lunedì 29 maggio 2023

LA NOSTRA JAPIGIA

 INNO A JAPIGIA

Avevo 9 anni e 5 mesi quella mattina del 21 marzo 1954, a quei tempi un'età già matura per essere considerati qualcosa più di schegge d'uomo. Alcuni nostri coetanei, oltre la scuola, lavoravano già. La nostra famiglia non aveva ancora superato quella che è la situazione più tragica che si possa vivere nella vita. In quella soleggiata alba d'inizio primavera Mamma ci disse "Andiamo a casa nuova,, andiamo a Japigia". Quel nome allora straniero per me, non era novità. Venivamo da altro quartiere straniero del centro di Bari, il Murat. E stesse caratteristiche aveva il nuovo rione, almeno nelle quattro strade principali a quadrilatero, racchiuse sui lati lunghi dal viale che le divideva dalla ferrovia e, simile ad abbraccio materno, dall'infinito verde agreste tutt'intorno. Diversa la distribuzione delle stradine interne delle traverse japigiane; in tutt'e e quattro a intrigante labirinto. Cos'è stata Japigia per la nostra generazione? Un solo termine. Tutto. Da ragazzini Japigia è stato il nostro Eden, il nostro West. I suoi spiazzi interni e i terreni agricoli abbandonati, da noi trasformati in campi da calcio, le nostre palestre a cielo aperto. Il mare a pochi passi la nostra piscina estiva per imparare il nuoto. E nelle giornate più fresche i viaggi pedestri nelle savane intorno i nostri territori di caccia; armati di fionde da noi costruite abbiamo martoriato lucertole, serpi e poveri uccellini. Altra mentalità allora verso gli indifesi animaletti. Marce lungo la via Gentile a farci scorpacciate di gelsi rossi dai grandi alberi che punteggiano sui lati la lunga via, sino alla masseria Iacobellis. La strada terminava  all'incrocio con la provinciale per Triggiano. Oltre il passaggio a livello difronte al Camping, scorreva la vecchia statale 16, che dal lungomare portava a Brindisi. Il viale Japigia terminava dove iniziava via Gentile, il Canalone faceva da spartiacque. Per le nostre passeggiate, che duravano l'intera mattinata, ci portavamo una Rosetta da casa, o la compravamo fresca dal panificio Japigia, il più vicino; il companatico ce lo procuravamo dalle campagne attraversate, pomodori, fioroni, finocchi e altri frutti di stagione. Quel Canalone era il nostro Gran Canyon, lo percorrevamo tutto, dal mare alla strada vicinale Caldarola a caccia di scorzoni. Fra calcio, mare ed escursioni passavamo così le nostre vacanze estive, il primo anno durate da marzo a ottobre per la negligenza di molte mamme. Scuole non ce n'erano i primi tempi. La prima fu l'Amedeo d'Aosta nel 1956 poco più di un anno dopo si aggiunse la scuola elementare affianco al convento di San Francesco. Anche molti grandi frequentavano il Canalone, se ne servivano per cogliere cicorielle selvatiche, sivoni, rucola e altre erbe aromatiche. Le famiglie vi passavano la Pasquetta fuori porta. Un lungo rosario umano si svolgeva quel giorno dalle case delle quattro traverse sin giù al Canalone. Tutti in fila sui bordi del viale con fagotti di stoviglie e cibi cotti in mano, dal capo famiglia al più piccolo, chi a piedi, chi in bici, pochi su rombanti motociclette, vi si recavano di mattina presto a stendere coperte e tovaglie sul prato nei posti migliori per passare una giornata in allegria fra pranzi, bevute, musica, canti e balli. Molti nostri compagni sono stati avviati ai mestieri più disparati da tanti giochi di strada. Chi è stato attratto dall'edilizia dopo aver costruito le traballanti casette in pietra e lamiere nei campi liberi dietro casa; chi invece dalla meccanica, per aver realizzato i veloci carrucci in legno con ruote a cuscinetti a sfera, o le saettanti slitte con lo stesso materiale. Ci si ingegnava alla meglio, allenando la mente a compiti più ardui, che da grandi ci hanno permesso di primeggiare sul lavoro. Fra quelle viuzze intrecciate sono nati i nostri primi amori, nei prati gli incontri più compromettenti. Quanti hanno visto sorelle e fratelli maggiori sposarsi, diventare madri e padri. Tanti quelli che abbandonavano le scuole per cominciare a lavorare sin da ragazzini, divenendo responsabili per se stessi e, se si perdeva il padre o la madre, pure dell'intera famiglia. Sono migliaia le storie che se ne potrebbero trarre dai 70 anni di vita della nostra Japigia, culla della nostra meravigliosa, irripetibile infanzia. Spensieratezza responsabile, nonostante tutto...

