E’
TEMPO DI ELEZIONI
Pasquale lavora in un ente pubblico
da molti anni. Ha avuto il posto grazie a tanti soldoni versati, uno
sull’altro, a un onorevole del suo paese che di quell’ente è “u’ patrun”, per
dirla in gergo locale. Il motivo, ormai immutabile nel tempo, per intascare la
somma “un modesto contributo al partito”, per dirla in gergo nazionale. Anche
se al tirar delle somme quel “modesto contributo”, tangente in perfetto
italiano, inspiegabilmente non lascia mai traccia nelle casse sociali, perché
finisce immancabilmente nelle tasche superfoderate del ras politico. I soldi
naturalmente non sono stati dati a lui direttamente, ma a uno dei suoi tanti
“segretari particolari”, cioè particolarmente di mano lesta. La “pecugn” è
stata versata in contanti e senza certezza alcuna per l’impiego né, tanto meno,
il minimo straccio di prova che le mani del disonesto ras l’abbiano mai
arraffata. Pasquale aveva avuto ottimi genitori e insegnanti che l’avevano
educato ai migliori ideali della vita. Idealista, perciò, sin dalla prima
adolescenza, amava il suo partito come aveva amato la sua prima ragazza, con
purezza. Era disposto onestamente a tutto pur di vedere trionfare le sue idee
che si rispecchiavano fedelmente in quelle del partito. Era sempre disponibile,
totalmente, per il partito e per l’onorevole, il quale incarnava quegli ideali.
Impegnandosi, quindi, in ogni campagna elettorale, gli concedeva quasi tutto il suo tempo, con una
piccola, tenue speranza di ottenere il tanto sospirato posticino fisso, come
suo padre, come il nonno; non chiedeva altro. D’altronde, col suo semplice
diploma di ragioniere non aspirava nemmeno ad altro, dando in cambio nel
frattempo i suoi anni più verdi. Ma il tempo scorreva; gli sforzi profusi non
portavano a nulla. A volte sondaggi preelettorali, contrari al suo onorevole,
gli facevano temere di perdere anche quel piccolo obolo raccolto ad elezione
avvenuta. Per fortuna l’onorevole, uscendo indenne da ogni bufera, conservava
saldamente la sua poltrona. In compenso Pasquale, frequentando gli ambienti
politici, s’era fatta una discreta esperienza di intrallazzi, perdendo la sua
purezza mano a mano che i suoi ideali cadevano rinsecchiti come foglie morte. Con
l’esperienza accumulata e capito l’andazzo, concluse che tre erano i modi per sistemarsi. I primi due
casi, essere parente diretto dell’onorevole e imparentato almeno con uno degli
amici del giro più ristretto del clan, erano i soli che permettevano di
ottenere il posticino fisso senza alcun esborso, anche per il più cretino degli
imbecilli; motivo per cui gli enti pubblici funzioneranno sempre male. Terza
possibilità, nonostante il sacrificarsi in estenuanti campagne elettorali, per
l’onorevole in Parlamento e per i suoi insulsi seguaci nelle amministrazioni locali,
comunque pagarlo in moneta sonante quel posticino. Non facendo parte dell’elite
del clan, non avendo ottenuto nessun risultato con la sola collaborazione
elettorale, Pasquale fu costretto, alla fine, a optare per il terzo sistema. Esso
consisteva nell’accettare “la tariffa delle assunzioni raccomandate” non
scritta ma nota a tutti: cinque milioni per un posto di operaio, quindici per
impiegato e trenta per dirigente; somme pari a un anno di stipendi. Spinto
anche dai molti “braccio destro” dell’onorevole “piovra”, interessati a
concludere intrallazzi perché, portando soldi al capo, qualcosa anche nel
tentacolo proprio rimaneva sempre, Pasquale si rivolse in famiglia per
racimolare il minimo, necessario alla sua massima ambizione, riuscendo ad
“acquistare” il posto che tuttora occupa. Con quei soldi Pasquale, oltre al
posto, acquistò anche qualcosa di più utile, la scaltrezza, il disincanto, un
pizzico di disonestà; in una parola, la maturità, perdendo però della sua
giovinezza la parte più preziosa, la purezza. Era molto giovane allora e ancor
più ingenuo; quell’esperienza lo segnò definitivamente. Nonostante i rischi
iniziali, alla fine l’affare si concluse bene per tutti. Pasquale ottenne il
posto, l’onorevole il contributo al “partito” personale, i “braccio destro” le
briciole. Appena assunto, cominciò a presentarsi in ufficio con molti minuti di
anticipo, ma facendo ben poco per il resto della giornata. Passati i primi mesi
si adeguò, ormai del tutto maturo, all’andazzo dei raccomandati, pensando bene
che, avendolo acquistato il posto, non avrebbe dovuto dare altro all’ente per
cui lavorava. Continuò a presentarsi puntuale, con la sola variante, firmato il
foglio delle presenze, di non andare più direttamente nella sua stanza. Usciva
per un caffè, approfittandone per tornare a casa e accompagnare i bambini a
scuola; acquistato un giornale o un settimanale, se ne tornava tranquillamente
in ufficio. Seduto alla scrivania passava una buona parte del tempo a leggere;
era informatissimo, infatti, su tutto quanto accadeva nel mondo; molto, molto
meno su quello che gli accadeva intorno. A metà mattinata una pausa per un
altro caffè insieme ai suoi colleghi di tutto ma non di lavoro. Ritornato in
ufficio, si impegnava, quindi, nella parte più piacevole della giornata.
