 1746 mise in fuga lo straniero con un
sasso, divenendo il secolo successivo simbolo della lotta Risorgimentale. Ora,
l’idea che la scuola in questione passi dal nome tricentenario di un apolitico
undicenne, più consono al ciclo scolastico interessato, a quello di un contemporaneo
appena deceduto, sia pur emerito docente ottantaquattrenne ma di dichiarata
fede di parte per giunta, aggirando il requisito “dopo dieci anni dalla morte”
per sfruttarne opportunamente la deroga, puzza lontanissimo di provvedimento
politico “à la page”, sino a sfiorare la blasfemia peraltro, pretendendo, a
soli due mesi dalla morte, il “santo subito”, invocato più giustamente per i
grandi uomini del Sacro. Ma poi, può uno sparuto manipolo di insegnanti, di cui
forse nessuno ha frequentato la scuola da ribattezzare, decidere le sorti di
migliaia di vecchi e nuovi alunni, imponendo un nome che necessita ancora di un
lunghissimo periodo di quarantena, prima che la lente della storia stabilisca
quale ruolo gli spetterebbe in un secolo in cui tutti hanno fallito, viste le
condizioni disastrose sotto ogni punto di vista in cui versa il Paese? In
quanto al legame sentimentale mio e dei miei compagni d’allora con il nome
“Balilla”, esso evoca il decennio più felice che Bari abbia vissuto nel secolo
scorso. Inquinamento inesistente, delinquenza invisibile, consumismo
sconosciuto. Ci bastava poco per essere soddisfatti. Episodi indelebili si
susseguono al nome della nostra prima scuola. Il primo giorno di scuola,
naturalmente, col trauma del distacco dalla mamma subito superato
dall’accoglienza di insegnanti e nuovi compagni. Il biennio con la nostra
maestra, la cara signora Mammella, che con le sue carezze sopperiva in quelle
ore all’assenza della mamma; il triennio con l’inflessibile professor Di
Terlizzi, quando le sue bacchettate ci hanno resi uomini. Le preghiere
mattutine fatte davanti all’icona della Madonnella col Bambino, allora allogati
in una nicchia alla base della torretta del vecchio edificio di fronte alla
scuola, proprio all’inizio di via Vallona. E come dimenticare Bartolomeo col
suo chiosco, prima sulla facciata rientrante a sinistra della scalinata
d’accesso centrale, poi spostato più opportunamente sul prospetto scolastico di
corso Sonnino alla confluenza con via Spalato; tutti passavamo da lui almeno un
paio di volte al giorno per comprare pesciolini rossi e neri, castagnaccio,
gianduiotti, giornalini usati, piccoli giocattoli di celluloide, le famigerate
“fortune”. I giochi di gruppo che si facevano ogni mattina nel tardo autunno e
per tutta la primavera sulla via
Positano, prima di accedere dal grande cancello di ferro nel cortile interno
della scuola; ci si rincorreva “a staccio” o si saltava “a scaricabarile”.
Quanto ho brigato per mangiare alla refezione scolastica, o per ottenere le
scarpe che il Patronato Scolastico donava ai più poveri. Non avevo diritto a
tali aiuti perché mio padre lavorando in Ferrovia aveva un reddito fisso. Ma sono
riuscito più volte a falsificare il
tesserino d’accesso alla mensa, soprattutto il giovedì per una scodella di
minestra col sughetto diluito che tanto mi piaceva. Pur di accontentarmi, mia
madre riuscì a comprare le scarpe del Patronato da una famiglia povera, ma alla
prima pioggia si infracidirono tutte perché di cartone dipinto. A questo punto
faccio la mia proposta: finché campa l’ultimo alunno dell’istituto, si lasci il
nome “Balilla”, dopo lo si potrà cambiare … (cioè mai!) …
Edito
a Bari il 28.4.2016
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