venerdì 26 maggio 2023

Don Castiglione

 DON CASTIGLIONE

Ho giocato nei tornei calcistici a 7 del Redentore nel triennio 56/58 e il parroco dell'oratorio del Redentore era don Castiglione, Giuseppe per l'esattezza. Lo ricordo bene per due episodi indelebili, il controllo del mio cartellino prima di una partita e una pallonata sulla nuca che involontariamente gli tirai, testimone Biagino Catalano, che mi salvò da una checherata che don Castiglione era solito dare ai ragazzi quando s'incazzava, motivo per cui gli appiccicammo il nome trasformato in don Cazzchiglione. Quello che ho notato nel ritaglio di Gazzetta è che don Castiglione non è nominato. Che non sia sbagliato l'anno 1957? Perché don Castiglione è stato parroco dell'oratorio del Redentore di Bari dal 1954 al 1859, come prova questo ritaglio estratto dal web sulla storia della Chiesa del Redentore...

Una foto di don Castiglione nel 1957...

sabato 20 maggio 2023

A VENEZIA

 A VENEZIA CON AMORE

Venezia, Venezia, Venezia, ah ecco, Ottobre 1985. In viaggio di nozze io e mia moglie ci siam fatti a piedi dalla stazione di Santa Lucia ai giardini della Biennale, fotografandoci per 30 pose in ogni angolo particolare di Venezia. Seduti a una panchina di quei giardini, ci accorgemmo che nella macchina fotografica non c'era il rullino. Fra rabbia e risate, sfogammo il tutto ai Do' forni con una mangiata sensazionale, in quantità e qualità. Il giorno dopo ripetemmo il tragitto e le pose, ma non vennero spontanee come il giorno prima...

POLITICA SPORCA

 POLITICI, PESO INUTILE PER LE UMANE ATTIVITÀ

Gianni Petino, ti giro medesima risposta a un altro amico.

Negli anni precedenti nessun governo giocava a fare l'indiano con i fucili dei visi pallidi. E con i soldi compravo pasta pane secondo frutta e pagavo tutte le bollette di casa; e mi rimaneva qualcosa per divertirmi durante il mese, andando in giro con l'auto senza problemi. Mentre questi hanno promesso per finta di ridurre almeno le bollette carburanti. Mica sono scemi. Il più scemo politico, sinistra centro e destra, del parlamento possiede azioni delle multinazionali di gas luce e carburanti, le quali società ladrone col popolo, appena vengono eletti i nuovi, sinistra centro e destra, regalano un bel pacchetto di azioni a ognuno. Non lo sapevi? E in tal modo è da ottobre che tergiversano sulle riduzioni, ci ripensano sugli aiuti energetici, insomma fanno e fanno ma per finta, e gli aumenti di tutti i generi per campare salgono ogni giorno per ogni acquisto che facciamo, sino a ridurci il potere d'acquisto al 15 del mese, quando va bene. Sino a oggi gli unici aiuti concreti, 350 miserabili euro una tantum, ci sono arrivati dal Drago, stretto di deretano, banchiere venduto all'Europa e alle internazionali iridate, che doveva far vedere di darci 350 con la manina corta e rastrellare ogni mese il quadruplo dei soldi nostri sudati a sangue, con la longa manu artigliata su ordine delle stesse multinazionali. E mica son fessi a darsi la zappa sui piedi i parlamentari cravattari. Tutti in coro sempre col grido univoco "Giù le tasse, giù le tasse", e invece giù vanno le nostre braghe, mentre loro, i politici, nascondono dietro la mano col medio alzato, pensando sempre in coro "N gul a vvù" alla barese. Il popolo, che come al solito è stupido, sceglie sempre sbagliando quelli che gridano "N gul a vvù", e affossano invece quelli che cantano "Onestà, Onestà". Un'occasione per cambiare l'Italia che non si ripeterà più per idiozia congenita dei comuni cittadini (scusa il gesto, che dà l'idea di quanto siano porci) 😡👹🥶...