Gironzolando nelle stanze delle colleghe più disponibili, riusciva a coglierne
i tanti frutti esposti. Stanco per la mattinata molto “dura”, Pasquale
finalmente terminava di “lavorare” un’ora prima, firmando il foglio delle
presenze con il regolare orario d’uscita. Andava a riprendere i bambini,
tornandosene a casa. Il suo dovere di padre lo svolgeva sino in fondo, non
altrettanto quello di marito e lavoratore. Quanto gli era servita l’esperienza
politica! Per la verità, Pasquale qualche pratica d’ufficio la sbrigava pure;
in quelle occasioni diventava il più attivo, preciso, e rapido dei lavoratori; in un lampo di tempo
burocratico riusciva a concludere ogni tipo di pratica e consegnarla
direttamente al “fortunato cittadino” che gli si era rivolto, avendone ricevuto
già al secondo incontro la “bustarella” concordata inizialmente; d’altronde con
questo sistema correva pochi rischi; al secondo incontro il “fortunato
cittadino” pensava esclusivamente ai suoi interessi, l’idea di denunciarlo non
lo sfiorava per niente. Il monotono ritmo lavorativo veniva interrotto un paio
di volte a settimana dalla “giornata di mercato” che un collega con mansioni di
usciere, noto soprattutto alle forze dell’ordine, aveva istituito in ufficio,
passando stanza per stanza con la sua mercanzia da ambulante che tutti sapevano
di provenienza illegale. Abito scuro di qualità e fattura pregiate, mocassini
in capretto, camicia di seta bianca sempre aperta sul petto a far risplendere
la costosa collana e l’inseparabile pesante crocifisso d’oro, come l’orologio
al polso, otto anelli preziosi alle dita e telefonino al cinto completavano in
maniera vistosa l’aspetto di questo singolare personaggio, raro esemplare di
traffichino presente in ogni ente pubblico, dove ha trovato stabile dimora dopo
aver minacciato il capo del personale estraendo dalle tasche la sua mercanzia,
tra cui una pistola, per indurlo ad assumerlo. Si era creato un deposito per la
piccola mercanzia nello spogliatoio aziendale, requisendo gli armadietti
personali ad altri colleghi con la prepotenza degli impuniti. Era di là che
partiva in giro per gli uffici con le tasche ricolme di oggetti minuti. Portava
sempre nella sinistra a copertura un faldone d’ufficio da cui tirava fuori con
destrezza gli ultimi arrivi. Riusciva a vendere oggetti d’ogni genere, anche
voluminosi che, naturalmente conservava in depositi esterni adeguati. Vendeva
tutto a prezzi stracciati perché di provenienza furtiva il più delle volte, e
di notissime marche, originali o taroccate. Montblanc classiche, pellicce di
visone, rolex d’oro, auto di piccola e grossa cilindrata, telefonini, preziosi,
accendini, attrezzi da lavoro, capi d’abbigliamento, elettrodomestici, armi,
alimentari; trattava, insomma, ogni genere
di refurtiva di origine garantita, bastava chiedere e lui procurava. L’omertà
dei colleghi gli era dovuta perché, oltre all’interesse personale, essi si
avvalevano dei suoi agganci malavitosi per sentirsi protetti; i superiori erano
riusciti addirittura a farsi il gorilla gratis; infatti, per tenere a bada
qualche violento bastava farne soltanto il nome per vivere tranquilli. Anche
Pasquale, naturalmente, approfittava di quel mercato, soprattutto in occasione
di feste familiari, battesimi, matrimoni, comunioni. D’altronde, l’esempio
negativo è sempre quello più umanamente seguito. Pasquale non aveva fatto altro
che adeguarsi a colleghi e superiori che avevano la sua stessa matrice, la
raccomandazione politica, il proprio santo onorevole protettore. Con quel
genere di protezione, in verità vergognosa, mai nessuno si permetteva di
