SECONDA LETTERA TONINO
Bari, 30.8.2015
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Io sottoscritto, PETINO
VITO, fratello di ANTONIO in
attesa di giudizio e detenuto presso il carcere di Bari in via A. De Gasperi
307 sin dal lontano 1 marzo 2014, dopo la mia denuncia del 13 luglio scorso,
non avendo essa sortito l’effetto desiderato per una diversa sistemazione del
nostro congiunto che non fosse il regime carcerario, poiché un medico,
incaricato dopo la mia predetta di accertare le sue gravissime condizioni di
salute, soprattutto sotto l’aspetto psicologico, sembra aver espresso parere
contrario,
r e i t e r o
la denuncia per aver costatato direttamente nella mia ultima
visita in carcere il 21 agosto, le sue peggiorate condizioni fisiche. Non è
normale che un uomo alto un metro e novanta e con un peso di ben oltre 100
chili si sia ridotto a quella larva umana con cui ho avuto il dispiacere di
parlare nell’ultimo colloquio. Spalle ristrette all’osso, arti simili a manici
di scopa, indumenti cascanti, insomma un misero attaccapanni umano. Ma ciò che
mi ha maggiormente impressionato è stata la sua voce fievolissima, al limite
dell’inedia, sino a farmi temere che la costrizione cui è sottoposto lo stia
sospingendo, ogni giorno che passa, a spegnergli ogni voglia di vivere. Aveva i
suoi primi disturbi legati all’età quando è accaduta la lite con la moglie il
primo marzo del 2014. Ma un lieve rialzo del diabete a 60 anni non giustifica
minimamente il precipitare delle sue condizioni fisiche sino all’attuale
pietoso stato in cui il regime carcerario, per lui insopportabile in modo tanto
lampante, l’ha ridotto. Ma gli stanno prestando le cure di cui necessita? Da un
paio di mesi, a me ed agli altri miei fratelli, ci hanno vietato di portargli
ogni tipo di alimento. Ma lo stanno nutrendo? A vederlo sembrerebbe proprio di
no. Ed è proprio necessario vederlo con i propri occhi per credere a quale
livello disumano è giunto il suo deperimento. Una storia da propria e vera
inquisizione calata anacronisticamente nel nostro tempo. Abbiamo atteso sinora
un intervento dall’interno della struttura stessa ma, vana l’attesa, mi son
deciso a portare il caso all’attenzione di chi, più in alto, possa vedere direttamente
in quale mucchietto di pelle ed ossa si sia potuto ridurre un normale uomo di
61 anni. Poco più d’un mese dopo l’arresto, è stato ricoverato per molto tempo
nella stessa infermeria del carcere. Ritornato nel suo reparto per poco tempo,
è stato rispedito ancora in infermeria. Fra aprile e maggio di quest’anno, è
stato ricoverato d’urgenza al Policlinico di Bari, dove è rimasto per tre
settimane. Dopo le dimissioni, ha fatto ritorno nell’infermeria del carcere,
dove si trova tuttora. Non si regge letteralmente in piedi, è denutrito a
livello terzomondista. Ripeto, io e gli altri miei fratelli ci chiediamo spesso
se gli danno da mangiare, se gli fanno le terapie di cui necessita. Intanto, di
condizioni più umane per mio fratello non se ne parla ancora. Abbiamo
contattato in Bari-Torre a Mare una struttura onlus, “NUOVI ORIZZONTI”; una
casa-famiglia attrezzata per ospitare anche detenuti; don Dante Leonardi, che
la dirige, è in attesa di avere un colloquio con mio fratello, per istruirlo su
norme e comportamenti, in modo da dargli quell’aiuto necessario a togliergli le
catene della insopportabile detenzione. Ma che cosa ha fatto in pratica mio
fratello, se non un reato contro le cose, grave sì, ma in fin dei conti non ha
ammazzato nessuno. Non voglio entrare nel merito del processo, influenzato
purtroppo dal coinvolgente clima emotivo di femminicidio. Indubbiamente ha
sbagliato, e va punito di conseguenza, ma non sino a condannarlo a morte, pena
che in Italia, pare, sia stata abolita da molti decenni. E’ necessario, però,
almeno riferire quello che nostro fratello ci ha raccontato direttamente, ma