REPUBBLICA QUOTIDIANO

 REPUBBLICA GIORNALACCIO

Sin dai suoi esordi ho sempre sostenuto che Repubblica è un giornale mongolfiera. Ogni notizia è un pallone gonfio d'aria. Pur di fare scoop le inventano tutte. Per questo non l'ho mai comprato. Va avanti a casse pompate da soldi pubblici. Cioè nostri. Buono soltanto per incartare pesce...

SENZA SOLDI

 SENZA SOLDI ALLA BARESE

Stoggh senza trris.

Stoggh assutt.

Non tengh na lir.

Pall chien e pald vacand.

C m rvuld a cap sott, sol polvr iess.

U portafogl mì sta arragat ch l trris.

Stoggh scuat...

Da mo ca p mme iè alleluij.

So sman ca voggh a iurm.

 Stoggh im biangh.

E se ne potrebbero elencare ancora tante di definizioni. Il bello del barese è che non è lingua unica. Ci sono detti familiari, di vicinato, di quartiere e cittadino, sia del centro con accento più snob, sia di periferia più sguaiato...

mercoledì 17 maggio 2023

Piripicchio, maschera barese anni 50

 PIRIPICCHIO ARTISTA DI STRADA, MASCHERA BARESE ANNI 50

Piripicchij, accom ng si fatt dvrtì quann vinv a Bbar jind o slargh dlla Madonnin alla Quarta Traversa d Japigg, aqquann iemm tutt uagnungidd. L rsat che ng faciv fa all battut ca nu mangh capscemm; ma l grann, chiù malzius, rdevn cchiù d nù. E quanda prisc a vdert ballà ch la musch dlla rigonett d'u giovn che t'acchmbagnav. Ijv nu mmisc-ch d Totò, Sciarlott e Rdolin, ma nu t chiamamm asslut Totò ❤🙏❤...

domenica 7 maggio 2023

GLI SCHENA DA BARI A MILANO

 A TUTTI GLI SCHENA DEL GRUPPO

Riconoscete questi coniugi in foto? Sono i miei nonni materni, nonna Felicetta e nonno Michele Schena, direttore del Macello Comunale di Bari negli anni 30. I miei nonni, lei di Andria, lui originario di Castellana Grotte, ebbero otto figli, zio Giovannino il più grande 1897, morì subito dopo la Grande Guerra per le ferite riportate a un ginocchio quando era al fronte; zia Caterina 1900; zio Angelo 1903; zio Antonio, zio Ciccillo e zio Nicolino tutti e tre trasferiti a Milano nel 1936; zio Emanuele morto a 19 anni per un'infezione; e ultima mia madre Rosetta del 1920. Avevo anche tanti cugini a Milano. Walter (Michele) Schena, Vilma (Felicetta), e Gianni, figli di zio Antonio e zia Anna; Vanda (Felicetta) Schena e Michi (Michele), figli di zio Ciccillo e zia Carmela presso cui siamo stati ospiti nel 62/63 io e mio fratello Michele; Roberto (Michele) Schena e Isabella (Felicetta), figli di zio Nicolino e zia Nella. Dei tanti cugini milanesi, ci restano soltanto il Walter, Michi e Roberto. Anche qui a Bari eravamo in tanti, purtroppo siamo rimasti io, Michele ed Elvira, figli di mia madre Rosetta Schena e il mio babbo Francesco Petino; e Franco e Rosetta, figli di zio Angelo Schena e zia Marietta. Non ci sono più i sei figli di zia Caterina Schena e zio Giovanni Giannuzzi. Come non ci sono più Michele e Giovanni, figli di zio Giovannino Schena e zia Marietta, in famiglia detta la vedova, per distinguerla dalla zia Marietta moglie di zio Angelo. Michele e Giovanni si trasferirono con la madre a Milano a metà anni 50. Purtroppo non ci sono più i miei fratelli Nico, Tonino e Angelo; come scomparsi sono i figli di zio Angelo e zia Marietta, Tina (Felicetta), Lillino (Michele) e Rina (Caterina); sono pure deceduti tutti i figli di zia Caterina e zio Giovanni, Marietta, Michelino, Felicetta, Nicolino, Antonetta e Rosetta. Se sono stato prolisso ne chiedo scusa. Ma ho sentito il dovere di riportare queste note relative a radici comuni, non appena letto il cognome Schena, a me tanto caro. Buona giornata...

sabato 18 febbraio 2023

IL VOLO DI FRANCESCA

 UNA FERITA MAI RIMARGINATA, CARA FRANCESCA. UN PEZZO DI CUORE DEL TUO PAPÀ S'INVOLÒ CON TE QUEL 18 FEBBRAIO DEL 70, ANIMA MIA ❤🙏😪🙏❤...