riprendere Pasquale per il suo disonesto comportamento sul lavoro. Anzi, a
tutela di quei “diritti speciali” non scritti ma codificati segretamente con
l’arroganza dei prepotenti, si formava fra i raccomandati quella consorteria
tacita che permetteva ai più di tramandarne i privilegi per via ereditaria, con
l’assunzione dei propri figli nell’ente, o in altro simile con lo scambio
reciproco dei favori: io do mio figlio al tuo ente, tu dai il tuo al mio. E’
così che negli enti più grandi si sono formate intere dinastie, passandosi il
testimone da padre a figlio, a nipote, o consanguinei vari di raccomandati, a
discapito di tanti altri figli, più capaci ma di anonimi cittadini. Intanto
Pasquale, con la protervia acquisita, ritenendosi rapinato della somma versata
per il posto, non riusciva a mandar giù l’ingiustizia. Negli ultimi tempi veniva
preso sempre più dall’amarezza di certi sistemi e la rabbia di vendicarsi
montava di continuo. Rimuginava un sistema simile a quello politico che gli
permettesse di rifarsi del maltolto. Non poteva certo farlo denunciando il
concorso farsa organizzato per sistemare lui e altri colleghi quando, invece,
tutti lavoravano già nell’ente da oltre sei mesi. No, non era con mezzi legali
che si sarebbe potuto vendicare, senza nemmeno la più esile delle prove. Una
mattina, a sei anni dall’assunzione, Pasquale ricevette in ufficio una lettera
di convocazione, spedita anche a tutti gli altri raccomandati come lui, per l’imminente campagna elettorale del
proprio onorevole protettore. Di qualsiasi colore politico fossero le lettere,
sinistra, destra o centro, il tenore era identico per tutti. Pasquale pensò
bene di scherzarci su sventolandola in ogni stanza dei colleghi nella sua
stessa situazione. “Schiavi, il padrone vi chiama” disse. Fu allora che l’idea
gli venne improvvisa. “Perché non fare il
politicante come loro, utilizzando la stessa sporca morale fatta di tante
promesse senza mai mantenerle? Perché, dunque, non offrire collaborazione a
tutti i candidati di ogni partito, sfruttandoli come loro hanno sempre fatto
con gli elettori? Ingannarli come loro ingannano ogni cittadino, e arraffare a
piene mani, buoni di benzina, inviti a pranzi e cene, derrate alimentari, capi
di vestiario. Solo così il cittadino che si fa furbo, con tutte le occasioni
che si presentano fra europee, politiche e amministrative, può veramente
arricchirsi.” Da quel giorno la monotonia del vivere quotidiano di Pasquale
e dei suoi pari ad ogni elezione viene interrotta con gioia. In quel periodo il
loro essere subisce una metamorfosi totale. Una telefonata dell’onorevole ai
rispettivi capi ufficio, anche loro della cricca, permette ai galoppini di
beneficiare di un congedo straordinario regolarmente retribuito per tutto il periodo
elettorale. Pasquale e soci, sempre spalleggiati ognuno dal proprio clan
politico, riescono a prolungare oltre ogni immaginazione l’assenza dal lavoro,
dandosi ammalati subito dopo le elezioni per almeno quattro settimane; quindi,
sfruttando il loro “precario stato di salute”, ottengono di trascorrere un mese
in strutture termali; e per concludere si godono le loro “sacrosante” ferie
estive. Logicamente, il tutto con lo stipendio che continua sempre a correre
nelle loro tasche a ogni mesata. Logicamente? Sì, se si parla di logica
politica. Insomma, cadendo abitualmente il giorno del voto nel mese di giugno,
Pasquale lascia l’ufficio a fine Aprile per tornarvi nella seconda metà di
settembre. Completamente riposato, rilassato e pronto a dedicarsi al lavoro?