più spesso per telefono, dei rapporti con la moglie negli ultimi anni. Se non
altro per verificare se, per quello che ha fatto, abbia diritto o meno a valide
attenuanti. Per motivi caratteriali non frequentavamo per niente casa sua,
tant’è che dei suoi due figli e della moglie attuale abbiamo una conoscenza
molto sporadica e totalmente superficiale; insomma in 25 anni non ci siamo mai
frequentati. PETINO ANTONIO, mio fratello, che noi prima del secondo matrimonio
chiamavamo il gigante buono della famiglia, incensurato, stimato odontotecnico,
facoltoso e felice per oltre 25 anni con moglie e figli (viaggi all’estero,
auto di grossa cilindrata, residenza in paese ed al mare di un centro urbano
della Calabria); sino ad un lustro fa. Ma la crisi e l’età lo hanno ridotto in
pochi anni al lumicino economico. Calato il vento favorevole, moglie e figli
hanno pensato bene di trovare rimedi alternativi. La povera moglie, costretta a
45 anni a mettersi a lavorare, ha cominciato ad offenderlo ogni giorno sempre
più pesantemente, sino a privarlo completamente, oltre che della personale
dignità di uomo, anche dei doveri coniugali. Negli ultimi mesi, avendo bisogno
mio fratello di terapia per, come detto, un lieve principio di diabete, la
moglie si è rifiutata categoricamente di dargli la minima assistenza a cui ogni
brava consorte mai si sottrae. Quel disgraziato pomeriggio del 1 marzo mio
fratello, non avendo più un laboratorio di odontotecnico, stava collegando un
cavo elettrico in casa per utilizzare alcuni attrezzi professionali nella
rifinitura di una protesi, giusto per mettere insieme un po’ di soldini ormai
più che necessari al magro reddito familiare; nel mentre, la moglie ha continuato
senza tregua ad offenderlo nella sua dignità di uomo, di marito, di padre, di
lavoratore, apostrofandolo con gli epiteti più volgari. Mio fratello, che nel
frattempo stava diluendo una vernice da passare sul cavo elettrico fissato alla
parete per renderlo meno visibile, all’ennesima ingiuria, non potendone più per
aver sopportato oltre ogni limite, stressato anche dai farmaci che prendeva da
qualche settimana, colpito da momentaneo raptus, le ha versato addosso il
diluente che aveva in mano, minacciandola di darle fuoco. Imperterrita, la
moglie ha continuato a provocarlo gravemente “Vediamo se sei capace di farlo;
non ne hai il coraggio; fallo se sei un uomo!” A quel punto mio fratello riuscì
a riprendere la sua abituale lucidità, sedendosi sul letto. La moglie si
allontanò tranquillamente andandosene in bagno e, dopo essersi cambiata, si
preparava ad uscire di casa. Tutto sarebbe finito lì. Ma mio fratello ha
commesso l’unico errore, poi rivelatosi decisivo, di sbattere in terra
l’accendino che aveva in mano; l’impatto col pavimento ha fatto scaturire una
scintilla che ha dato fuoco al liquido infiammabile, rischiando di prendere
fuoco lui soltanto, quando le fiamme si sono estese ai mobili della stanza da
letto. In pratica è stato un involontario errore non valutato con la massima
lucidità. Immediatamente, spinto da istinto di conservazione, s’è precipitato
fuori di casa, non accorgendosi che dietro di lui anche la moglie stava uscendo
dall’appartamento. In vestaglia da camera e con le pantofole ai piedi, così
com’era, mio fratello si è recato in stato chiaramente confusionale alla più
vicina stazione dei Carabinieri per autodenunciarsi “Ho incendiato casa e
dentro c’era mia moglie”, cadendo in quel precipizio da cui va assolutamente
salvato. Ora gli sarà chiaro a mio fratello
il perché delle distanze da noi prese 25 anni fa da lui e da quella donna che
lo ha portato in questa situazione; traditi da entrambi, negli affetti
familiari dall’uno e nella sacralità della vera amicizia dall’altra. Avevamo subito
intuito della sua velenosa cattiveria e che lo circuiva soltanto per i soldi