A UNA FIGLIA CHE ANCORA MI STRAZIA IL CUORE 

 “Sei arrivata già alata e leggera come una piccola rondine. Ma il tuo canto garrulo non l’ho mai udito. E su quelle stesse ali hai preso il volo in fretta in fretta. Ho cercato d’afferarti ma sei stata più rapida del baleno a decollare verso le braccia, già pronte ad accoglierti, di quel Padre molto più grande di me. Stanne certa che ti avrei amata come Lui ti ama. Quando, le braccia inutilmente tese, ho capito che non ti avrei più ripresa, ti sei girata un’ultima volta, e con l’ancor rosea manina mi hai fatto un cenno. Ciao papà. Un saluto e quel dolce nome mai pronunciati ma sentiti col cuore di padre. Come in realtà ti sono stato in quei giorni brevi, ma per me pari agli anni vissuti con tutti i tuoi fratelli. E, col dolore più crudo nel cuore straziato, ho dovuto risponderti. Così presto, Francesca? Dopo soli 28 giorni? Quanto la durata del freddo febbraio, reso più freddo dal tuo volo astrale. Una prima carezza, un solo bacio, un ultimo abbraccio, almeno, mi sarebbero stati di conforto. No, non è vero, non è giusto, non mi sarebbero mai bastati. Aspettami, ti raggiungerò per darti in abbondanza e per sempre tutto quello che mi è stato negato di profonderti quale tuo papà terreno. Arrivederci piccolo, minuscolo Amore mio immenso.” Tutto è accaduto in quella fredda mattina del 18 febbraio del ‘70 …

A Francesca

 AUGURI A UNA FIGLIA MAI POTUTA STRINGERE AL PETTO

Ti aspettavamo qualche mese dopo, ma tu, figlia mia, avevi fretta. E due mesi prima, quando ancora immatura hai voluto affrontare i pericoli di un mondo avverso, prorompesti alla luce con la tua minuscola figurina. Eri poco più d’una rosea bambola in miniatura. Tanto piccola che attraverso le maniche dell’incubatrice infilavo le mani per accarezzarti, riuscendo a tenere il tuo delicato corpicino in una sola delle due. L’altra mano non faceva che accarezzarti continuamente per infonderti il calore necessario a creare energia sufficiente per venir fuori da quella piccolissima casetta di vetro. Reagisti nei primi giorni, illudendoci. Ma il tuo papà non ha saputo avvisarti quanto dura fosse la vita; non ha saputo difenderti contro i mali che affliggono gli uomini. Facemmo appena in tempo a chiamarti Francesca, ma il nome del nonno, che insieme a zio Nico ti hanno poi accolta festosi, non servì a prolungare la tua brevissima parabola terrena, accesasi quel lontano 21 gennaio del 1970 e spentasi appena 28 giorni dopo. Un autentico lampo che mi ha illuminato per poco, spegnendo poi la gioia di pochi attimi in anni di lunghissimo dolore rinchiuso. Ventotto trepidanti giorni fatti di pochissime ore, in cui le due sorelline più grandi ebbero il tempo di darti una sola sbirciatina speranzosa. Speranza, che tutti coltivavamo, di vederti al più presto uscire da quel cubicolo, trasformatosi invece in una bara di vetro come le principesse più sfortunate. Nemmeno il battesimo cristiano facemmo in tempo a impartirti, anche se il prete ci consolò con parole che ci assicuravano il Cielo per te, mia piccola donnina indifesa. Né il suono della tua voce, né una foto abbiamo. Ma di quei giorni ansiosi la tua immagine, che tuttora conservo in mente e negli occhi, è indelebile. Mentre le tue sorelle, i tuoi fratelli crescevano, ho immaginato giorno per giorno che saresti diventata bella come loro, prima ragazzina, poi donna. Ogni anno in questa data ti ho fatto gli auguri col cuore, oggi scrivendoteli. Ma in questo cuore, ormai vecchio, l’angolo d’amore a te dedicato è identico a quello degli altri tuoi fratelli. Per tutto ciò che non ti ho potuto dare in quei lunghi giorni brevissimi, provo ancora rimorso. Con amore, dal tuo papà …