Macchè! E’ da quel momento che comincia il vero riposo retribuito dei lacchè
degli onorevoli. Intanto, nel periodo elettorale Pasquale, deciso a mascherarsi
da politico, approfitta della sua poco nota figuretta per passare inosservato
negli studi degli onorevoli da sfruttare a suo vantaggio. Rispolverati i
migliori vestiti, lo smoking per le serate di gala, tirata fuori tutta la sua
scaltrezza affinata in mille battaglie elettorali, Pasquale affila l’arte di
defilarsi e comincia a bazzicare segreterie particolari e uffici privati di ogni
candidato in lizza. Insomma esercita il mestiere che tanto bene ha imparato dai
maestri politicanti. Un’esaltante esperienza perfettamente temprata nelle loro
fucine. Promette appoggio incondizionato ai candidati di ogni schieramento.
Ritira materiale elettorale che regolarmente e con il massimo ordine getta nel
loro sito naturale, il bidone della spazzatura. Il posto adatto per quei ghigni
truffaldini impressi sulla carta. Giusto per fare un po’ di fumo e crearsi un
alibi, Pasquale mette in movimento un gruppo di ragazzini, pagati dai politici;
anche se non è assolutamente necessario alcuno schermo fumoso poiché, pur di
arraffare voti elargendo la solita valanga di vane promesse, sono talmente
pieni di sé da credere loro stessi in quelle false parole, sino a sentirsi dei veri
angeli che a spada tratta risolveranno i problemi del mondo. Presi come sono
dal loro serafico ruolo con i piedi sollevati e la testa ancora più nelle
nuvole, è facilissimo, quindi, far loro ingoiare esca, amo, lenza e canna
compresa senza che se ne accorgano, lasciandoli ripagati alla fine con la
stessa falsa moneta da loro stessi battuta. Così, fra buoni di benzina,
rimborso spese gonfiate, cene e spettacoli, regalie d’ogni genere, derrate
alimentari che gli riempiono la dispensa per mesi, Pasquale ha recuperato tutta
la tangente, riportando i suoi conti in attivo con ciò che è riuscito a
rastrellare. Inoltre, è riuscito a ottenere un considerevole vantaggio
prestandosi a tutti; ha conquistato l’amicizia di tutti gli eletti dell’intero
arco costituzionale: se un favore non gli viene concesso dalla sinistra, si
rivolge subito a destra. Un redivivo Talleirand della politica moderna. Quel
che più gli importa, comunque, è l’essere riuscito a far sborsare a quei
“drittoni” il peculio che per altre e più tortuose vie gli era stato rapinato.
Il giorno delle elezioni, come fa ormai da tempo, Pasquale va in vacanza con
tutta la famiglia, lontano dai clamori elettorali, verso mete dove regna
trasparente la legge della natura. In posti incontaminati, privi di quelle
cartacce su cui per oltre un mese hanno campeggiato espressioni vacue a celare
la destrezza della vecchia volpe in attesa della preda; espressioni
sottolineate da slogans vuoti come gli stessi volti su cui sono state
astutamente ritoccate. Pasquale nasconde quella stessa destrezza, purificandosi
negli sguardi puliti della moglie e dei ragazzi che ignorano; in quel momento
pensa ai suoi “amici” politici mentre si specchiano vanitosamente negli occhi
dei propri cari che, al contrario, non ignorano, togliendo loro, quindi, ogni
possibilità di purificazione. Pasquale sorride passando davanti a un seggio
elettorale dove cittadini in fila aspettano di votare, commentando con solite
frasi d’occasione, sbraitate al vento, le eterne illusioni della povera gente.
A un tale che elogia gli ideali della Democrazia Cristiana, un vecchio e
inguaribile staliniano difende con nostalgia l’innaturale idea del comunismo
sovietico; si intromette un anziano impettito per sostenere la drammatica
utopia fascista. Si perdono nell’aria le immutabili e inutili frasi: - “La
Democrazia Cristiana dà da mangiare a tutti” – “Ava vnì Baffon!” – “Ma volete
mettere quando c’era Lui?” Poveracci. Non capiranno mai che, sotto qualsiasi
bandiera, il lamento per la propria vita grama si leverà in eterno, mentre i
loro “rappresentanti” continueranno a godersela uniti. I cittadini, invece, costretti
di proposito a scannarsi fra loro, resteranno eternamente disuniti.
redatto
a bari il 8.7.1964
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