che ogni giorno le passavano sotto gli occhi nel suo laboratorio, sino al punto
da avere un figlio con lui ed affibbiarlo a suo marito, e senza entrare in
tante altre angherie messe in atto per costringerlo ad abbandonare la moglie e
i suoi tre figli, i quali hanno dimostrato proprio in questi frangenti di
essere i soli che lo amano ancora. Perché non hanno mai voluto fare il DNA del
ragazzo che porta ancora il cognome dell’ex marito di quella donna per dargli
il nostro di cognome; perché far vivere quel povero bambino, oggi uomo fatto,
nell’eterna incertezza di chi sia veramente figlio, col rischio che prima o poi
abbia una crisi d’identità da esserne travolto irreparabilmente? E infine, noi fratelli
abbiamo il diritto di sapere se è nostro nipote o meno. Guarda quanti disastri
ha combinato quella donna per la sua leggerezza morale e culturale. A mio
fratello doveva bastare per starle alla larga il solo fatto che, pur di averlo,
e non per amore come ho spiegato prima, è stata capace di rigirarsi nel manico
ben sei uomini: l’incolpevole marito, il padre “arcigno”, tre fratelli (uno
carabiniere e due finanzieri – per amore di Giustizia, spero tanto che non
siano loro, pur di perpetrare una misera vendetta, gli artefici del suo stato
detentivo tanto disumano; non sarebbero per niente quei paladini della
Giustizia che le loro divise dovrebbero certificare; dovrebbero prendersela
esclusivamente con la loro sorella che è andata per il mondo a combinar
pasticci), e per ultimo il nostro stupido fratello che ha creduto ciecamente
alla sue lusinghe d’affetto, senza che abbia voluto ascoltare i nostri
disinteressati consigli, veri avvertimenti di chi, dopo la morte del nostro
babbo, gli ha fatto da padre. Chiedo scusa a mio fratello, ma erano anni che ci
tenevamo dentro queste verità e dovevamo pur dirle per un più esatto quadro
delle sue responsabilità; spero soprattutto che mio fratello possa riprendersi
al più presto, altrimenti non finisce certo qui con quella donna e con “i loro”
due figli ingrati. Giustissima la legge contro il “femminicidio”; ma la
Giustizia non va per nulla a fondo in casi come il suo, scambiando la vera
vittima per carnefice, sino al rischio di provocare un “omicidio”, nel senso di
veder morire un uomo; ed è ciò che quella donna, soprattutto negli ultimi 5
anni, sta facendo con la sua dose giornaliera di “veleno” che gli inietta con
le liti pretestuose, le ingiurie, il volgare dissacramento dell’uomo, di cui
tante volte mio fratello ci ha parlato, e da cui scaturiscono tutte le predette
considerazioni. Mio fratello non è un delinquente abituale; non è un
simulatore, quindi. Nel nostro DNA sono totalmente assenti istinti del tipo
incendio doloso e omicidio. Mio fratello va punito, ma ha già pagato abbastanza
in quest’anno e mezzo, e per l’educazione ricevuta dai nostri genitori e per
gli alti valori morali con cui abbiamo sempre impostato le nostre vite. Non gli
si può chiedere di più, quando in giro vagano liberi autentici e pericolosi
delinquenti. Scontasse la pena in una struttura meno ossessiva, ma che gli
consenta di vivere. Sono drammaticamente preoccupato per la sua vita;
nell’insieme è stato abbastanza fortunato, meno quell’ultimo episodio con la
consorte. Non suicidatelo. Che gli si dia la possibilità di redimersi in quella
casa-famiglia, permettendogli anche di rendersi utile con la sua professione di
odontotecnico nei confronti degli stessi ospiti della struttura. Non sia la
Giustizia così accanita contro i poveri, ingenui malcapitati; riservasse tutto
il potenziale del suo accanimento contro prepotenti autori di grandi e atroci
delitti. Chiedo, imploro con tutta l’anima: SALVATELO!
Distinti saluti.
CON OSSERVANZA
(Petino Vito)
Edito a Bari il 30.8.2015
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